Di aria elettorale
Le nuove ideologie
Dall'anti-europeismo alla supremazia delle piccole patrie, chi ha detto che le ideologie sono morte? Sono vive, vegete e sovente molto dannose. Anche per la loro radicalità
Si fa un gran parlare del crollo delle ideologie, della loro obsolescenza, ma non da oggi: da qualche decennio, almeno da una trentina d’anni, cioè dal 1989, o forse addirittura da prima, a partire dalle riforme gorbačëviane o dalla lunga e grigia stagione brezneviana durante la quale l’Unione Sovietica ha visto affievolirsi e spegnersi quella che, per Enrico Berlinguer, era «la spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre». Insomma, le ideologie non sarebbero altro che ferrivecchi del Novecento, tanto che, oggi, saremmo diventati tutti pragmatici, volti al raggiungimento dei più laici obiettivi dell’efficienza e dell’efficacia e costretti a volare basso a causa delle restrizioni europee… Già, ma l’anti-europeismo non è essa stessa un’ideologia? Molto difficilmente etichettabile come progressista, peraltro, almeno stando a quel paio di secoli di modernità che ci precedono, durante i quali “sinistra” si è fatta rimare con “internazionalismo” e col superamento delle “piccole patrie”: certo, qualche segnale di confusione non proprio incoraggiante è giunto da tutti coloro che, sentendosi progressisti, anzi proprio perché si sentivano tali, hanno recentemente solidarizzato con la causa catalana.
Insomma, se si va a radunare tutti quei frammenti di pensiero – “pensiero”? Per modo di dire, va’ – che addebitano alle banche, al mostro europeo e, magari, anche alle élites ebraiche i guasti nazionali, ci troviamo di fronte a qualcosa di conosciuto: discorsi simili si sentirono risuonare in una storica birreria bavarese, nella quale un giovane baffuto fu in grado di entusiasmare gli astanti… E la pretesa che chiunque sia in grado di governare la macchina dello Stato? Uno vale uno, e ciascuno varrà il più esperto statista: tanto, che ci vuole? Non vengano a dirci che quei politicanti da strapazzo valgono più di uno qualsiasi di noi! Nell’utopia della democrazia diretta, è evidente l’eco – benché pochi siano in grado di riconoscerla, nell’analfabetismo storico-politico che ci circonda – della nota cuoca di Lenin, la quale avrebbe dovuto essere in grado di maneggiare i meccanismi della governance come il più navigato dei funzionari: tutto ciò, naturalmente, una volta raggiunto il mitico Sol dell’Avvenire, quando lo Stato perfetto si sarebbe insediato e si sarebbe finalmente e pacificamente estinto, realizzando il superamento della divisione tra dirigenti e diretti… Nel frattempo, però, il geniale stratega russo pensò che fosse meglio formare e tenersi cara un’élite di “rivoluzionari di professione”, perché non si sa mai e perché le ideologie vanno bene, ma senza esagerare.