Su "Dieci anni, un secolo"
Il secolo brevissimo
Il Ventunesimo secolo ha già consumato tutte le sue contraddizioni: dalla crisi alla folle accelerazione del web, dalla morte della cultura critica a quella del welfare. Il numero speciale dell'Annuario del lavoro è dedicato proprio a "Dieci anni, un secolo"
Quanto vale oggi un anno, col tempo che corre sempre più in fretta e il mondo che gli va dietro, senza sapere perché tanta fretta? Abituato alla sua cadenza di pubblicazione annuale l’Annuario del lavoro, nel festeggiare i suoi dieci anni di attività, ha deciso di tirare le somme con uno sguardo all’indietro più lungo e più ampio sul panorama del nostro paese ed è arrivato in qualche modo ad offrirci un’unità di misura sconcertante, che il direttore Massimo Mascini ha sigillato nel titolo di copertina: Dieci anni un secolo. Un anno da moltiplicare per dieci insomma, un conto che dà le vertigini, almeno a noi che siamo abituati a memorizzare la storia per secoli e già siamo rimasti storditi dalla prospettiva di essere addirittura entrati in un nuovo Millennio.
Un’iperbole certo, ma è un metro che rende perfettamente l’idea del salto d’epoca che nella percezione comune si è consumato tra il 2007 e il 2017, il decennio segnato dalla più grave crisi economica che abbia investito il mondo, dopo quella quasi mitica del 1929. E di quanto sia importante rifletterci su. Capire – aggiunge il sottotitolo – come la crisi ha cambiato l’Italia. E ovviamente noi che ci viviamo. È la domanda riversata a quindici titolati osservatori di professione, ognuno invitato a sviluppare analisi e risposte da un’angolazione diversa, facendo tesoro delle proprie esperienze sul campo. Quindici fili d’Arianna stesi in modo semplice e visibile, per consentire al lettore di muoversi nel labirinto del tempo e trovare una via d’uscita, un appiglio di senso, di spiegazione, di conforto, perché no?
Ognuno può scegliere da dove partire, come in un libro di racconti. Perché ogni saggio di questo annuario a suo modo è un racconto, che mette in scena un personaggio, una situazione, un contesto diverso, lavorando sullo stessa trama. Per scegliere basta sfogliare l’indice. E lasciarsi guidare dal tema o dall’autore. Ci sono la Politica (Riccardo Barenghi), l’Economia (Carlo Dell’Aringa), il Lavoro (Bruno Manghi), i Sindacati (Mimmo Carrieri), gli Imprenditori (Innocenzo Cipolletta), gli Operai (Marco Cianca), il Rapporto tra cittadini e istituzioni (Valeria Fedeli), la Cultura (Nicola Fano), la Comunicazione (Matteo Fago), Le Città (Giuseppe Roma), il Riformismo (Pier Paolo Baretta), l’Europa ( Ernst Hillebrand), gli Equilibri Geopolitici (Maurizio Ricci), Immigrazione Emigrazione (Paolo Morozzo della Rocca).
Impossibile recensire ogni voce: troppo complesso lo sviluppo delle analisi e delle argomentazioni che sostiene senza eccezione tutti i testi e alimenta, oltre alla necessità, il piacere di leggerli integralmente. Solo così balza subito agli occhi uno dei pregi di questa compilation. La scoperta che da ogni versante una lettura attenta dei quindici capitoli del libro ci sottrae alla peggiore schiavitù che caratterizza l’epoca cui stiamo vivendo: la rimozione della Storia e la condanna all’inferno di un eterno presente, dove tutto e il contrario di tutto sono e appaiono uguali, già noti e quindi ci rendono indifferenti, rassegnati, o ancor peggio spazientiti, attratti da scorciatoie che ci riportano al punto di partenza, come in quel film in cui il protagonista si sveglia ogni mattina in un giorno che ricomincia sempre allo stesso modo. Eppure le vie di fuga sono a portata di mano. La prima è quella della memoria. Prendete, per aiutarvi, carta e penna, e annotate l’elenco di date, personaggi ed eventi che costellano in successione il decennio in esame. Obama e Trump, la primavera araba e il ritorno all’ordine, l’avvento e il declino di Renzi, la Chiesa del cardinal Ruini e l’avvento di papa Francesco, la guerra in Libia e in Siria e l’esplosione dell’Isis e del terrorismo islamico. Grillo e Podemos, l’uscita di scena di Blair e La Brexit. Dieci anni, un secolo: un decennio dove è successo di tutto. Anche fatti a cui non abbiamo dato attenzione, eppure hanno cambiato quel che ci ruota attorno, ci hanno cambiato dentro.
Come le novità introdotte nell’universo della comunicazione da Internet, che pure ha solo mezzo secolo di vita: la nascita e l’inarrestabile ascesa di Faceboock e Youtube, la rivoluzione degli smartphone. Ce lo ricorda un imprenditore della navigazione in Rete come Matteo Fago. Un panorama di scambi testimoniato da cifre da capogiro. Il 90 per cento del contenuto attuale del Web è stato creato negli ultimi due anni. Rilevazione novembre del 2017: su Internet ogni singolo minuto vengono effettuate 3 milioni e mezzo di ricerche su Google, vengono inviate 156 milioni di email, vengono visti 4 milioni di video su Youtube, vengono spesi 750.000 dollari in acquisti online. In questo bombardamento simultaneo di immagini, voci, esperienze in un altro piccolo saggio Nicola Fano identifica quel senso di saturazione di già fatto e già visto che segna il crollo della cultura critica, annegata nella relativizzazione di ogni idea e di ogni ideologia, e della cultura creativa, che annaspa cercando risorse nella contaminazione di vari linguaggi, mettendo a rischio il patrimonio fecondo delle differenze. È la globalizzazione, bellezza. E della globalizzazione la Rete è, forse, lo specchio che più ne cattura le tante facce, buone e cattive, che poi si combinano con gli altri mutamenti introdotti dallo sviluppo tecnologico e scientifico, cui tutti i testi di questa pubblicazione cercano di afferrare il senso.
È in Rete, e in quella sua micidiale appendice che è il telefonino d’ultima generazione, che si compie quel tragitto dal popolo al populismo che è la grande malattia della politica. Insieme alla svalutazione del lavoro e all’aumento della disoccupazione. All’invecchiamento della popolazione e all’emarginazione, almeno in Occidente, dei giovani. Alle paure e alle incertezze messe in circolo dai profeti di cattiva coscienza, incapaci di abbinare nuovo e futuro al mestiere di vivere. Al predominio della finanza: dal clamoroso fallimento bancario del 2008 a oggi il neoliberismo non ha ancora trovato rimedi sicuri alle speculazione selvaggia della Borsa. Alla crescita delle periferie e al declassamento dei vecchi modelli centripeti che hanno radicalmente cambiato la vita delle nostre città.
Un quadro disperante? Non del tutto. Perché ognuno dei quindici esperti lascia comunque intravedere qualche via d’uscita . O almeno qualche spiraglio. Per tutte le vittime della crisi: dai lavoratori ali imprenditori, dai sindacalisti ai politici agli intellettuali. Previsioni che disegnano traguardi sui quali investire, nonostante i sintomi del disagio siano tutt’altro che superati. Scommesse insomma. Quella che mi ha più colpito chiude l’intervento di Matteo Fago. E’ la certezza che la diffusione della cultura su carta, nonostante le apparenze, è più viva che mai.