Paolo Petroni
A proposito di “4 3 2 1”

Caleidoscopio Auster

Il nuovo, interminabile romanzo di Paul Auster è quasi un teorema sulla Storia e sulla Memoria. E sull'impossibilità di rinchiuderle in una vita sola, quella del protagonista Archie Ferguson

Un romanzo ambizioso, impegnativo ma affascinante per chi ama non solo storie che coinvolgano, ma anche come sono raccontate, la scrittura e la costruzione, questo nuovo di Paul Auster, 4 3 2 1 (Einaudi, pp. 940, 25,00 euro. Traduzione di Cristiana Mennella). Oltre 900 pagine che vedono alternarsi, come indica il titolo, quattro diverse vite del protagonista Archie Ferguson nato nel 1947 (proprio come Auster), quattro diversi sviluppi a seconda delle sorprese che l’esistenza ogni volta gli riserva, ma anche quattro modi diversi di affrontare il mondo e quel che vi accade. È come se una vita sola non bastasse a raccontare le storie di un emblematico giovane ragazzo di origine ebrea nato dopo la guerra e che cresce negli anni ’60 e si misura sia con la propria famiglia sia con la storia: gli scontri razziali e il sogno di Luther King, l’uccisione di Kennedy, la corsa verso la conquista della Luna, la guerra in Vietnam, le contestazioni del ’68, per non parlare, in precedenza, della caccia alle streghe comuniste anni ’50. Il tutto tra il New Jersey, New York, il College, ma pure un soggiorno a Parigi, e poi il finale nel 1971 con la strage dei rivoltosi e di decine dei loro ostaggi nel penitenziario di Attica.

Ogni capitolo è così composto dai quattro capitoli diversi delle quattro storie possibili, che in teoria potrebbero anche essere lette separatamente seguendo le numerazioni (per la seconda cap, 1.2/2.2 /3.2 ecc). Certo, in tal caso il tutto si appiattisce, si perde l’effetto sliding doors, il gioco da caleidoscopio della narrazione multipla in cui ecco che il padre di Archie, giovanotto vivace e intelligente molto amante dello sport e innamorato di Amy, da una parte, muore in un incendio del suo grande magazzino di elettrodomestici e, nell’altra, invece non gli accade nulla, con le differenti naturali conseguenze, tanto che uno dei quattro Archie, per esempio, muore prematuramente.

Come è facile capire all’interno di un simile abile, complicato e persino provocatorio gioco letterario moltiplicatorio, la lettura richiede una buona attenzione e va anche fatta abbastanza di fila, per non dimenticare i diversi particolari, visto che dal loro confronto nasce il senso del libro e di anni, di un’epoca di trasformazioni e fermenti che ha aperto molteplici possibilità di farsi adulti davanti ai plurimi accidenti esistenziali .

Un romanzo, per molti versi, sulla memoria, su quel che si ricorda e quel che i ricordi trasformano, quel che deforma il tempo dando corpo alle ipotesi ( la storia fatta con i se….), tanto che il gioco ci fa anche capire chiaramente che il quarto romanzo, il quarto Freguson è quello reale e che è la sua vita quella vera del presunto autore del libro e delle altre tre storie dei suoi alter ego. Alla fine allora, dopo l’affermazione che «l’essenziale era amare quegli altri ragazzi come fossero veri, amarli quanto amava se stesso», si legge: «Dio non era in nessun luogo, si disse, ma la vita era ovunque, la morte era ovunque, e i morti e i vivi erano uniti. Solo una cosa era certa. Uno alla volta, i Ferguson immaginari sarebbero morti …. ma solo quando avesse imparato ad amarli come fossero veri, solo quando il pensiero di vederli morire gli fosse diventato insopportabile, e poi sarebbe stato di nuovo solo con se stesso, l’ultimo sopravvissuto. Di qui il titolo del libro: 4 3 2 1». Un libro che finisce mentre Archie Ferguson inizia a scriverlo, e si chiude col nome Happy (Felice).

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