L’autore descrive la sua città natale nelle sue più segrete stratificazioni, legate alle memorie di altri libri, di altri passi tra sottoporteghi e campielli, di altre suggestioni. Che rimandano alla sua poesia, a quella di Brodskij e di altri irregolari. Per lui, fondamentale, è l'esperienza della luce
Ognuno di noi ha serbato un ricordo, una fascinazione di Venezia, piccola e immensa città-palcoscenico, immergendola nelle torbide acque della curiosità o dell’attesa; situandovi nel lontanare o sfumare di quel ricordo la radice di una fatuità o malinconia che continua ad albergare in noi. Per un’ora o l’istante di un incontro, abbiamo tutti creduto di abitare Venezia come nobili attestati nei saloni e le araldiche di un castello splendido in rovina. Venezia. Nel labirinto di Brodskij e altri irregolari (Unicopli, “Le città letterarie”, 172 pagine, 14 euro) di Pasquale Di Palmo, studioso e poeta, con la sua trama divagante in apparenza, ma ricchissima e profonda nella libertà e nel rigore della composizione, ci offre una visuale mossa e svariante di Venezia, restituendone dietro l’aspetto ingannevole della trasognatezza le più segrete stratificazioni, i mille volti di una allegoria sfuggente di acque e pietre, che una politica accorta soltanto al tornaconto di una sconsiderata promozione del turismo di massa ha appiattito alla dimensione di una bellezza fascinosa ricostruita in laboratorio.