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Vampiri & volatori
Dal catalogo dei vampiri (autentici) di Roberto Barbolini a quello degli "uomini volanti" di Errico Buonanno. Passando per il "sorcio" di Simenon: un Maigret senza Maigret
Il vampiro. Un tipo strano è dire poco. È stato un “conducator” romeno al cui confronto Nicolae Ceausescu impallidisce per banalità. Parliamo del vampiro Vlad III Tepes, noto anche come l’“impalatore”: i nemici, senza testa, li infilava sui pali. Si dichiarava cristianissimo. Papa Pio II (al secolo Enea Silvio Piccolomini) gli chiese di partecipare alla crociata contro i turchi. Lui fu l’unico princeps d’Europa ad aderire. Si era metà del ‘400. Vlad, “il non morto” che aveva fama anche di teatralità (ovviamente lugubre), lasciò la vita terrena e quindi anche l’amore per l’oscurità e per il sangue umano, a soli 45 anni. Roberto Barbolini, autore della raccolta di racconti Vampiri conosciuti di persona (La nave di Teseo, 237 pag. 15 euro) in Transilvania c’è stato, sia pure non a lungo. Suo figlio Diego ha così commentato: “un mordi e fuggi“.
È stata una delle tante occasioni per questo funambolico narratore dai mille interessi (gli è stata affibbiata la nomea de “Il Fellini della scrittura“) per studiare con lente di ingrandimento storica, cultura ecclettica e tono di serio sberleffo, personaggi veri e non veri, per farli danzare sul palcoscenico della sua fantasia. Altra sua passione è Frankenstein, creatura letteraria prima di John William Polidori e poi di Bram Stoker. Racconti, dicevamo. Quelli che seguono hanno tutti il marchio della stramberia. Lunatici che si muovono anche nella cerchia familiare dell’autore modenese. Come quel medico che adorava il gnocco fritto esaltando il grasso lieve delle tavole emiliane, che non parlava male di Hitler e che era soprattutto un guaritore. Somministrava intrugli il dottor M.(alcuni colleghi giuravano che quella “M“ stava per Mengele), e “boccheggiava su un mare ubriaco“ e sovente accennava alla teoria della “circoncisione universale“ tirando in ballo il Gesù senza prepuzio: così esigeva la legge “e lui“ diceva ““non era certo un privilegiato”.
Il buffone. Un romanzo di Simenon fuori dagli schemi, sorprendente e a ritmo velocissimo. Non appartiene alla serie delle inchieste con il commissario Maigret, tuttavia compaiono poliziotti a noi già noti, come Lucas e Lognon. Un senza tetto in cerca di spiccioli apre una lussuosa auto e si accorge che al posto di guida c’è un morto dalla cui tasca esce una quantità incredibile denaro. Il barbone, chiamato Sorcio e noto perché fa battute esilaranti e s’impiccia di tutto, riesce a nascondere molti soldi in un luogo del tutto insolito. La vicenda, tutta a incastro, è il perno del romanzo (Il Sorcio, di Georges Simenon, Adelphi, 155 pg., 18 euro). Ma l’inchiesta della polizia si muove altrove, partendo dalla scomparsa di un ricco finanziere svizzero. S’indaga anche su un alto borghese che conduce una doppia vita trascorrendo parte del suo tempo in una zona periferica di Parigi assieme a una giovane donna. Fa di tutto per sembrare un piccolo borghesuccio. Il Sorcio conduce un’indagine parallela, tra milionari, gangster e donne altolocate. In ampie stanze di Place des Vosges sono più le domande e i misteri che le risposte.
Volare. È stato uno dei più tenaci desideri degli uomini, quello di staccare i piedi da terra. Senza alcun artificio: né mongolfiera, né aereo e nemmeno con le ali di Icaro (si sciolsero al calore del sole e precipitò). Eppure Errico Buonanno (premio Calvino 2003) ha raccolto testimonianze storiche su almeno duecento casi veri, e li ha raccontati in un libretto esilarante (Vite straordinarie di uomini volanti, Sellerio, 176 pg. 13 euro. Volarono, ma mica tutti, fino al 1700, epoca dei Lumi quando la gravitas (della ragione o della più brutale realtà) sconfisse la levitas. C’è da crederci davvero o quella dell’autore è una burla storico-letteraria? Crediamoci. Gli episodi descritti solleticano il lettore. Attorno al 1660 un certo frate Giuseppe di Copertino (Puglia) ne combinava di tutti i colori: era il contrario della più normale destrezza. Un imbambolato quando lasciava perdere pentole e altre cose e si sedeva entrando “in quello stato inerte- occhi sgranati, bocca aperta- che assomigliava alla preghiera e invece non era che stupore. Fuori da quello stato di grazia, lo chiamavano tutti “idioto”. Un giorno in chiesa, attorniato dalle monache, il frate emise un urlo. Lo videro alzarsi, riatterrare, balzare fino all’altare. Scrive l’autore: «Giuseppe aveva un potere, il dono degli svagati, di chi ha la testa tra le nuvole… degli inetti, gli esclusi, i pasticcioni, i falliti, i bambini, gli stupidi. Di chi non sa stare sulla terra, perché non fa parte».