“Corale greca” di Beatrice Masini
Nella mente di Clitennestra
Le più celebri protagoniste della tragedia e del mito prendono vita, nelle pagine della scrittrice milanese destinate ai ragazzi, oltre la dimensione epica conosciuta. Così, in tempi di consapevolezze sui rischi della misoginia, si analizzano le loro ragioni...
Mai come oggi il tema delle donne è attuale. In questo mondo in cui si manifestano continuamente episodi di violenza contro di loro e contro i più indifesi non si può ridurre tutto a questione di genere, pur restando fondamentale il coinvolgimento degli uomini. I fenomeni della vita sono spesso troppo piccoli per i poeti, ma si dovrebbe aggiungere anche per le donne perché non sempre sono proporzionati al loro cuore. Sono problemi di sempre: i rapporti tra i sessi malgrado il riconoscimento delle legittime esigenze di autoaffermazione delle donne, sono ancora carichi di ipocrisia perché l’antica paura che l’uomo nutre nei confronti dell’universo femminile rende arduo accettarle come persone. È certo che la misoginia ha avuto origine dal timore delle donne e l’ideologia della superiorità maschile ha tratto probabilmente principio da questa paura: i miti della società matriarcale e in particolare quello delle Amazzoni non provano forse l’esistenza di epoche in cui prevaleva il predominio femminile? Forse si trattò di misteriose visioni, ma è lecito pensare che la “femmina” nella storia del genere umano abbia suscitato reazioni psicologiche complesse con conseguenze di carattere religioso ed etico che trascendono le diverse condizioni delle donne nelle varie epoche storiche.
Lo conferma la significativa opera di Beatrice Masini, Corale greca (Einaudi Ragazzi, Ill. Sara Not, 171 pagine, 15 euro), nella quale le più famose protagoniste della tragedia, della commedia, del mito sembrano prendere vita non più imprigionate nella dimensione epica che conosciamo. Ecco così sfilare nella loro eterogenea varietà Alcesti, Alcmena, Arianna, Atalanta, Cassandra, Circe, Antigone e tante altre: sono donne coraggiose di forte temperamento, pronte a sacrificarsi, ma anche a reagire. Gli uomini ne hanno fatto figure stupende, uniche, ma le hanno tenute a distanza senza capirle fino in fondo. Difficile individuare i motivi di questa sorta di discrepanza fra le donne della società reale e le eroine impetuose del palcoscenico. C’era forse inconsciamente il tentativo di esorcizzare l’apprensione e la diffidenza che l’essere femminile fin dalla notte dei tempi ha suscitato nell’altro sesso?
Nell’antica Grecia essere donna significava identificarsi con i limiti più retrivi dell’esistenza: passività, ignoranza, docilità. Non a caso nel IV secolo a. C. Demostene affermava soddisfatto: «Abbiamo amanti per il nostro godimento, concubine per servire la nostra persona e mogli per generare la prole legittima». Gli uomini evidentemente temevano molteplici potenzialità riunite in un unico essere di sesso opposto, meglio distribuire equamente i ruoli, divide et impera, il famoso detto latino si poteva applicare anche alla vita quotidiana. Se in effetti molte pagine della storia degli uomini di quei secoli remoti sono rimaste oscure per insufficienza di dati archeologici, quella delle donne non sembra neppure esistita. C’era un’unica possibilità per emergere: sacrificarsi, accettare il martirio, dedicare la propria vita a una dea. I maschi da una parte, le femmine dall’altra: il nostro pianeta era diviso in due. In un mondo costruito magnificamente dalla forza degli uomini, si può presupporre che molte ragazze si sentissero a disagio e fuori posto; si misero perciò a cavallo di una scopa per volarsene via. Ma dove? Nonostante le loro qualità erano comunque destinate a condurre una vita di tragico fallimento.
Il grande Euripide condanna senza appello Clitennestra. Era una donna assassina del marito e questo basta. Ma chi era in realtà Clitennestra? Che cosa sognava da bambina, quali erano i suoi desideri? Aveva uno sposo che amava da cui aveva avuto un bambino quando arrivò il signore degli Argivi, Agamennone, che uccise tutti perché la voleva in moglie. Era sorella della bellissima Elena, anzi sorellastra perché era sì la sua gemella, ma figlia di Zeus, che travestito da cigno aveva, in un tripudio di candide piume, abbracciato sua madre, Leda. Clitennestra aveva cercato di dimenticare, di essere una buona moglie “zitta e rispettosa”, ma dalla bellezza di Elena non potevano che nascere guai e così avvenne. La divinità chiese in sacrificio la vita di Ifigenia perché le navi greche partissero verso Troia per riprendersi Elena. Era sua figlia e Agamennone, che era il padre, acconsentì. Non poteva perdonarlo. Ecco la tragedia.