Promemoria per il 2018/3
Hartung e il pompiere
“Polittici“ si chiama una mostra che, a Perugia, mette in relazione Hans Hartung e Piero della Francesca: tagli definitivi, ferite da risanare. Non bastano gli uomini: occorre un miracolo
Alla Galleria Nazionale di Perugia c’è una piccola, preziosa mostra dedicata a Hans Hartung e intitolata Polittici. Non è un caso. È una piccola mostra di opere tarde (metà degli anni Settanta del secolo scorso) del grande pittore tedesco. Si tratta di dipinti abbastanza desueti rispetto a ciò che di lui viene più spesso celebrato: due sale in tutto, ma che lasciano il segno. E, ripeto, non è un caso che la ospiti proprio Galleria Nazionale di Perugia, una delle più straordinarie collezioni italiane di arte medioevale (senza contare un gran numero di opere del Perugino): perché nelle sale del Palazzo dei Priori è conservato un meraviglioso polittico di Piero della Francesca, quello dedicato a Sant’Antonio. Si tratta di un lavoro della maturità (realizzato dopo il 1460), nella cui predella Piero dipinse una sorta di racconto sincretico: un dipinto (quasi) surrealista dedicato a Santa Elisabetta di Turingia. Ebbene, anche di fronte a Piero della Francesca ora è sistemato uno dei polittici di Hartung. Ed è un gioco di specchi doloroso giacché entrambe le opere espongono ferite non rimarginate: tagli di Fontana che han perso per sempre la possibilità di richiudersi.
Il polittico, in arte, è un discorso continuamente interrotto: un’emozione separata da se stessa. Tali sono le magnifiche tele realizzate da Hartung facendo seguire il filo del suo astrattismo attraverso una serie di pannelli singoli divisi da uno spazio cieco: una striscia di muro nel quale ciascuno appende il proprio dolore per una frattura non sanata. È un distacco, non uno strappo: non c’è violenza nei polittici di Hartung. Semmai rassegnazione quieta. E la quieta rassegnazione al destino (che al tempo chiamavano Dio) è anche l’oggetto della pittura di Piero della Francesca. Non c’è riso, in questa pittura: «Gli atti suoi pigri, e le corte parole/ mosson le labbra mie un poco a riso», dice Dante di Belacqua in Purgatorio, ossia l’unica persona che produca “riso” nel poeta. Pigrizia e parole corte: le pause dei comici, insomma.
Ridere delle pause dei comici: è questo il mio auspicio per l’anno ch’è appena venuto. Ridere per ricucire le ferite. Anche se è follia il pensarlo. Lo so. Giacché questo è un tempo suscettibile, come si diceva una volta: gli scontri prevalgono sugli incontri e basta un nulla per “urtare la suscettibilità” altrui. Nelle grandi città (ma non solo) si è persa del tutto la compattezza del tessuto sociale. Siamo brandelli di polittici, staccati uno dall’altro e, come nelle opere di Hartung esposte a Perugia, pronti a far strabordare il nostro sangue nel sangue del vicino.
Ho cercato di spiegarmi l’episodio assurdo della predella di Piero della Francesca. C’è un uomo con il cappello e le braghe rosse e la casacca blu che regge in mano un rampino. Che cosa ci fa, qui? Al centro della scena c’è un pozzo rotto. Una donna si affaccia nella cavità, forse per rassicurare qualcuno che ci è caduto dentro. A fianco del pozzo, due figure pregano in direzione di una piccola monaca in posizione sghemba che, all’estremità del dipinto, appesa a una scala, benedice la scena. La suora è Santa Elisabetta di Turingia, vissuta all’inizio del Duecento: si prodigò per i poveri delle sue terre comprando loro attrezzi da lavoro che potessero affrancarli dalla miseria. Piero della Francesca ne illustra un miracolo famoso: il salvataggio di un bambino caduto nel pozzo. La donna che guarda nel pozzo rotto dev’essere la madre che lo cerca. Le due figure che ringraziano la santa devono essere, subito dopo, la madre e il bambino appena “salvato”. È l’uomo col rampino? Diciamo che è un pompiere: l’uomo che non è riuscito a salvare il bambino. Di onesti pompieri, nel 2018, non ce n’è più, ecco. Occorrerebbe un miracolo per incollare i frammenti dei polittici. Ma, dov’è un altro Piero?