Una storia di (ingiusto) disagio
Supermarket
«Certo non lo voleva giustificare, quel piccolo delinquente, però neanche voleva infierire, oltretutto se avesse scritto un rapporto negativo gli sarebbero toccate altre carte da compilare, rogne e burocrazia»
L’uomo vestiva il camice bianco, ma lo teneva abbottonato storto. Fu questa la prima cosa che Tonino notò quando il dottore entrò nella stanzetta dove lui lo aspettava già da mezz’ora. «Esposito, me lo portate questo caffé?» – furono le prime parole che gli sentì dire, stupendosi, perchè erano quasi le stesse che suo padre, quando stava ancora a casa, urlava dal letto appena sveglio: «Nunziatì, m’’o ppuort ‘stu ccafé?».
Il medico si guardava intorno, come se gli mancasse qualcosa, oltre al caffé, per cominciare la giornata. Nella stanzetta c’erano una scrivania di ferro con sopra un portapenne e un calendario, un armadietto con un’anta scesa che non si chiudeva, tre sedie e un lettino sul quale erano accatastate montagne di cartelline sbiadite rigonfie di carte. Tonino si ricordava che quando una volta era stato all’ambulatorio del pediatra, aveva notato che la sua scrivania era piena di scatole e boccette colorate e che la lampada sul lettino -gli era rimasto impresso- era camuffata da giraffa.
«Esposito – aggiunse il dottore sempre a voce molta alta – mi serve anche l’incartamento di questo ragazzo».
Le parole del medico riportarono Tonino alla realtà, dimenticò il padre, il pediatra e gli altri pensieri che gli avevano attraversato velocemente la testa e capì che stava per cominciare il colloquio.
Così lo chiamavano alla ASL, “colloquio”, ma lui non aveva quasi aperto bocca le altre due volte che lo aveva già fatto. Però Ciro, il suo amico del rione che aveva già compiuto 14 anni e che di colloqui se ne intendeva, glielo aveva detto, che era meglio collaborare «cu’ chilli scieme della ASL» perché quelli poi scrivevano un rapporto e lo mandavano ai Carabinieri. E se nel rapporto c’era scritta la frase “disagio ambientale” oppure “famiglia in difficoltà”, i Carabinieri dovevano tenerne conto e lasciar cadere la denuncia.
Così Tonino si aggiustò sulla sedia e alzò la testa a guardare il medico, come per fargli capire sono pronto, possiamo cominciare.
Ma il medico non se ne accorse e mentre, questa volta urlando, ripeteva «Esposito, allora, arriva questo caffé?», gli squillò il cellulare che aveva nella tasca del camice. Controllò il nome sul display e rispose «Pronto, si pronto», uscendo sul corridoio per parlare senza essere ascoltato. Tonino perse un po’ della determinazione che aveva prima e si ammosciò sulla sedia, le spalle scese, lo sguardo fisso sulle scarpe.
Chissà quanto tempo avrebbe dovuto stare in quell’ufficio squallido, quasi quasi rimpiangeva la scuola dove, quando ci andava, si rintanava all’ultimo banco e si dedicava a fare i giochi sullo smartphone, isolandosi dalla voce monotona della professoressa e tornando vigile nei brevi intervalli tra una materia e l’altra. Ma ora questi della ASL gli avevano requisito il telefonino e anche se malvolentieri erano costretti a tenerlo d’occhio, a turno.
Mentre faceva questi pensieri, entrò Esposito portando un bicchierino fumante e una cartellina beige, e subito dopo rientrò anche il medico che finalmente sedette alla scrivania e sorseggiando lentamente il caffé mise a fuoco il ragazzino.
«Allora tu sei Varriale Antonio – disse mentre scorreva velocemente un foglio che aveva estratto dalla cartellina – e hai…sì, hai 13 anni».
Tonino lo guardò dritto negli occhi e annuì.
«Come mai ieri non sei andato a scuola?».
Tonino deglutì un groppo che gli si era formato all’improvviso in gola e cercò le parole adatte però finì per rispondere: «E che ci vado a fare?».
«Che vuoi dire?» – si irrigidì il medico.
«Dottò – cercò di recuperare Tonino – le professoresse parlano assai e io non capisco tutte quelle parole che dicono, così mi distraggo e loro si offendono. E poi, dottò, anche volendo non posso studiare perchè i libri mia madre non me li può comprare».
Il medico fece il gesto di avvicinare di nuovo il bicchierino di plastica alla bocca, ma si rese conto che il caffé era finito e un po’ stizzito lo buttò in un cestino che teneva sotto alla scrivania.
«In effetti qui c’è scritto che tua madre non ha un lavoro fisso…».
«Dotto’, papà se n’è andato sei mesi fa… ed è stato meglio così. E mamma fatica, va a fare i servizi a casa delle persone, guadagna sette euro all’ora. Ma i libri non me li può comprare».
«E allora mentre tua madre lavora, tu vai a rubare nei supermercati!».
Ma allora chisto nun ha capito niente – pensò sconfortato Tonino, ed ebbe voglia di non rispondere più, di restare muto. Poi si ricordò di quello che gli aveva detto Ciro, che nel colloquio bisognava collaborare. E allora abbozzò una risposta: «Dotto’, ma quello è stato uno scherzo, anzi una scommessa che avevo messo con Ciro, gliel’ho spiegato al maresciallo».
«Ah, e tu la chiami scommessa sottrarre più di trenta euro di merce?».
Tonino abbassò per un attimo lo sguardo, non voleva che trasparisse quello che veramente pensava, che‘o sazzio nun crede ‘o diuno e cercò un modo per farsi compatire. «Dotto’, io ho sbagliato lo so, ma era il compleanno di mia sorella e le volevo regalare i dolci per festeggiare…».
«E così per festeggiare tua sorella, tu e Abbate Ciro, l’altro ragazzo con cui ti hanno beccato, avete deciso di andare a rubare».
«Guardate, dotto’, a voi non vi voglio dire palle. Io la scuola non me la posso permettere, devo solo arrivare in terza, prendermi la licenza e cercare una fatica. Quest’estate sono stato quasi un mese ad aiutare al bar di Salvatore, portavo i caffé ai negozi e a quelli del mercatino. Ma poi Salvatore ha dovuto prendere il nipote e a me mi ha cacciato».
Il medico ascoltava e con gli occhi continuava a scorrere il foglio che aveva davanti. Cercava di acquisire qualche altro elemento, ma non per capirne di più, che tanto la situazione era fin troppo chiara, quanto per poter scrivere il suo rapporto. Certo non lo voleva giustificare, quel piccolo delinquente, però neanche voleva infierire, oltretutto se avesse scritto un rapporto negativo gli sarebbero toccate altre carte da compilare, rogne e burocrazia. Pensò di chiudere il caso scrivendo che il ragazzino viveva un disagio ambientale, che il tessuto familiare era compromesso anche per le difficoltà economiche, le solite cose insomma che scriveva per i ragazzi con meno di 14 anni.
Mentre faceva queste riflessioni di nuovo gli squillò il cellulare nella tasca del camice, lo prese spazientito e guardò con la fronte corrucciata il display. Numero sconosciuto. Ebbe un attimo di esitazione e poi rispose rimanendo seduto alla scrivania. «Chi è?».
Seguì un silenzio prolungato, interrotto da qualche flebile sì, sì. Poi domandò «E dove devo venire?». Ascoltata la risposta, disse «Scusi può ripetere?» e mentre lo chiedeva aveva girato il foglio con le informazioni su Varriale e scritto velocemente sul lato bianco Carabinieri stazione Chiaia largo Ferrandina. Chiuse la telefonata, rimase qualche istante muto, con lo sguardo nel vuoto, mentre Tonino lo osservava senza capire. Poi si riebbe e urlò: «Esposito! Esposito!».
L’infermiere accorse: «Che c’è dotto’, volete un altro poco di caffé?».
«Ma quale caffé… Venite qui, rimanete con questo ragazzo, io devo uscire immediatamente».
«Dotto’, ma che è successo…qualche problema a casa?».
«A casa, sì – rispose mentre con difficoltà cercava di sbottonare il camice – a casa».
«Dotto’, mi dispiace. Ma che gli dico al maresciallo dei Carabinieri, quello mo’ viene a ritirare il vostro rapporto sul ragazzo».
«Ah, già il maresciallo». Si fermò un attimo, girò di nuovo il foglio, non aveva il tempo di scrivere del disagio familiare e tutte quelle menate lì. Scrisse velocemente «Il ragazzo si rifiuta di dialogare, non riconosce di aver sbagliato. Comportamento recidivo», firmò e mise il timbro.
Tonino lo guardava preoccupato, istintivamente temendo che quest’accelerazione della situazione non sarebbe andata a suo favore. Fissò il medico che raccoglieva le sue cose per uscire in fretta e fece per alzarsi «Dottore, scusate e io?», ma Esposito lo trattenne per un braccio. «Siediti, non ti muovere».
Bloccato sulla sedia scomoda, Tonino non poté ascoltare la telefonata che nel corridoio il medico fece alla moglie: «Pronto, pronto Luisa, mi senti? Sto andando dai Carabinieri di largo Ferrandina, pare che hanno beccato Fabio all’uscita di Trony con un I-phone in tasca. Quelli del negozio l’hanno denunciato. Devi venire anche tu».