Every beat of my heart
Nel nome del padre
I versi d’apertura di una raccolta di Daniele Piccini del 2005, descrivono bene il pathos, la “conoscenza per ardore”, centrali nella dimensione dell’autore umbro. Che ha riconosciuto, nel dolore per la morte improvvisa del padre da cui quella raccolta è scaturita, la traccia del suo divenire poeta
Nato nel 1972, Daniele Piccini è uno dei pochi poeti forti della sua generazione. Già riconosciuto, ancora trentenne, come uno dei migliori studiosi della poesia italiana del secondo Novecento, ha dimensione di poeta inconfondibile e capacità sentimentale di pathos, centrale in poeti maestri come Luzi e Caproni, e in alcuni della mia generazione, poi in via di scomparsa. Pathos come la luziana «conoscenza per ardore» che non può accendersi in un territorio minimalista.
La poesia che ho scelto, intensa e fermamente vocante, apre il libro nato dalla precoce, tragica e improvvisa morte del padre. Qui visto epicamente come un nocchiero, il cui figlio, nostromo, segue per quanto gli è concesso nel suo viaggio per mari estremi. Il figlio che rammemora e cerca di rifare vivo nel presente il volto scomparso, ci appare in questi versi e in tutto il libro come il giovane iniziato dalla perdita del padre a divenire poeta.
Poeta già era, ma ora coglie, nel dolore della morte, anche un segno di agonismo per la vita.
Ti porto via
dalla plancia di comando
di questo cimitero
che prende il mare.
Vecchia cellula erosa
abituata ai venti,
ne guido l’abside di vedetta.
Tu nel ponte di sottocoperta, primo
mio viaggiatore amato,
a cui devo l’onore del viaggio.
Non ti proteggerò dal lungo buio delle notti,
ma sarò lucciola perenne che brucia con la tua,
sfarfallando negli anni.
La terra si è ricoperta di fiori,
e io guido la carica della nave
su cui ti sei imbarcato senza dirmi
neanche “ciao” (e lo avresti voluto,
anche per essere un’ultima volta mio).
Daniele Piccini
(Da Canzoniere scritto solo per amore, Jaca Book, 2005)
foto © Leonardo Cendamo