Periscopio (globale)
Quaranta volte Matera
All'American Academy di Roma, quaranta fotografie dagli anni Trenta a oggi raccontano una città (Matera con i suoi Sassi) quasi sospesa nell'eternità della sua immobile meraviglia
Restano ancora una decina di giorni per chi voglia andare a vedere l’interessante e stimolante mostra fotografica su Matera e dintorni all’American Academy di Roma, prima che la stessa si trasferisca proprio a Matera, a Palazzo Lanfranchi, dove resterà visibile e visitabile fino al 4 febbraio del 2018. Inaugurata lo scorso 12 ottobre e curata da Lindsay Harris, la mostra riunisce fotografi degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, senza disdegnare una veloce incursione nella fotografia contemporanea.
La scommessa di questa mostra dal titolo suggestivo (Matera immaginata) nasce appunto dall’aver voluto riunire, intorno allo stesso soggetto, fotografi molti diversi tra loro per esperienze e poetica, finendo col dimostrare tuttavia come a prevalere su tutto, per la forza del suo stesso esserci, della sua ontologia, sia proprio il soggetto, ossia la città di Matera, con i suoi Sassi, la gravina, le cisterne d’acqua, la gente che vi si è abbarbicata nel corso dei millenni. Fotografi molto diversi, dicevamo: e in effetti si va dal fondatore della Magnum, David Szymin o Seymour (foto in fondo all’articolo), più conosciuto come Chim, e dal suo sodale e complice Cartier-Bresson a esponenti dell’epoca d’oro del fotogiornalismo statunitense come Esther Bubley, Marjory Collins e Dan Weiner, che pongono maggiormente l’accento sugli aspetti politico-sociali; da fotografi italiani dotati di una forte personalità individuale come Piergiorgio Branzi e Fosco Maraini a un documentarista-fotografo da sempre legato a Matera, per il tramite di Carlo Levi, qual è Mario Carbone (foto sotto), essi tutti attenti agli aspetti antropologici, nel quadro di quella rinascita della città che negli anni Cinquanta e Sessanta sembrava imminente; da un grandissimo “locale” come Augusto Viggiano, che si darà da fare per mantenere inalterata l’attenzione del pubblico intorno a Matera e alle sue contraddizioni, a instancabili sperimentatori come Luigi Ghirri e Mario Cresci; da un ritrattista come Emmet Gowin a architetti-disegnatori come Joseph Williams e Yasmin Vobis, per finire con Carrie Mae Weems, considerata negli Stati Uniti una delle massime esponenti della fotografia contemporanea.
La menzione di tutti questi artisti è assolutamente doverosa e necessaria, poiché ciascuno di essi ritrae Matera seguendo una propria idea, focalizzando l’attenzione su aspetti diversi della vita cittadina e delle peculiarità di un luogo unico al mondo. Si potrebbe dire, con una perdonabile iperbole, che tutto il mondo è in ognuno dei quaranta scatti proposti, e che ognuno di questi scatti è un mondo a sé. Di questo tutti i fotografi qui presentati mostrano di aver avuto piena consapevolezza, ed è forse proprio in questa consapevolezza che risiede l’autentico trait d’union, il filo che consente di legarli tra di loro senza mai disconoscerne le specificità. Come in tutte le evocazioni della città, si parte naturalmente e debitamente dagli anni Trenta, gli anni della riscoperta di Matera a seguito della pubblicazione del libro di Levi – libro che parte della società materana ancora considera oltraggioso –, si passa per l’immediato dopoguerra, le polemiche sulla “vergogna” d’Italia e i tentativi di sviluppo urbanistico con la creazione del quartiere La Martella avviata tra gli altri da Adriano Olivetti, per arrivare, con la Weems (foto sotto), fino ai nostri giorni, curiosamente ritratti senza alcuna concessione alla contemporaneità, come se a Matera si fosse ormai instaurata, grazie all’immutabilità dei Sassi, una specie di prodigiosa eternità.
Corredano la mostra un numero della rivista Comunità del settembre-ottobre 1950 e un’altra pubblicazione, dell’American Society of Magazine Photographers, del 1957, nelle quali il reportage fotografico non si limita ad accompagnare il testo scritto, ma ne esalta e a volte ne sovverte i significati.
Nello scorrere una a una queste immagini, oltre a Levi e alle sue famose pagine su Matera, viene in mente, quasi inevitabilmente, il Pasolini che sceglie di girare proprio fra i Sassi, quasi fossero una specie di compendio o sineddoche di Gerusalemme, il suo Vangelo secondo Matteo. Ma s’impongono altresì all’attenzione, nello stesso tempo, gli elementi che con il passare degli anni si sono sovrapposti al sostrato contadino e rupestre, da quello rinascimentale a quello barocco, ed è proprio questo sovrapporsi per tanti versi inaspettatamente armonioso a rendere Matera così eccezionale, a sancirne l’irripetibilità.
Oggi la scelta sembra essere quella fra il modello turistico “mordi e fuggi” – basti tra tutti l’esempio-scempio di Carcassonne –, in cui anche la fruizione turistica, come quasi tutto al giorno d’oggi, sarà necessariamente rapida e superficiale, e la creazione o ri-creazione di un luogo dove la gente possa vivere e che sia anche, ma accessoriamente, un’attrazione turistica ben valorizzata. Le lotte, ormai storiche e lontane nel tempo, condotte da scrittori come Bassani, architetti come Laureano, fotografi come i già citati Carbone e Viggiano, dai ragazzi che negli anni Sessanta diedero vita al Circolo La Scaletta e ai quali si deve fra l’altro la scoperta della Cripta del peccato originale nella gravina di Picciano, poco fuori Matera, sembrano indicare che la società civile materana sia periodicamente in grado di trovare al proprio interno, a dispetto del provincialismo e dell’approssimazione che sempre incombono, le forze in grado di trovare un equilibrio fra un passato non sempre brillante e un futuro che si riveli, come si suol dire oggi, sostenibile. Nel senso stretto del termine: un futuro che anzitutto gli abitanti possano sostenere e sopportare, senza essere esposti al ricatto del livellamento verso il basso, del graduale e irrefrenabile depauperamento del patrimonio artistico e culturale.
Per il momento e in attesa degli effetti del 2019, anno in cui Matera sarà Capitale europea della cultura, questo è più un auspicio che un dato di fatto acquisito. In altre parole: più una speranza che una certezza.