Vincenzo Nuzzo
Tra pensiero e religione

Metafisica dello spirito

Da una parte la logica assoluta di Bertrand Russell, dall'altra il pensiero intuitivo-contemplativo: sono i termini (antitetici) entro i quali si dibatte la filosofia di oggi

Forse potrebbe non interessare tutti il fatto che oggi esista una disciplina denominata «filosofia religiosa», e che essa domini una buona fetta della filosofia detta «continentale». Laddove quest’ultima è quella geograficamente europea e non anglosassone. Può però avere un certo interesse il fatto che, più in particolare, la filosofia continentale è quella che non si è convertita ancora al modello di un filosofare puramente tecnico e quindi nemmeno più lontanamente umanistico. Per chi non lo sapesse, infatti, la filosofia tende ormai ad essere insegnata nella forma quasi esclusiva di una logica proposizionale (di stampo fortemente aristotelico) che però si presenta in maniera analitico-critica, e cioè tende a chiarire puntigliosamente fin nell’ultimo dettaglio ciò che si dice nel mentre si pensa. E per essere più rigorosa in quest’opera, lo strumento da essa utilizzato per il chiarimento ultimativo è quello delle formule matematiche. La classica argomentazione filosofica è stata quindi sostituita dallo sviluppo di equazioni. La più piena forma di tale filosofare si ritrova nella Filosofia Analitica di Bertrand Russell. Successivamente, da essa si sono poi differenziate ulteriori forme (Filosofia del Linguaggio, della Mente, della Matematica etc.). E per questa via, poi, sempre più la filosofia si è approssimata alla sfera degli studi cognitivi; ossia quelli condotti sulla struttura e funzione del cervello e della mente, e che inoltre si muovono sulla falsariga delle attuali conoscenze di informatica, o anche detta «intelligenza artificiale».

E proprio qui veniamo al dunque. Perché l’intellettuale (uomo colto, artista, poeta, letterato, scrittore, giornalista) che prima sentiva di potersi chiamar fuori a buon diritto dal tema della filosofia religiosa, invece a fronte di tale complessivo scenario decisamente non lo può più. Quando infatti parliamo degli studi (filosofico-scientifici) sul cognitivismo, o intelligenza artificiale, noi parliamo di una sfera di conoscenza con un preciso e puntuale corrispettivo poietico di tipo tecnologico, e cioè quello della robotica. Ebbene questo sembra essere ormai l’unico campo del moderno sapere in cui un «filosofo» viene ancora essere considerato uno che serva davvero a qualcosa. Ma intanto il suo sapere deve consistere unicamente ed esattamente in quell’igiene rigorosa del pensare che è la logica (da Aristotele, alla Scolastica e fino a Kant, ad Husserl, ai neo-kantiani ed infine alla Filosofia Analitica), ossia quella tecnica del pensare che permette di differenziare nettamente tra ciò che può essere legittimamente pensato e ciò che invece non può esserlo. La distinzione è insomma quella tra un pensare realmente produttivo (che mette capo a verità poi effettivamente sfruttabili) ed un pensare invece solo improduttivo (che mette capo alle entità appena irreali e chimeriche poste in luce da Kant come «paralogismi logici»). E lo strumento dirimente per questo è il linguaggio (le proposizioni nella loro coerenza strutturale), ma oggi arricchito dei nuovissimi strumenti offerti dalla più avanzata matematica (specie quella quantistica).

Ebbene, è evidente già a prima vista che la prima vittima filosofica di questa complessiva operazione è quella disciplina da sempre conosciuta come «metafisica». Una disciplina nella quale da sempre l’intelletto dell’uomo indulge a soffermarsi su entità del tutto irreali, che però (misteriosamente) sussistono effettivamente nella sua mente. In altre parole egli le vede letteralmente davanti al suo sguardo intellettuale, anche se esse non stanno da nessuna parte, cioè non sono affatto alla portata dei sensi. Insomma non sono cose in cui ci si imbatta sensibilmente nel mondo. Kant fu il primo a fare giustizia di tali oggetti, spazzandoli così via per sempre dall’ambito della conoscenza filosofica. Ma essi erano intanto comunque restati, e si rendeva quindi necessaria una seconda operazione di pulizia. E questa operazione fu condotta prima da Nietzsche e poi da Heidegger. Tuttavia nemmeno così fu raggiunto l’obiettivo, dato che l’ambizione di questi pensatori (specie il secondo) – nonostante essi parlassero espressamente di una vera e propria «distruzione» della metafisica – era semmai quella di riformare la disciplina.

Ripresentandola così in una versione sostenibile, in relazione alle nuove prese di posizione della cultura filosofica e poetica; e cioè quella dominata ormai totalmente dalle evidenze imposte dal Nichilismo. Evidenze che reagivano al tradizionale idealismo filosofico (da sempre presupponente un «mondo ideale» più autenticamente esistente di quello «reale»), ma conseguentemente reagivano anche alle tradizionali istanze di ogni religione, e non solo di quella cristiana (sostanzialmente all’idea di un Dio invisibile e trascendente che agisce salvificamente sull’uomo e sul mondo). Con ciò venne dunque archiviata anche l’etica tradizionale.

Ma intanto la filosofia conservò comunque un impianto riconoscibilmente metafisico ed etico. Ed infatti (nonostante l’intermezzo di un’epistemologia piuttosto pura come quella di Husserl) ritornò così a delinearsi un’ontologia, ossia una sfera di conoscenze filosofiche che comunque teneva in piedi due tra le più tradizionali entità metafisiche, e cioè «l’essere» e «il mondo». Ma non il mondo della vita ordinaria, bensì invece il mondo come luogo di senso e come oggetto di una speculazione strenuamente etica che pone in evidenza la tragedia esistenziale comportata dalla finitudine e dalla mortalità.

Dunque il veto davvero definitivo alla metafisica poteva venire solo da parte della Filosofia Analitica e delle forme filosofiche ad essa succedute. Solo questa forma del filosofare era infatti in grado di liberarsi in un solo colpo della metafisica ed anche dell’etica. Invece l’eliminazione dell’una senza l’altra non sarebbe stata mai possibile, in quanto incompleta. In ogni caso, come perfettamente messo in luce da Hans Jonas [Jonas Hans, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Einaudi, Torino 1997], il sempre più intenso impegno di tale complessiva disciplina filosofica nel campo dell’intelligenza artificiale e robotica implicava necessariamente l’avere le mani totalmente libere da discipline che di per sé sempre pongono freni. La metafisica infatti ha al proprio centro l’uomo inteso in maniera assolutamente non naturalistica, ma invece intensamente spirituale. E l’etica pone allo stesso modo l’uomo come arbitro assoluto di un giudizio di qualità sul mondo. Ed è evidente che gli attuali così profondi stravolgimenti tecnologici riguardanti proprio l’uomo (eugenetica, robotica, riproduzione artificiale dell’intelletto) non possono venire portati a termine in presenza di una metafisica e di un’etica. Ma il bando comminato verso queste ultime da parte della nuova filosofia-scienza non poteva non comportare anche l’abrogazione ormai davvero totale della religione, ovvero, più precisamente, dell’esperienza religiosa. Ed infatti buona parte della filosofia prima menzionata si è espressa esattamente in tal senso, sostenendo così le ragioni di un “ateismo radicale” (Hägglund).

Ebbene, proprio qui viene alla ribalta la moderna filosofia religiosa – con i suoi prestigiosissimi nomi: Lèvinas, Marion, Henry, Derrida, Falque, Kevin Hart, Karl Barth, John Caputo etc. Non vi è qui naturalmente lo spazio per illustrarla in tutte le sue forme, che sono estremamente ricche e composite (anche per l’enorme pleonasmo delle idee presentate). Per questo posso solo rimandare il lettore ad un articolo che ho recentemente scritto sul tema e che ho presentato sul mio blog [https://cieloeterra.wordpress.com/2017/11/04/la-moderna-filosofia-religiosa-e-davvero-filosofico-religiosa/]. Quello che però va detto è che, per l’uomo religioso (senz’altro ingenuo, nella sua intuizione certa di ciò che per davvero può essere considerato «religioso»), questa complessiva disciplina è assolutamente paradossale, se non provocatoria. E lo è perché essa fa l’esatto contrario del reagire al bando comminato contro la metafisica (con incluse un’etica e religione entrambe metafisiche) da parte della nuova filosofia scientifica. Essa invece fa letteralmente proprio questo bando. Lo sposa e lo impersona. Essa prende insomma atto delle effettive ragioni di un ateismo radicalmente anti-idealistico ed anti-sovrannaturalistico, e dell’assoluto «iper-realismo» ad esso connesso.

E così concorda pienamente sul fatto che non vi è alcun mondo ideale, sovrannaturale e divino, che non è credibile alcuna immortalità dell’anima, e soprattutto che non vi è per davvero alcun Dio Trascendente. Pertanto la religione (che essa però intende comunque far sopravvivere all’azione decostruttiva della più moderna filosofia) deve essere considerata letteralmente immanente, terrena, carnale, sensibile, materiale ed infine umana nel senso più naturalistica possibile.

Posto, insomma, che non è credibile né un Dio Trascendente e nemmeno un vero Dio Incarnato (cioè il Cristo), allora qui al massimo noi possiamo credere in un uomo-dio assolutamente metaforico, e cioè nel Gesù storico. Questo Gesù è quindi il prototipo dell’uomo religioso impegnato nella prassi della carità paolina (come Ecclesia) ed è anche il Maestro che ha introdotto (storicamente) gli uomini a questa credenza e prassi.

Ebbene, è evidente che, dopo tale operazione, giace in macerie la religiosità tenuta in piedi per fin troppo tempo dalla retorica teologico-confessionale. È del tutto evidente infatti che non si può affermare alla lettera che esiste un mondo divino ideale e quindi un Dio Trascendente. Dall’altro lato però ciò può legittimamente essere affermato in maniera non letterale (e quindi non rigorosamente logica), ossia in maniera intuitivo-contemplativa. È insomma esattamente quanto l’uomo ha da sempre fatto coltivando una metafisica. Ed allora non giace affatto in rovina l’esperienza religiosa sostenuta da questo tipo di pensiero, fede, e relative affermazioni. Essa cioè non viene nemmeno sfiorata dalla moderna filosofia religiosa. E parlo di un’esperienza religiosa restata sempre viva, fin dai primordi dell’umanità: dall’animismo, alla mitologia ellenica (con le pratiche misterico-iniziatiche e relativa metafisica religiosa), alla tradizione ermetico-alchemico, gnostica e teurgica, alla riflessione neoplatonica (ebraica, araba e cristiana), alla mistica di tutti i grandi monoteismi, ai pensatori contemplativi della natura e teosofi (Paracelso, Bruno, Böhme, Thauler, Blake, Sweedenborg, Steiner), ai pensatori moderni più arditamente religiosi e contemplativi (Leòn Bloy, Edith Stein, Simone Weil, Gerda Walther). Per giungere addirittura fino al più moderno spiritismo ed occultismo, ossia alla cosiddetta «parapsicologia». A tutto questo io credo che si possa dare il nome di una religione rigorosamente «spiritualista».

Ebbene, in tale contesto l’esperienza religiosa è stata sempre vissuta in modo basilarmente carnale, e cioè per mezzo di una vera e propria azione liturgica in cui il Dio si manifesta. Ma senza intanto concedere assolutamente nulla alla classica retorica occultante (in gran parte moralistica e normalizzante), che su questo tipo di esperienza è stato da sempre gettato dalla teologia confessionale islamica e cristiana. È per questo motivo che, a mio avviso, privandosi dell’apporto proprio di questa dimensione dell’esperienza religiosa, la moderna filosofia religiosa è senz’altro molto sofisticatamente «teologica» ed ancor più «filosofica». Ma intanto non ha alcun diritto di rappresentare in alcun modo ciò che effettivamente è «religione».

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