Al Museo dell'Attore di Genova
Il popolo di Govi
Il padrone taccagno, il portuale ruvido, il comandante baldanzoso, il pescatore saggio: nei ritratti di Gilberto Govi c'è l'umanità autentica della sua città. Finalmente si può ritrovarla nei sui disegni e nel suo studio "ricostruito"
Eccoci nello studio di Gilberto Govi, la più grande maschera del teatro genovese, tra appunti, costumi, libri e fotografie. L’ambiente è stato ricostruito ed esposto in maniera permanente nel Museo Biblioteca dell’Attore di Genova, negli splendidi locali di Via del Seminario 10. Dopo una trentennale e provvisoria collocazione al Museo di Sant’Agostino, lo studio ha finalmente trovato la sua destinazione definitiva, come da volere testamentario di Rina Govi. Questo evento è stato il degno coronamento del cinquantesimo anniversario della morte dell’attore e del cento trentesimo anniversario della nascita (Genova 1885-1966), due anni che sono sforati in altre iniziative nell’anno in corso.
Un amore infinito, quello tra la città della Lanterna e il suo maggiore interprete teatrale e cinematografico, che ebbe un grande successo anche in Sud America, in particolare in Uruguay e Argentina. La mostra su Govi tenuta alla Loggia di Banchi ha avuto oltre 30.000 visitatori, con innumerevoli richieste per farla diventare un’esposizione permanente: questo entusiasmo ha portato alla collocazione dello studio nel Museo Biblioteca dell’Attore di Genova. Nell’occasione è stato presentato anche il volume Gilberto Govi cinquant’anni dopo a cura di Eugenio Buonaccorsi, appena uscito per le edizioni De Ferrari.
Il materiale in esposizione proviene dal fondo Govi, istituito per volontà della signora Rina Govi nella speranza che gli oggetti appartenuti al marito potessero rimanere patrimonio della città che egli aveva tanto amato. La collezione, articolata in due sezioni, comprende lo studio originale di Govi, così come appariva nella casa di Piazza della Vittoria, e una ricchissima raccolta di fotografie, copioni, documenti, abiti di scena, bauli e l’iconico gipponetto di “gassetta e pumellu”.
Ancora oggi le compagne dialettali della riviera ligure lo amano, lo adorano e lo portano in scena come se fosse un autore contemporaneo. Ma quale era la forza di Gilberto Govi? Aver studiato all’Accademia di Belle Arti. Lui disegnava prima i personaggi e soprattutto le espressioni grottesche del volto, le caricature che delineavano compiutamente ogni ruga. Non solo, questo trucco scaturiva da una enorme collezione di fotografie di personaggi più o meno noti, dei quali carpiva una smorfia, una pettinatura, un modo di porre le labbra o di smuovere i baffi. Prototipi di una città portuale: il padrone taccagno, il portuale ruvido, il comandante baldanzoso, il pescatore saggio, la signora grassa, il peperino degli anni giovanili, la ragazza innocente. Ma era soprattutto il suo viso a reggere la scena facendolo diventare un inimitabile caratterista, capace di trasmettere una enorme carica di ironia e fantasia grazie anche alla spontaneità, all’improvvisazione e ai suoi silenzi enigmatici.
Se la parola “zenéize” compare sulle maglie del Boca Juniors, raggiungendo fama internazionale, la stessa parola è poco conosciuta oltre i confini liguri. Govi utilizzò un dialetto non troppo stretto per farsi capire. Così la sua forma comunicativa poté essere esportata fuori da Genova invadendo i teatri, la televisione e il cinema. Ancora oggi i suoi spettacoli, oramai in DVD, continuano a mietere sorrisi: Pignasecca e Pignaverde, Quello Buonanima, Colpi di timone, Sotto a chi tocca, Gildo Peragallo ingegnere e soprattutto il celeberrimo I manezzi pe majâ na figgia. Non a caso, nel 1957 la Rai sperimentò la ripresa diretta delle sue commedie a teatro: fu un trionfo incredibile con record d’ascolti mai più raggiunti da altre rappresentazioni simili.
Meno fortunata fu l’apparizione nel cinema con quattro pellicole di cui due tratte dal suo lavoro teatrale: Colpi di timone del 1942, diretto da Gennaro Righelli, Che tempi! del 1947, diretto da Giorgio Bianchi, Il diavolo in convento (1950), diretto da Nunzio Malasomma e infine Lui, lei e il nonno (1961), girato a Napoli a colori da Anton Giulio Majano e prodotto dall’armatore Achille Lauro. Il suo grande merito fu quello di aver lanciato Walter Chiari nel mondo del cinema. Apparve anche a Carosello per una marca di tè interpretando il personaggio di Bàccere Baciccia, portiere di un caseggiato genovese, conosciuto per l’estrema tirchieria, ma adorato dai bambini, ai quali ripeteva una frase rimasta celebre: «Da quell’orecchio, non ci sento; da quell’altro, così così».
Amerigo Armando Gilberto Govi, nato a Genova il 22 ottobre 1885 da una famiglia di origine emiliana, abbandonò il destino di disegnatore industriale per dedicarsi al teatro fondando un piccolo gruppo in vernacolo finché nel 1913 non riuscì a dar vita alla sua “La dialettale” che ebbe un successo nazionale e internazionale. Della compagnia faceva parte anche Caterina Franchi, in arte Rina Gaioni, con la quale si sposò dividendo la scena per mezzo secolo. Nel 1926 compì la prima tournée in America Latina in piroscafo, durata mesi, che lo portò a rappresentare ben settantotto commedie nei luoghi dove vivevano gli emigrati liguri, in particolare Argentina e Uruguay. Una esperienza che venne ripetuta negli anni successivi tanto che una attrice della compagnia, Jole Fano, rimase in Sudamerica fondando un proprio teatro e un’emittente radiofonica in Cile.
Nel 1960 aprì il sipario sulla commedia Il porto di casa mia, scritta dal poeta Enrico Bassano, due anni dopo si ammalò e nel 1966 se ne andò a 81 anni. Nel curriculum restano ben 81 commedie ancora oggi rappresentante dai gruppi dilettanteschi liguri con tanta malinconia per le sue inimitabili espressioni.