Roberto Verrastro
A proposito di "La Raf e la Stasi"

Equivoci di piombo

Una raccolta di documenti della ex DDR sugli Anni di piombo testimonia l'ostilità della Stasi nei confronti del terrorismo occidentale e della “organizzazione neofascista Brigate Rosse”

Due scene del crimine e due Paesi accomunati da un passato che non passa. È il 1977, anno segnato in Germania Ovest dal sequestro a opera del commando «Siegfried Hausner» della RAF (Rote Armee Fraktion), il più noto gruppo terroristico tedesco occidentale di estrema sinistra, del presidente della Confindustria tedesca, il cristiano-democratico della Cdu ed ex nazista Hanns Martin Schleyer, avvenuto a Colonia il 5 settembre, con modalità molto simili a quelle riservate sei mesi dopo a Roma dalle Brigate Rosse al presidente della DC Aldo Moro: l’improvvisa apparizione di un ostacolo sul percorso delle vetture attese per l’agguato, un gruppo di fuoco che entra in azione uccidendo in pochi attimi gli uomini della scorta per prelevare l’ostaggio, il ritrovamento del corpo della vittima abbandonato in un auto al termine di poco meno di due mesi di prigionia.

Similitudini che riaffiorano ora dopo un quarantennio in un volume di 111 pagine disponibile online, «forze anarco-terroristiche. La Rote Armee Fraktion e la Stasi», pubblicato con la consulenza scientifica di Tobias Wunschik dall’ente federale con sede a Berlino che dal 1990, anno della riunificazione, studia i documenti superstiti della Stasi, la polizia segreta dell’ex Germania Est. L’ente, noto in Germania con l’acronimo BStU (Bundesbeauftragte für die Stasi-Unterlagen), è diretto dal 2011 dal giornalista Roland Jahn. Mentre l’Italia fa ancora i conti con i fuggiaschi degli anni di piombo, a partire da Alessio Casimirri, l’ultimo latitante del caso Moro, l’introduzione del volume sostiene che negli anni Settanta alla Stasi, così come alla SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands), il partito unico della Germania comunista, sembrava troppo insidioso fomentare il terrorismo di sinistra in Occidente. I documenti cartacei esistenti, talvolta ricostruiti a mano se i pezzi erano stati solamente strappati, rivelano piuttosto un orientamento di tolleranza del terrorismo finché non avesse rappresentato un rischio per la sicurezza della stessa Repubblica democratica tedesca. La Stasi esaminò pertanto da un punto di vista tattico e logistico i sequestri di personalità occidentali come Schleyer e Moro, per farsi trovare preparata nel caso in cui lo stesso copione fosse andato in scena ai danni di esponenti della DDR. E un documento datato Berlino, 8 giugno 1978, riprodotto a pagina 41, liquida in termini sprezzanti i responsabili della morte del leader democristiano: «Ha intrapreso la realizzazione dell’attentato l’organizzazione neofascista Brigate Rosse che, con la propagazione di schemi di pensiero pseudorivoluzionari, conduce in Italia diffuse azioni terroristiche».

La ricostruzione degli scenari del terrorismo in Europa occidentale e in Medio Oriente prevedeva l’identificazione dei militanti dei gruppi estremisti e dei loro eventuali contatti nella DDR, anche per ostacolarne la sospetta manipolazione da parte dei servizi segreti occidentali e ponendo attenzione ai neonazisti della Germania Ovest, infiltrati da 161 IM (Inoffizielle Mitarbeiter, i collaboratori informali della Stasi). I terroristi della RAF entravano in Germania Est attraverso il confine cecoslovacco e l’aeroporto Schönefeld di Berlino Est, dal quale potevano poi decollare verso i campi di addestramento militare dei palestinesi di Al-Fatah in Giordania.

Appunti dell’agosto 1970 classificati come «streng geheim» (top secret) o «streng vertraulich» (strettamente confidenziale), registrano l’arrivo nella DDR di due fondatori della RAF, l’avvocato Horst Mahler e Ulrike Meinhof, la giornalista 35enne che nel maggio precedente aveva aiutato l’evasione del terrorista Andreas Baader, anch’egli fondatore della RAF con la sua compagna (anche di vita) Gudrun Ensslin. La prima generazione di terroristi del gruppo fu quindi chiamata dai media tedeschi Banda Baader-Meinhof. Da pagina 20 del volume è leggibile un colloquio di circa venti minuti del 17 agosto 1970 tra Ulrike Meinhof ed Erich Rau, segretario del consiglio centrale della Libera Gioventù Tedesca (FDJ, Freie Deutsche Jugend), l’ala giovanile della SED. Meinhof tenta di sondare se la DDR tolleri la preparazione sul suo territorio di attentati in Germania Ovest. L’atteggiamento di chiusura di Rau induce la terrorista a correggere il tiro, sostenendo di cercare un dialogo con i compagni (Genossen) della SED e di non volere coinvolgere all’estero i giovani del partito in storie illegali. Meinhof domanda inoltre se qualcuno sappia dove abbia la sua sede a Berlino l’ufficio di Al-Fatah, organizzazione collegata tramite il terrorista palestinese Abu Youssef a Settembre Nero, il gruppo che due anni dopo avrebbe massacrato 11 atleti israeliani ai Giochi Olimpici di Monaco di Baviera. Munich, l’ottimo film di Steven Spielberg del 2005 sulla vicenda, è in parte ambientato a Beirut, dove nel 1973 Abu Youssef fu stanato dal Mossad e ucciso con la moglie in camera da letto.

Il 9 maggio 1976, Ulrike Meinhof fu trovata impiccata alle sbarre della finestra della sua cella, al settimo piano del carcere di massima sicurezza di Stammheim, a Stoccarda. Lo stesso carcere in cui l’anno seguente, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1977, morirono Andreas Baader e Gudrun Ensslin, anch’essi ufficialmente per suicidio. E la stessa notte in cui una squadra del GSG 9 (Grenzschutzgruppe 9), il corpo speciale dell’antiterrorismo tedesco varato nel 1973 dopo i fatti di Monaco e tuttora operante, irrompe in Somalia a Mogadiscio sul Boeing 737 della Lufthansa dirottato nei giorni del sequestro Schleyer come ulteriore strumento di pressione per ottenere il rilascio di alcuni detenuti della RAF. Furono liberati tutti i passeggeri e uccisi tre dei quattro dirottatori, militanti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di George Habash, un medico arabo cristiano scomparso ad Amman nel 2008 che, nella sua lotta a Israele e all’Occidente, non si ispirava all’idea di guerra santa ma al marxismo, dettaglio rilevante in un mondo che parla da sempre con disinvoltura di terrorismo «islamico».

A pagina 40 del volume, si trova un documento con una frase che è un fermo immagine degli anni di piombo: «Esito dell’autopsia: a Schleyer hanno sparato alle spalle il 18.10.77». Il corpo fu ritrovato in un’Audi a Mulhouse, città francese nella regione di confine tra la Germania e la Svizzera. La sintesi di quegli anni è invece nel titolo di un articolo dell’aprile 2017 firmato da Michael Sontheimer sullo Spiegel, primo settimanale tedesco: «Anwalt, RAF-Gründer, Nazi». Avvocato, fondatore della RAF, nazista. Si riferisce all’avvocato 81enne Horst Mahler, approdato da anni alla militanza neonazista.

Facebooktwitterlinkedin