Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Dopo l’ascesa

Anteprima di una poesia inedita di Roberto Mussapi che apparirà in un libro in uscita nei prossimi giorni: “Voci di montagna” di Nicola Alessi e Silvia Granata. Così il poeta si misura con uno degli elementi costitutivi del nostro subconscio che non entra nella sua personale mitologia…

Questa è una mia nuova poesia che i lettori di Succedeoggi sono i primi a incontrare. Compare in un libro in uscita in questi giorni, un libro non di poesia: Voci di montagna. Le parole, gli sguardi, i silenzi (edizioni LeChateau). Nicola Alessi e Silvia Granata hanno realizzato questo volume intervistando sul tema della montagna scrittori, giornalisti, uomini di cultura, sportivi. Tra cui una fuoriclasse, la mitica Stefania Belmondo, pluricampione dello sci di fondo. E scrittori e giornalisti, come Franco Brevini, Silvia Giacomoni, il poeta Franco Loi. Non ci sono ospiti imbarazzanti, personaggi mediatici o immotivatamente egocentrici. Il rigore della scelta dei nomi fu decisivo per ascoltare l’invito che mi venne posto, e inoltre compresi subito che i curatori-autori sapevano benissimo della mia estraneità al mondo della montagna, che non entra nella mia mitologia poetica (Mare, Acqua, Volo, Oriente, Venezia, Viaggio, Genova, Colombo, Metropoli), ma proprio per questo erano interessati a un mio contributo.
Fu chiaro, esplicito, quando incontrai Silvia Granata per l’intervista: la montagna è una realtà mitica, impossibile che un poeta, e un poeta di un certo diapason, ne sia indifferente. Esattamente così. Il fatto che la montagna non mi diverta e io non ci vada, non significa che non sia colpito dalla sua importanza, direi dalla sua centralità mitica. Lo scalatore, il monaco tibetano, sono uomini che praticano l’ascesa: mirano oltre e in alto, dove guardava Leopardi, nella notte stellata.
Se per molti di coloro che partecipano al libro la montagna ha anche un significato personale, esistenziale, per tutti sicuramente è uno degli elementi costitutivi del nostro subconscio: la montagna è sacra, il Pantheon di Zeus non era in pianura, ma sull’Olimpo. Riflettendo in merito, mi è nata una poesia sulla montagna, vista con i miei occhi o meglio dalla mia immaginazione, che compare nel libro dopo il mio intervento, e che in Every beat of my heart vi sto anticipando. Sono curioso di leggere il libro, di cui le uniche pagine che conosco sono le mie. Credo sarà una lettura “salutare”. Mi auguro “alta”. Per prima leggerò la mia amica e ispiratrice di versi Stefania Belmondo.

 

 

La montagna sacra del mercante di Venezia

Breve tratto di mare da Acri, dove il legato

ci accolse e fornì di doni per il viaggio

verso la terra lontana di Kublai Kan, imperatore dei Tartari.

E poi pianure mosse da boschetti e cespugli,

e piccoli fiumi o ruscelli dove i cavalli

sostavano bevendo l’acqua che spinge verso Oriente,

e poi zone di deserto spossante che pareva infinito

ma si esauriva in due giorni a cavallo,

e l’ombra delle betulle, poi strani alberi

mai visti nelle terre d’Italia e del Mare Nostro,

che si curvavano abbracciandosi in alto, grotte

nate da terra che facevano umidità e buio.

E paura.

Al risveglio ripartivamo e i boschi amici

ci restituivano ombre note e animate,

forme viventi dalla terra al cielo e affratellate

in uno strano ma incantevole mosaico.

Guadammo fiumi, sentendo la sabbia molle

sotto gli zoccoli dei cavalli sulla sponda,

e qualche navigazione breve, su un grande fiume

che pareva non avere principio né termine:

lì mi sentii solo, disperatamente,

sognando il mare da cui ero salpato

che pure suscita in chi lo traversa spettro d’infinitudine.

Ma passando su piste e traversando boscaglie e guadando

stagni e acquitrini e acque correnti

di lato, due volte, una montagna mi apparve.

La nostra carta indicava di aggirarla,

le fummo sotto per giorni e giorni,

come navigando per mare intorno a un’isola.

Di una dissero che era il tempio dei lapislazzuli,

che tutto il suo corpo interno fosse d’oro e azzurro,

di un’altra che dentro scorressero fiumi di olio rovente,

la terza, quella del Vecchio,

non so se la vidi, la vedemmo,

o fu solo un sogno di un finto paradiso

dove regnava un vecchio crudele e pazzo,

che vi attirava come in un giardino pensile giovani, oppiandoli,

creando nella salita l’illusione del Paradiso,

la vedemmo, ne fummo certi,

ma era come si vede un sogno che poi si racconta

nelle sere attorno al fuoco e prende forma.

Poi, alla corte di Kublai Khan divenne ricordo

il lungo viaggio con le sue strane tappe,

e all’improvviso, io, suo ambasciatore,

suo dignitario e amato, e portatore

dell’olio della lampada di Gerusalemme,

sentii che quel tempo doveva aver termine,

che io dovevo tornare a Venezia, ai suoi fondachi,

al puzzo del pesce fritto e alla calca

al chiuso magico delle conterie e dei bacari.

Ma non mi era più concesso il ritorno.

Avevo traversato il mondo che porta a Oriente

e al palazzo d’oro del sovrano,

sempre rasoterra, a cavallo, o a piedi o su zattere,

impossibile un vero ritorno.

Sognai una notte la Montagna Incantata.

Quella che mi avevano narrato nelle sere le donne

parlando degli antenati e degli spiriti

che dalla sua cima donano pace.

La sua vetta era circondata di vapori e nuvole

in cui dicevano la mente si perde

e gli occhi semichiusi sentono il peso del cielo

e la sua leggerezza e la sua abbondanza.

Domani parlerò con Kublai Kan, per salutarlo,

tornare alla mia laguna, alla folla dei vicoli,

ma, suo legato, devo dirgli tutto:

quello che cerco e a cui aspira la mia anima

non è solo il puro e legittimo ritorno:

devo lasciare la capitale d’oro e gemme,

trovare la montagna di cui parlano le donne,

smettere di viaggiare e solo ascendere,

salire a immergermi nei suoi vapori e nuvole,

sentire la leggerezza e la pressione del cielo.

Da lì, e solo da lì, dopo,

dopo l’ascesa e la compresenza con gli astri

solo da allora potrò iniziare il ritorno.

Roberto Mussapi

(Da Voci di montagna. Le parole, gli sguardi, i silenzi, di Nicola Alessi Silvia Granata, edizioni LeChateau)

 

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