Visto al Teatro Ulpiano di Roma
Dark Queen Elena
Stefano Napoli continua a raccontare i miti attraverso il gioco del travestimento. Ora tocca a Elena di Troia vestire le meraviglie delle Folies Bergère
Torna a teatro il secondo ciclo delle dark ladies di Stefano Napoli. Un teatro sperimentale in cui femminile e maschile sfumano e diventano quasi interscambiabili. Beauty Dark Queen lo strano caso di Elena di Troia va in scena fino al tre dicembre al teatro Ulpiano di Roma. Abbiamo incontrato il regista.
“Beauty Dark Queen, lo strano caso di Elena di Troia”, viene dopo “Circus Dark Queen, Antonio e Cleopatra”, cosa ti affascina di queste figure femminili così complesse e discusse?
Mi hanno affascinato fin da quando ero piccolo, mi sembravano stranamente simili alle dark ladies dei film noir degli Anni Quaranta. Veicolavano un’immagine ambigua e un po’ terrificante della donna. Ora mi piacciono perché sono figure di confine tra la realtà e il sogno, tra storia e mito, tra cultura paludata e iconografia pop, per via delle tante incrostazioni che si sono accumulate su di esse. Inoltre hanno storie complesse di potere, amore, morte, vendetta, tutti temi legati alla vita, di tutti e di sempre.
Alcuni tuoi attori, Luigi Paolo Patano in arte la Poppea e Giuseppe Pignatelli in arte la Pepa, sono anche famose drag queens. Nelle tue opere non recitano in drag ma fanno la parte degli spasimanti delle dark queen. Qual è il confine tra femminile e maschile nelle tue pièce?
La drag queen conosce la fatica di essere donna perché il suo non è solo un travestimento ma la ricerca dell’essenza della femminilità. Al primo sguardo quello che vediamo degli altri sono abiti femminili o maschili. Limitarsi a questo vuol dire comunque fermarsi agli stereotipi. Il teatro ama i travestimenti e lo scambio di ruoli, ma in teatro l’abito è solo un veicolo, un accenno. Quello che conta sono i sentimenti che si cerca di trasmettere. In questo senso femminile e maschile possono essere interscambiabili.
La musica recita sempre un ruolo fondamentale nelle tue opere
La musica fa parte del testo. Sottolinea, dice, blandisce, come un pensiero inespresso a parole. Fa parte della mia vita. La ascolto continuamente.
In scena ci sono pochissimi oggetti, ma di fortissimo impatto scenico. Con che processo creativo li selezioni?
Alcuni oggetti sono ricorrenti, come la mela o la scarpa rossa o la corona. Sono come dei segnali e per me stanno a indicare il territorio in cui ci si muove: la mela è per me memoria dell’eden perduto, la scarpa rossa mi ricorda l’eterno sogno femminile dell’attesa, anche se il sogno si tinge di sangue, la corona mi parla di potere. In questo spettacolo c’è poi una statuetta di Eros, duplicata in un attore in carne e ossa che si aggira a vegliare, accompagnare, abbandonare gli umani.
Mi racconti la storia dello splendido vestito delle Folies Bergère che viene messo in scena?
È un dono di una mia carissima amica che ha fatto parte anche del nostro ensemble fino al 1999. Poi si è trasferita a Parigi. Qualche anno fa tutti i giornali francesi (e qualcuno dei nostri) hanno parlato di un’importante e curiosissima asta che si è tenuta alla Bourse: i vestiti degli anni d’oro delle Folies Bergère. Mai avrei immaginato di poterne avere uno. Invece Simonetta, la mia amica, ci ha voluto omaggiare di uno di quegli abiti. Quindi è arrivato da Parigi uno scatolone imballato e pesantissimo con questa sorpresa meravigliosa. Come usarlo? Non poteva rivivere meglio: abbigliare Elena per la sequenza finale. Abbiamo lasciato appeso il cartellino con il numero del Lotto con cui è stato battuto all’asta. E questo è visibile anche al pubblico. Resta invece nascosta, perché è cucita all’interno del corpetto, l’etichetta col nome scritto a mano Pierrette. Commovente.
L’amore descritto nello Strano Caso di Elena di Troia è un amore in vendita ed effimero. Un tema eterno o più vero nella società del consumo odierna?
La domanda che mi sono posto è questa: quanto siamo disposti a pagare per avere l’amore? E naturalmente non paghiamo solo in denaro.