Viaggio in Sicilia
Cruciverba Palermo
Il trionfo dei sensi e l'indolenza delle passioni: Palermo è un luogo di estremi. Come tutte le grandi città, chi viene da fuori può solo cercare di trovarci un senso remoto
Palermo, dicono le guide e i blog, è una città-mosaico, un complesso sistema di identità culturali, un luogo favorito dalla natura e dal clima che ha saputo digerire tutto, ed oggi può vantarsi di essere Patrimonio dell’Umanità per sette monumenti che definiscono il suo periodo d’oro, quello arabo-normanno. L’anno prossimo sarà Capitale Italiana della Cultura e accoglierà anche Manifesta 2018, la Biennale Nomade Europea che da oltre 20 anni indaga sul rapporto tra arte e società.
Ritornando a Palermo dopo 20 anni, con un confuso bagaglio di ricordi e fotografie, ho guardato la città come fosse la prima volta, e quel traffico rumoroso, quella disorganizzazione che mi ricordavo, sono stati subito smentiti da un bell’aeroporto e un ottimo servizio di bus che lo collega alla città. Sentirsi accolti da una città composta e tranquilla (la stessa che per anni è finita su giornali e telegiornali con atroci notizie), e girarla in lungo e largo per tre giorni non ha però cancellato la sensazione che Palermo sia sfuggente. Nel tentativo di trovare una chiave di lettura mi sono venute in soccorso due parole, trionfo e indolenza, e un’immagine, quella del cannolo scafazzato (scombinato), servito al piatto, con la crema di ricotta ricoperta di croccanti frantumi di cannolo, polvere di cacao e cannella.
È un trionfo la luce che rimbalza sulle cupole colorate o sull’orizzonte che si ammira dalla passeggiata a mare del Foro Italico, il giallo del travertino che ritorna negli intonaci e nei contorni delle architetture, gli stupefacenti mosaici bizantini che impreziosiscono la Cappella Palatina o la Chiesa di San Cataldo. È un trionfo il culto di Santa Rosalia, raro esempio di donna eremita, a cui è dedicata una intera settimana di festeggiamenti a luglio, gli alberi secolari con radici che sembrano strascichi di abiti da sposa, la pienezza di sapore di un arancino al burro ripieno di prosciutto e latticino con cui si risolve il pranzo. È un trionfo il marmo bianchissimo della Fontana Pretoria sempre piena di turisti, le icone, i mosaici e i marmi della Chiesa della Martorana e il simbolo stesso della città, un’aquila con ali possenti e larghe che domina la facciata del Palazzo comunale (detto delle Aquile) e ricorre su edifici, portali e anche nello stemma della squadra di calcio.
È un trionfo il barocco che satura gli occhi nella chiesa di Santa Caterina di Alessandria (un barocco luminoso, di marmi multicolore, che ricopre ogni singolo centimetro disponibile) e anche l’articolata e imponente facciata della Cattedrale, omaggiata da un’intera piazza-sagrato, recintata con balaustre e abbellita con aiuole e palme. È un trionfo il numero impressionante di palazzi nobiliari con portali sfarzosi, nicchie con statue e ringhiere artistiche che si incontrano in ogni strada del centro storico, a volte oscurati dalla fuliggine, a volte difficilmente fotografabili perché si affacciano su vicoli stretti, privi di prospettiva; è un trionfo di liberty il Teatro Massimo, che vanta record di capienza e superficie, è un trionfo di zuccheri e fastosità la pasticceria tipica che oltre ai famosissimi cannoli e cassate (fridde e al forno) ripropone un dolce antico, a base di mandorle, frutta candita e pistacchio che si chiama, appunto, “Trionfo di gola”.
E poi, c’è l’indolenza. In questa città che l’ha sempre pensata in grande, sulla centralissima via Maqueda abbondano le bottegucce dei pakistani che vendono souvenir, t-shirt, cover pezzotte per cellulari, pashmine di finta seta e paccottiglia di vario genere. Gli autisti di calessi (con cavallo) e calessini (a motore, Piaggio) che insistono a offrire un giro ai turisti sembrano usciti dal cruciverba “Una gita a …” della Settimana Enigmistica. I frequenti banchetti di caldarroste, premute d’arancia e panini con la milza riempiono l’aria di odori paesani, che stonano con gli effluvi provenienti da profumerie e grandi magazzini.
A passeggiare nel quartiere della Kalsa ci si sente soli in mezzo alla storia, perché molti palermitani sono emigrati verso la zona nord della città, via Libertà e dintorni, preferendo lo status e le comodità dei palazzi in cemento armato alla storia e al degrado che si respira qui. Qui, dove ora spuntano cantieri come funghi in previsione dell’anno della Cultura, colpiscono il silenzio e la mancanza di gente per strada. Eppure, è una zona bellissima, ricca di chiese monumentali, palazzi recuperati come musei e sedi istituzionali, e il mare, Villa Giulia e l’Orto Botanico a due passi.
Altrettanto indolente è la leggera patina di inquinamento che ricopre le facciate dei Quattro Canti, il cuore topografico della città dove si intersecano via Maqueda e via Vittorio Emanuele, l’antico Cassaro, che attraversa tutto il centro storico, da Porta Nuova a Porta Felice. Percorrerle entrambe a piedi, senza fretta e senza pregiudizio, restituisce appunto quell’alternanza di trionfo e indolenza, turismo e abbandono, vitalità e noncuranza.
Un carattere più univoco è rintracciabile nel quartiere dei Tribunali, verso Piazza San Francesco, dove si fronteggiano la bellissima omonima Chiesa e l’irresistibile Antica Focacceria, quest’ultima un appetibile sintesi di tutte le specialità tradizionali che hanno dato vita alla manifestazione Palermo Street Food Fest. Nelle strade qui intorno piccole interessanti botteghe di nuovo artigianato (borse, cappelli, gioielli e molti oggetti realizzati col riciclo dei materiali), localini pieni di atmosfera e, la sera, anche di musica. Decisamente più veri, per dire, dei mercati storici della Vucciria e di Ballarò (che però pur essendo meta di turisti esibiscono prezzi di pesce e ortofrutticoli straordinariamente bassi).
Mescolanza di razze, ma solo in certi quartieri, targhe, lapidi e cenotafi dei magistrati martiri, antichi negozi di coppole, piste ciclabili e biciclette sfreccianti, pane e panelle in versione franchising, turisti disposti a pagare venti euro per salire sul tetto del Massimo e ammirare il panorama più bello della città. La cadenza cantilenante, la propensione alla polemica, lo sguardo tra indagatore e sufficiente talvolta riservato ai forestieri, i tanti giovani occupati all’ingresso delle chiese a pagamento, che spesso non vedono l’ora di raccontarti qualcosa della città, con un orgoglio che suona a loro merito.
Forse la rinascita è qui, ma ancora mi sfugge qualcosa, e a distanza di giorni (e di letture, di approfondimenti e di confronti) permane il senso di una città incline a mascherarsi, reticente.
Tra i tanti artisti che hanno provato a decifrarla, c’è l’acquarellista francese Fabrice Moireau, che dopo aver ritratto New York, Parigi, Venezia, ha dedicato a Palermo e alla Sicilia due anni di lavoro e circa 400 opere, attualmente in esposizione a Palazzo dei Normanni nella mostra Sicilia, il Grand Tour. Il filo conduttore di queste superbe vedute, commentate dal magistrato e scrittore Lorenzo Matassa, è appunto il Grand Tour dei viaggiatori del Nord Europa che tra Sette e Ottocento esplorarono l’isola e le ridiedero fama e lustro. Paesaggi incantevoli, scene di vita quotidiana, dettagli di architettura: è tutto così bello che per un’ora sembra di aver capito: Palermo (e la Sicilia) è la luce.