Nicola Fano
Visto al Teatro Astra di Torino

Coriolano Spa

Marco Plini porta in scena “Coriolano” di Shakespeare e ne fa una disputa di potere tra politici senza scrupoli, quasi in un board capitalista, che sfrutta la volubilità del "popolo". Uno spettacolo da vedere

Coriolano di William Shakespeare è un potente testo politico di curiosa attualità: racconta di un leader antipatico cui in nessuno modo riesce di esercitare carisma sul “popolo”. Uno come Matteo Renzi, insomma. E, costui, più prova a correggersi per ottenere il consenso, più sbaglia… Ebbene, ora un bel Coriolano è in tournée nell’edizione (in abiti moderni) firmata dal regista Marco Plini con Marco Maccieri nei panni del protagonista: fino a domani lo potete vedere all’Astra di Torino.

Per Shakespeare Caio Marzio è un militare sprezzante e valoroso, vincitore di decine di battaglie e soprattutto è l’uomo che ha assediato e messo in scacco Corioli, la città dei Volsci: da qui il suo soprannome di Coriolano. Dopo tanti successi, aspira alla carica di console (siamo nella Roma repubblicana appena uscita dalla monarchia etrusca) che dovrebbe portarlo in vetta alla piramide del potere con il via libera dei patrizi. Ma è antipatico; e antipaticamente supponente e sincero. Sicché non gli riesce dissimulare, fingere e carezzare il popolo per il verso del pelo; sennonché il medesimo popolo, aizzato dai suoi tribuni, lo impallina. Pazzo di rabbia, Coriolano stringe un patto mortale con gli ex nemici, i Volsci, e muove guerra a Roma. Una guerra che potrebbe avere un epilogo tragico per la futura Città Eterna se non fosse per l’intervento della madre di Caio Marzio, Volumnia, la quale – ambiziosa almeno quanto il figlio è superbo – lo convince a patteggiare la pace tra Volsci e Romani per mettersi poi a capo della nuova alleanza. Ma purtroppo i Volsci sono un popolo guerriero e dei trattati non sanno che farsene: tornati a Corioli privi della vittoria che sembrava loro a portata di mano, non possono che uccidere Caio Marzio Coriolano.

Il copione di Shakespeare – un po’ lungo e scombinato dal punto di vista drammaturgico – ha due protagonisti: Coriolano e Volumnia. È la donna, anzi, colei che muove il figlio come un burattino, finché il gioco non le scappa dalle mani. Ma in realtà il vero eroe di questo testo è il “popolo romano”. Shakespeare aveva usato il “popolo” già in altre occasioni (si pensi alla sua funzione nel Giulio Cesare quanto prima parteggia per Bruto e poi per il contendente Marc’Antonio), ma qui è il vero e proprio mattatore: la bella regìa di Marco Plini lo identifica, giustamente, con il pubblico tout court e questa scelta rende lo spettacolo – come si diceva – di stringente attualità. Nel senso che sovente, nel copione, i rappresentanti del popolo devono prendere la parola per esprimere opinioni contrastanti, prima a favore di Coriolano console e poi decretandone l’esilio. Il “popolo” è mutabile, dice Shakespeare; e qui si fa turlupinare dai tribuni, dai deputati: è l’ennesimo atto di denuncia di Shakespeare nei confronti della cattiva politica, quella che usa solo le parole.

Ebbene, nello spettacolo di Marco Plini è il pubblico a dover altalenare il proprio giudizio su Caio Marzio: gli attori forniscono agli spettatori, a turno, dei foglietti con le battute e un microfono per dirle all’indirizzo della scena. Tendenzialmente, l’espediente di coinvolgere il pubblico nella messinscena è vecchio e di cattivo gusto, ma qui assume un valore importante: dà il senso alla regìa. Siamo volubili e ci facciamo condizionare assai da politici che esprimono opinioni funzionali solo al mantenimento dei propri privilegi. Così il pubblico, indotto a soffiare i suoi sì e i suoi no dentro il microfono, alla fine è costretto a riflettere sulla propria condizione di soggetto passivo della storia. Shakespeare metteva in scena queste vicende per aprire gli occhi al suo pubblico, Marco Plini cerca di ottenere il medesimo risultato trasformando – in pratica – la platea in palcoscenico.

I personaggi, qui, sono vestiti in moderni abiti eleganti da consiglio d’amministrazione d’oggi: il loro tono generale è quello di chi gioca con il destino degli altri, senza mai assumersene la responsabilità. Anche in questo sta la terribile attualità di questa messinscena. Gli attori, oltre al protagonista Marco Maccieri (sempre un po’ sopra alle righe, ma del resto il suo compito è risultare antipatico…), sono Luca Cattani, Cecilia Di Donato, Luca Mammoli, Marco Merzi e Valeria Perdonò (che fa Volumnia assai bene, sia pure nella chiave scelta dal regista): in sei incarnano una tragedia che coinvolge – nell’originale – dozzine di personaggi. Ma non manca nulla, di Shakespeare: il regista ha trovato soluzioni intelligenti per tutto. Per esempio, il tradimento di Coriolano che si allea con i Volsci è resto da un vecchio, breve cartoon muto nel quale un cow-boy si vende agli indiani; oppure le voci dei volsci che decretano la morte di Coriolano sono attribuite a dei pupazzetti del subbuteo con il quale, prima, i componenti del Cda di Roma avevano giocato… Insomma, uno spettacolo pieno di idee, da vedere. Senza contare che gli interpreti, bravi, non solo dànno corpo ai loro personaggi ma scandiscono le parole timbrando alla perfezione le finali: una godibile rarità, oramai.

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