Visioni Contromano
Senza Blade Runner
Il sequel di Blade Runner è bellissimo. Ma, a differenza del capolavoro di Ridley Scott, non passerà alla storia. Perché è un film figlio del proprio tempo, carico di significati ma nient'affatto visionario
Ispirato da una canzone dei Tre Allegri Ragazzi Morti, gruppo musicale di Pordenone che sto ascoltando mentre scrivo, mi viene da canticchiare “La mia vita senza te”. Mi accorgo così di avere trovato il giusto abbrivio per parlare, a bocce semiferme, di Blade Runner 2049, film diretto dal canadese Denis Villeneuve da pochissimi giorni sugli schermi del mondo intiero. Pensando a tutte le recensioni che ho letto, che ho provato a leggere e che non ho letto per scelta (scelta dettata da noia pregressa scaturita da recensioni pregresse), mi viene da pensare, per definizione, alla utilità delle solite inarticolate diatribe tra critici webbiani legittimamente autoreferenziali ma del tutto destituiti da tutto. E mi viene da pensare ai confronti che vengono azzardati tra le due pellicole, confronti che sembrerebbero inevitabili, che forse lo sono, ma che non aggiungono nulla alla forza di questi due magnifici film, magnifici entrambi ma in maniera diversa. La mia vita senza te, riferendomi ancora ai TARM e a me stesso, senza il Blade Runner di Ridley Scott intendo, non sarebbe stata la stessa. Perché la mia vita è stata segnata dalle immagini scaturite da quella pellicola, perché il mio immaginario, il mio subconscio, per dirla alla Wenders, è stato colonizzato da quella pellicola. La pioggia, perfino, non è stata più la stessa, mi sembra una citazione. Anche in situazioni alla Singin’ in the rain.
Blade Runner 2049 è un film magnifico, con scenografie e costumi destinati a segnare la storia del cinema. Ma per i prossimi cinque, dieci anni forse, non di più. Il film di Villeneuve è figlio del suo tempo, e per quanto metta in scena una storia piena di significato e avvincente nella trama, anche se francamente l’esito appare prevedibile fin da subito, non riesce, non riuscirà a segnare la storia del cinema, del Cinema, come ha fatto il film di Ridley Scott. Questo perché racchiude al suo interno una filosofia che è costretta a giocare con regole ereditate, per cui la sua grandezza si manifesta attraverso parametri che sono più tecnici che sostanziali. Il che va benissimo, anzi, ma ne pregiudica la forza innovatrice pur confermando la bravura di un regista avvezzo al dialogo con i massimi sistemi.
Il cinema poi fa anche degli scherzi, perché una delle scene più suggestive ed emotivamente coinvolgenti da una parte fa venire in mente l’anima e l’amore per una persona per la quale si arriva a diventare altri e altro pur di accontentarla, ancora più di raggiungerla, di sfiorarla, dall’altra ti fa pensare a una scena di Ghost con Demi Moore, Patrick Swayze e Whoopi Goldberg. Ma questo è un dettaglio forse perfino inutile, anche se e quando vedrete la scena capirete che è così.
Ripetendo che non è possibile fare un confronto tra i due film se non all’interno delle costrizioni narrative, dal 2019 ci si sposta al 2049: abbiamo notato, speriamo di non sbagliarci, che l’unico dettaglio che è rimasto invariato sono le pistole, che ci sono sembrate assolutamente identiche nei due film, anche nel rumore dello sparo. Come se Villeneuve avesse voluto mostrarci che uccidere è sempre uguale, che è l’uomo la vera arma, non l’oggetto che impugna. Non a caso ad un certo punto una pistola è recuperata da sotto una coltre di polvere, che è quella di una esplosione ma potrebbe essere anche quella del tempo. Altri dettagli non possiamo svelarvi, come il regista ha esplicitamente chiesto all’inizio della proiezione stampa con un messaggio scritto. Possiamo però dirvi che il concetto di vita, vera o replicabile, è una delle cose più affascinanti del film, che i replicanti rubano la scena agli umani, e che né gli umani né i replicanti hanno contezza totale di se stessi. Il film di Villeneuve ha molte derive sociali, ecologiche e politiche, come è inevitabile che sia quando si prefigura una società che è frutto di una brusca accelerazione tecnologica frutto di precise scelte sociali, ecologiche e politiche. Ma anche la pittura, l’architettura, la scultura e la letteratura fanno capolino, in maniera incidentale contrappuntano il vagare dei nostri eroi. Le gocce di pioggia diventano neve, e vi faranno piangere. Perché commuove più chi anela alla vita che chi la possiede.
Recentemente ci è capitato di rivedere un film di Alberto Lattuada, L’imprevisto, con Anouk Aimée e Tomas Milian, quest’ultimo ancora una volta bravissimo a dispetto di chi crede che sia stato un attore Monnezza, o monnezza, se preferite. È la storia del rapimento di un bambino ispirata ad un vero rapimento avvenuto in Francia, quello del piccolo Eric Peugeot. Ebbene, tra le varie recensioni di questo film del lontano 1961, ci ha colpito quella del grande Giuseppe Marotta, che riferendosi a quanto la realtà abbia ispirato il film di Lattuada dice: “L’imprevisto non deve all’«affare Peugeot», adesso, nemmeno un grazie genovese (dei più lisci, bianchi e platonici grazie conosciuti, cioè, che solo in piazza Caricamento allignano, a suggello di acquisti o vendite scarsi di guadagno”). Per dire che se ispirazione c’è stata è stata davvero all’acqua di rose. Così Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve poco deve al film che lo ha preceduto, ma dimenticate che possa avere lo stesso impatto sul cinema, sulla cultura, sulla nostra stessa vita del capolavoro di Ridley Scott. E grazie Philip Kindred Dick, anche Denis Villeneuve si sarà accorto che passare dal pur bravo Ted Chiang a te è davvero un bel passo avanti.