A proposito di "Benedetti Toscani"
Viaggiare in fumo
Il critico Massimo Onofri si concede uno strepitoso zibaldone di pensieri (nati su facebook) che abbracciano la vita e la letteratura. A dimostrare che una serve all'altra. E viceversa
Sono sempre più numerosi i libri che nascono come post su Facebook, ci avete fatto caso? A dimostrazione del fatto che la rete non sempre produce mostri. Uno di questi è il pregevole zibaldone di Massimo Onofri Benedetti toscani – Pensieri in fumo (La nave di Teseo), un libro che è molte cose insieme, ma certamente, in prima istanza, un diario, il diario “di un fumatore di Toscani, – leggiamo nella nota introduttiva – che ama la sua principessa, soffre troppo per l’assenza di una figlia amatissima che vive lontano da lui… che cerca di mangiare e bere bene… che forse ha letto troppi libri: ma che sa che la letteratura non è niente se non ha a che fare con l’arte del vivere”.
Un diario, dunque, un diario sentimentale di un “patologico stilnovista”, come ama definirsi l’autore, che parla scandalosamente di sé, dei suoi amori e disamori, della sua faticosa vita di separato, diviso fra due patrie: quella viterbese e quella acquisita, algherese. Tuttavia, l’autobiografia – peraltro rielaborata – almeno nel suo nucleo più intimo e doloroso e privato – secondo un raffinato e spassosissimo bestiario allegorico che fa pensare a Basile, a Rabelais, nel gusto di loffe e cataloffe, pantegani dalle palle secche e bucefali scureggioni – è solo un punto di partenza – proprio come in fondo lo sono i sigari e la messinscena serale della fumata sotto alla palma nana viterbese o in balcone dinanzi allo scenario marino notturno di Alghero. A Onofri basta niente per dare l’abbrivio al ragionamento o al racconto, quasi partendo da fermo, verrebbe da dire.
Debbo dire che, seguendo in modo episodico il tormentone del sigaro intanto che si svolgeva quasi quotidianamente sul social, non mi ero reso conto fino in fondo della coerenza che avrebbe assunto alla fine l’opera cui l’autore mirava, all’equilibrio fra le sue varie anime, alla piega eroicomica di certi passaggi ricorrenti, quest’opera che ho ancora fra le mani (collana le Onde), elegante nella confezione, con copertina lucida, bianca, dove è raffigurata, attraverso un collage fotografico, l’immagine di un sigaro stretto fra le dita di una mano aperta con una palmetta verde stilizzata sopra.
Direi che il fumo del sigaro permette allo scrittore Onofri – in questo suo ultimo lavoro che viene dopo due libri belli e fortunati della Giunti: Passaggio in Sardegna, Passaggio in Sicilia – non già di sfumare e nascondere e opacizzare i contorni di quella realtà in movimento che cerca di cogliere in questi suoi stringati medaglioni, ma al contrario a metterla a fuoco, a trovare una sintesi nel caos. E questo avviene nelle forme ibride del saggio personale, del Personal essay, che gli sono congeniali. In fondo erano personal-essay anche i Passaggi, la differenza sta, crediamo, nel senso del “movimento”, come suggerisce lo stesso autore, tanto quelli erano concepiti come viaggi (idealmente ispirati al capolavoro di Forster Passaggio in India) come Benedetti toscani, quest’ultimo, appare più stanziale, “sedentario”, più legato a un luogo preciso: quello della fumata notturna di sigaro dovunque si svolga.
Un libro ibrido, quindi, molto saggistico (nell’esercizio della critica letteraria, artistica, culturale…) e un po’ narrativo (nei ritratti di persone e artisti, conosciuti o meno, in alcune esemplari descrizioni paesaggistiche, nelle virulente schermaglie familiari). I modelli si conoscono, e ricorrono più e più volte – dai “Saggi” di Montaigne alle “Fantasticherie del passeggiatore solitario” di Rousseau, dallo Stendhal dei “Ricordi di egotismo” alle “Passeggiate” di Robert Walser, dalla “Vita” dell’Alfieri a “Camminare” di Thoreau ecc. Questi sono i numi tutelari, diremmo, le stelle fisse del suo zibaldone, ma appartengono a una vasta costellazione di scrittori/artisti/pensatori di ogni tempo con i quali l’autore-critico entra in comunicazione e, attraverso le doti interpretative e argomentative che conosciamo, riesce spesso a svelarne l’essenza e i segreti. I riferimenti sono tanti, dicevo, non solo novecenteschi e contemporanei: da un verso di Plinio il giovane si può passare a una appassionata disamina di un Lazzaro caravaggesco o di un pittore ancora controverso come Dalì (non a tutta la critica, com’è noto, piace il grande surrealista spagnolo – ma a Onofri sì ed è bello scoprirne e condividerne le ragioni), da una divagazione su un’opera musicale minore di Grieg o di Verdi, o sul Requiem mozartiano, dove dimostra anche una competenza musicale che non gli conoscevamo, alla satira culturale e pamphlettistica contro la dilagante e conformista moda dei tatuaggi, per dire, o contro “la liala degli esoteristi, il mondano scrittore di niente” e cioè Coelho, e ai suoi ingenui estimatori.
Spietato smascheratore del kitsch, nei suoi diversi travestimenti, il critico Onofri è però molto rigoroso nel separare il grano dal loglio per così dire.
Perché Onofri ha letto tutto, ha visto molto, molto ha studiato – ma non bisogna intimidirsi perché la sua scrittura è ispirata alla chiarezza, alla trasparenza e rifugge dalla retorica di qualunque tipo, sopratutto dalla trappola dell’erudizione e del virtuosismo. Semplicità, chiarezza, misura nell’uso di linguaggi specialistici: questi i tratti distintivi di questa scrittura che appare sempre più incline alla sintesi.
Concluderei con una riflessione di morale. Privo di certezze e di illusioni e di utopie di qualunque tipo, Onofri sembra credere tuttavia volterrianamente (pure appoggiandosi al “Trattato sulla tolleranza” del grande filosofo settecentesco) nel valore supremo della tolleranza, appunto, fra i popoli e fra i singoli. Cioè alla pietas.
Ci sono pagine assai ispirate su questo fronte, e anche dei ritratti satirici di persone che quella tolleranza dicono di esercitarla, proclamano di farlo, ma di fatto la contraddicono con la loro vita, con le loro scelte culturali più o meno consapevoli. “Ama fotografarsi mentre legge Finzioni di Borges nelle elegantissime edizioni Adelphi – scrive per esempio in questo graffiante ritratto di una utente di facebook a cui ha appena concesso inavvertitamente l’amicizia, fatto che gli ha guastato l’umore e forse anche il sapore del suo sigaro notturno: «Epperò questo coraggio e questa ostentata raffinatezza le si traducono, nella sua bacheca, in un post così: “Io sti neri che fuori del supermercato ti dicono ciao signora proprio non li sopporto. Per non parlare poi dei tunisini che al bar confabulano fra di loro e intanto ti guardano le tette. Alla forca li manderei!». Per poi concludere poco dopo, a chiusa del quotidiano medaglione: «La signora si lamenta, insomma, perché un “nero” ha osato salutarla – dico salutarla – all’uscita del market. Capite? Il cuore mi si stringe se penso al mio amico senegalese che non tornerà dai suoi figli per Natale, non avendo guadagnato, in tutti questi mesi, i soldi necessari per acquistare il biglietto aereo».