Una nuova frontiera del pensiero
Rifondazione teologica
Nelle opere di Kevin Hart (filosofo, teologo e poeta australiano) e del francese Jean Luc Marion c'è un nuovo azzardo del pensiero: ricostruire dopo la “de-costruzone” di Jacques Derrida
A quanto pare nel mondo filosofico non si è affatto spento l’interesse per la religione. Un recente numero monografico della rivista statunitense Sophia [56 (1) 2017] è stato infatti dedicato interamente al pensiero di Kevin Hart (filosofo, teologo e poeta australiano), il quale, ponendosi sulla scia del filosofo francese Jean Luc Marion, ha dedicato tutta la sua opera allo sforzo di equiparare la Fenomenologia ad una nuova forma di teologia. Il tentativo non è affatto recente, dato che già tra gli allievi di Husserl si sviluppò un pensiero fortemente religioso (Reinach, Stein, Hering, Koyré, Walter, Conrad-Martius). E del resto la disciplina denominata «fenomenologia della religione» vanta attualmente molti studiosi in tutto il mondo. I pensieri appaiati di Hart e Marion (nella foto sotto) si muovono però intorno ad un progetto ben più specifico, e cioè quello di ri-fondare una teologia piuttosto diversa da quella istituzionale e confessionale. Tuttavia il mezzo per realizzare questo scopo è stato per loro la continuazione del lavoro di Heidegger, ossia l’opera di «distruzione della metafisica».
Tale progetto non è comunque comprensibile interamente se manca di considerare che, dopo la stagione dei pensatori come Husserl e Heidegger, vi è stato uno sviluppo nel pensiero, culminato in Derrida, al cui centro stava lo sforzo di «de-costruzione» della realtà [Heinrich von Sass]. E con quest’ultimo bisogna intendere il tentativo di de-idealisticizzare completamente la filosofia, sottraendo così il pensiero dell’essere a qualunque tentazione di rendere intelligibile e così ordinato un reale considerato solo caotico. Ovviamente in tal modo con la filosofia veniva esautorata la religione stessa; dato che nulla più dell’Intelletto divino pretende di ordinare il mondo. L’intenzione anti-metafisica ed anti-religiosa è quindi qui evidente.
Tale esigenza veniva comunque sentita soprattutto perché diverse discipline scientifico-naturali ed umane andavano intanto scoprendo proprio il valore del caos. E ciò avveniva nel mentre (sulla scorta della lezione heideggeriana) il concetto stesso di essere veniva collocato interamente nell’immanenza. Il risultato scientifico-gnoseologico netto di tale operazione era pertanto l’avvento di un nuovo realismo. Un realismo che mai era stato così ambizioso ed estremistico. In esso infatti filosofia e scienza della natura parlavano esattamente lo stesso linguaggio. È di fatto l’assetto più attuale della filosofia. Ma una forte sua anticipazione vi era stata già in Merleau-Ponty. Il quale aveva definito l’essere come quell’alienità immanente (irrecuperabile a qualunque presa di posizione filosofica), nella quale il soggetto è immerso totalmente. E non più come attivo pensante-ordinante bensì appena come passivo percipiente. In altre parole, in contraddizione con più di duemila anni di filosofia, si affermava ormai (di totale accordo con la scienza naturale) che non vi è altro essere (o realtà) se non il mondo sensibile stesso.
Hart si è per la verità avvalso anche della decostruzione derridaeana. Ma comunque la sua principale aspirazione è quella di affermare che l’avvento di Cristo (quale Figlio di un Padre in primo luogo ed illimitatamente accogliente ed amoroso) ha di fatto ridotto totalmente la metafisica alla teologia. Laddove quest’ultima equivale al Regno di Dio («Basileia tou theou») che viene sperimentato totalmente in forza dell’illimitatamente accogliente amore di Dio (parabola del Figliuol Prodigo). La componente fenomenologica sta, in tale contesto, in quell’azione del Cristo che è da considerare una vera e propria «riduzione trascendentale» (o epoché). E ciò nel senso specifico di un distacco da mondo che non indirizza affatto verso il Trascendente, ma invece appena libera dalla dimensione politica, economica e giuridica dell’esistenza. Siamo così al cospetto di una sorta di vera e propria «teologia della liberazione». Ma essa si differenzia comunque da qualunque altra forma di teologia proprio in quanto è «morale» in un senso molto specifico – essa non fa infatti appello né alla Rivoluzione né tantomeno alla rigida istituzionalizzazione giuridico-ecclesiale dell’esperienza religiosa. In questo senso essa si differenza radicalmente dalla teologia morale più dogmatico- e ortodosso-cristiana, e cioè quella cattolica.
Fatto sta che però vi è anche un altro intendimento moderno dell’esperienza religiosa, che pure si differenzia dalla teologia morale. Esso, anzi, lo fa con forza ancora maggiore, e cioè confutando totalmente quella retorica teologica in forza della quale l’insegnamento delle Scritture viene interpretato in maniera totalmente sentimentalistico-morale. Escludendo così pressoché totalmente quell’esperienza puramente intellettivo-spirituale del rapporto con Dio, che, in Occidente, ha trovato la sua affermazione più radicale nella Gnosi. Mi riferisco a quel settore del pensiero religioso sul quale si può gettare uno sguardo leggendo un libro come quello dello studioso indiano Ananda K. Coomaraswamy [La tenebra divina, Adelphi 2017]. Lo studioso è stato uno dei più grandi esegeti delle Scritture indù, ed inoltre è stato per molti anni ricercatore presso il Museum of Fine Arts di Boston. Ebbene, in tale sfera di studi religiosi – che si pone poi in collegamento con l’opera di tutti gli attuali studiosi anti-modernisti di «Tradizione» (Guénon, Schuon, Viola ecc.) – accade l’esatto contrario di quanto accade invece entro i moderni studi filosofico-religiosi di tipo fenomenologico. Infatti la metafisica pretende di espungere da sé totalmente la teologia, e più ancora la così retorica teologia morale.
Più precisamente si tratta di una totale negazione di quella retorica moralistica, che tende ad imbellire incondizionatamente il mondo, l’uomo e Dio stesso. Con la conseguenza, poi, che la relazione dell’uomo con Dio (esperienza religiosa) viene forzata nell’alveo estremamente angusto del passaggio per un mondo cosmologico e puramente esteriore (quello immanente), del quale viene intanto dichiarata l’incontestabile positività. Il prevalere della retorica moralistica va quindi di pari passo con il prevalere assoluto delle ragioni dell’ottimismo su quelle del pessimismo – riguardo all’immanenza mondana e quindi anche all’essere. Ma ciò fa letteralmente a pugni con quelle «scoperte» dell’esistenzialismo, le quali, parallelamente al percorso prima illustrato, pure rinnovarono completamente la filosofia nel suo pensare l’essere immanente.
Ebbene, la più decisiva dirimente in termini di pensiero religioso sta nel fatto che questa moderna ripresa della Sapienza tradizionale metafisica (qui nella sua forma orientale) ci invita a fare l’esatto contrario di quanto invece raccomanda Hart (nella foto sopra). E cioè entrare nel Regno di Dio prendendo commiato radicalmente dall’immanenza. Non solo, quindi, dalla dimensione civile, ma anche da quella naturale; e cioè dal cosmo, dalla persona, dalla coscienza, dall’Io, e perfino dall’anima stessa.
L’invito rivolto all’uomo è insomma quello ad una totale spiritualizzazione, che è poi totale riduzione dell’immanenza (mondana, e naturale e reale) alla trascendenza (ultra-mondana, sovrannaturale e ideale). È in qualche modo la stessa via sempre indicata dalla Gnosi. Ed essa passa per un rigetto totale della retorica moralistico-ottimistica della teologia. Infatti il giudizio di condanna circa il mondo è qui nettissimo. Nel mentre poi a un Dio decisamente trascendente (e quindi ineffabile) vengono negati totalmente gli attributi positivi letterali ed espliciti (specie la bontà) che la morale umana spontaneamente si aspetta.
Questo è insomma il quadro generale. Che io mi sono limitato semplicemente ad esporre senza giudizi. Forse esso potrà essere di un qualche interesse per qualcuno. E forse potrà perfino indurre qualcuno a prendere posizione.