Dietro le quinte della Mostra
Razzismi d’America
“The Rape of Recy Taylor” di Nancy Buirski, che racconta di una ragazza violentata in Alabama negli anni Quaranta, porta al Lido, con grande forza, il temi dei diritti calpestati negli Usa
Alla sala Darsena ieri pomeriggio è stato presentato il docu-film The Rape of Recy Taylor di Nancy Buirski, unico lungometraggio americano in concorso per la sezione Orizzonti. Recy Taylor era una giovane madre nera di ventiquattro anni che viveva e lavorava in Alabama. Nel 1944 fu vittima di uno stupro da parte di sei ragazzi bianchi. Ma nel Sud di Jim Crow, in cui erano ancora in vigore le leggi razziali del 1876, era impossibile per una donna, e per giunta nera, denunciare la violenza subita, perché avrebbe ulteriormente messo in pericolo la propria vita e quella dei famigliari. La legge non interveniva mai in questi casi e così gli aggressori diventavano sempre più audaci e violenti al punto che le donne avevano paura a girare per strada, le bambine ad andare a scuola. Per questa ragione, Recy decise di non subire in silenzio l’oltraggio e denunciò, dopo averli identificati, i suoi stupratori.
Il coraggioso gesto della Taylor arrivò al NAACP, l’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore, che mandò ad occuparsi del caso Rosa Parks (nella foto). Il legame che si instaurò tra le due, il supporto che Rosa diede alla battaglia di Recy per avere giustizia – ha confessato la regista Nancy Buirski – è il cuore pulsante della storia: si capisce che la Parks era già all’epoca un’attivista dei diritti civili e non la sartina, come spesso verrà poi presentata, che, stanca dopo una giornata di lavoro, rifiutò nel 1955 di cedere il posto a un passeggero bianco sul bus di Montgomery. Recy fu come un’ispirazione per lei, l’inizio di anni di duro impegno per restituire piena dignità alle donne nere. L’episodio del bus fu quindi l’ultimo passo di un lungo percorso per l’abolizione delle leggi di segregazione razziale.
La Buirski si era già occupata di un problema analogo con il film The Loving Story, candidato all’Oscar per il 2012, dove narrava le vicende del matrimonio, dichiarato illegale nel 1958 da un tribunale dello stato della Virginia, tra la meticcia Mildred e il bianco Richard. Il loro caso finì poi davanti alla Corte Suprema che stabilì la validità della loro unione e inferse un colpo durissimo alle leggi che impedivano il matrimonio interrazziale. «Penso che queste storie debbano essere raccontate ancora e ancora. In qualità di regista bianca – ha dichiarato a Venezia Nancy Buirski – mi chiedono spesso perché ho scelto di trattare temi a sfondo razziale. Una regista di colore avrebbe sicuramente un punto di vista speciale nel raccontare la storia di una donna nera stuprata nel 1944, ma credo ci possa essere del merito nel mio diverso modo di raccontare. Le vicissitudini razziali costituiscono la storia americana e, in quanto bianca, sono corresponsabile di ciò che è accaduto agli afroamericani del nostro Paese. Mi sono appassionata alla storia di Recy Taylor ma, allo stesso tempo, ho sentito forte l’obbligo di presentare questa vicenda vergognosa».
Un film da vedere, quindi, senza ombra di dubbio, foss’anche solo per il valore testimoniale: sono il fratello e la sorella di Recy a ricordare con le loro parole quel terribile fatto e come si viveva negli anni ’40 e ’50 in Alabama. La loro narrazione misurata ed emozionata aggiunge immediatezza alla storia mentre la loro lenta e forte cadenza – sono sempre parole della Buirski – dà come il ritmo al film, ne costituisce l’ossatura. Un film anche straordinariamente attuale che vuole essere un monito per quello che ancora resta da fare in termini di uguaglianza tra i sessi e verso le donne ancora ai nostri giorni vittime di violenze.