Alberto Crespi
Zattere agli Incurabili

Post-recensione

Il cinema a colpi di like: le chiacchiere dei cinefili su Facebook spesso vengono scambiate per esercizi critici. E invece siamo solo una banda di incurabili, ciascuno sulla sua zattera

Si va da «insalvabile e ingiustificabile» a «film che salva l’onore del cinema italiano». Si parla di Hannah, ultimo film italiano in concorso (clicca qui per leggere la recensione di Alessandro Boschi). Dove? Ma su Facebook, è evidente. In mezzo c’è di tutto. La forbice è amplissima ed estremamente frastagliata.

Sono su Facebook da un anno. Ho creato un profilo l’estate scorsa, per promuovere un libro che avevo scritto: Facebook serve soprattutto a questo, oltre che a ritrovare gli amici perduti. Poi, già che ci siamo, lo utilizzo anche per parlare di quella che è la mia professione da circa 40 anni: il cinema, raccontato sia come critico che come cronista (la seconda definizione mi piace molto di più). Ovviamente, in questo anno sono diventato “amico” (che parola ridicola!) di molti critici di ogni età, da vecchi colleghi nati come me sulla carta stampata a giovani blogger che hanno reinventato questa professione nella rete e sui social.

Leggendo i pareri sui film veneziani, non finisco mai di sorprendermi. Non per la disparità dei giudizi, naturalmente: so da decenni che anche il film più orribile del mondo (del tipo Mother! di Aronofsky) trova sempre qualche difensore, e che anche i capolavori riconosciuti (del tipo: Quarto potere di Welles) hanno i loro haters, per usare il gergo della rete. E nemmeno per il loro numero: il famoso giudizio di Umberto Eco sulla rete lo conosciamo tutti, no? Una volta i film venivano commentati dai quotidiani cartacei durante la Mostra, e dalle riviste specializzate nei mesi successivi. Durante la Mostra c’erano le chiacchiere post-proiezione: ecco, oggi quelle chiacchiere vanno in rete. Sui blog, sulle testate online, sui profili personali. L’informazione è sterminata, sfaccettata, inafferrabile.

Tutto questo è normale.

La cosa non normale è come tutti questi giudizi siano recepiti come epocali, inappellabili, apodittici. Se io scrivo sul mio profilo Facebook che Mother! mi fa schifo (l’ho fatto), ricevo messaggi di miei contatti che in parte mi danno ragione e in parte mi chiedono costernati come tutto ciò sia possibile. Cose simili avvengono, al contrario, sui profili di chi scrive che Mother! è un capolavoro. I profili sono macchine celibi: non si parlano fra loro, a meno che si parlino i loro umani di riferimento. Così capita la cosa più paradossale: che un mio “amico”, leggendo il mio dissenso su Aronofsky, mi scriva che «la critica italiana si merita Virzì». A parte il giudizio feroce e secondo me ingiusto su Virzì, vorrei dire a tutti costoro che io non sono “la critica italiana”. Nessuno è “la critica italiana”. Siamo solo una banda di incurabili, ciascuno sulla sua zattera.

Domani tutto ciò finisce. Si torna a casa. In zattera. Speriamo non sia la zattera delle Medusa.

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