Il nostro inviato al Lido
Il glamour del male
“Una famiglia” di Sebastiano Riso affronta un tema terribile (il mercato dei neonati) in modo banale, talvolta sfiorando il ridicolo. Il tutto condito da un tocco glamour
Molti i film italiani in transito alla Mostra del cinema di Venezia. Distribuiti tra Concorso, Settimana della critica, Giornate degli autori e Orizzonti. Quasi tutti accumunati dalla presenza di dialoghi faticosi, letterari e libreschi, di frasi che nella vita reale nessuno pronuncerebbe mai. Una famiglia di Sebastiano Riso, presentato oggi in concorso, mostra lo stesso sintomo.
La storia di una donna che partorisce bimbi che poi insieme al compagno vende ad altre famiglie parte da uno spunto potente. L’impossibilità di essere genitori, sia per chi genera ma decide poi di capitalizzare la nascita nella maniera più ignobile, sia per chi non può generare e quindi cerca delle alternative, si scaraventa in una dimensione emotivamente e socialmente abietta. Che forse avrebbe richiesto un linguaggio diverso, più reale, più scarno e con meno slogan, a volte davvero fastidiosi. Come fastidiose, un po’ vecchie, sono le sequenze accessorie che dovrebbero comunicarci il disagio della protagonista.
E poi una considerazione pratica: l’appartamento abitato dai due protagonisti interpretati da Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel (poca chimica tra i due) si scopre essere di proprietà della titolare di una palestra i cui gusti e modi al pari di quelli della coppia non sembrano decisamente in grado di concepire nemmeno lontanamente l’elegante arredamento della casa.
Detto ciò vi riferiamo che la sala ha appena appena applaudito, e nessuno ha fischiato. È già molto, perché il regista si è preso davvero un bel rischio. In certe situazioni si è sfiorato il ridicolo, ma forse l’importanza dell’argomento ha infuso pudore alla platea.
Cose che ci sono venuti in mente durante la proiezione: Il vizietto, di Édouard Molinaro. Antonio Catania. Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci. Rosemary’s Baby, di Roman Polanski. Barbapapà e Barbamamma.