Itinerari per un giorno di festa
Aria di Respighi
In via della Camiluccia a Roma, Villa I Pini, l’amata dimora del celebre autore della Trilogia Romana, progettata dall’amico Marcello Piacentini, si può solo immaginare. Tracce perdute di un’epoca, di una intelligenza e di un gusto che solo una targa toponomastica oggi pallidamente evoca
Questo è un itinerario alla ricerca di un luogo perduto. Da ricostruire con l’immaginazione e per indizi. Per leggere in filigrana, dietro quello che ora esiste, quello che c’era una volta, un po’ meno di cento anni fa. Parliamo di un posto fortemente simbolico e identitario per Roma, la villa “I Pini”, in via della Camilluccia. Per sei anni fu la felicissima residenza di Ottorino Respighi, il compositore bolognese che diresse il Conservatorio di Santa Cecilia e dedicò alla Capitale la famosissima “Trilogia Romana”, tre poemi sinfonici intitolati Le fontane di Roma, I pini di Roma e Feste romane. Ebbene, di quella casa in mezzo a un parco folto appunto anche di pini non resta traccia visibile percorrendo via della Camilluccia, dal nome del Principe Camillo Borghese che qui aveva terreni e che era amata dal Re Vittorio Emanuele III, abituato a farvi passeggiate in carrozza, e da Carducci, il quale pranzò più volte all’Osteria “Nino alla Camilluccia” dove il vino e l’aria erano sopraffini.
I biglietti da visita di Respighi – rammenta la moglie Elsa (nella foto insieme al marito nel giardino della villa) nelle biografie sull’illustre marito (Ricordi, 1954; Padova, 1976) – recavano l’indirizzo della Villa I Pini al civico 37. Si trovava all’altezza dello slargo che un anno dopo la morte per endocardite del musicista – era il 1936 ed egli aveva 56 anni – il Comune di Roma gli intitolò. Ma adesso, passati quasi cent’anni nei quali la campagna sul versante verso il Tevere di Monte Mario è stata riempita di palazzi e ville, quel civico 37 è diventato addirittura 591. E corrisponde a un alto cancello che non reca alcuna targa. Ebbene, dietro quel cancello si snoda un tortuoso viale che conduceva all’edificio a un piano acquistato da Respighi insieme con una bella porzione di parco dal principe Colonna: la proprietà era una dépendance della residenza del blasonato e Respighi con la moglie Elsa Olivieri Sangiacomo, cantante lirica, pianista e sua ex allieva in Conservatorio, la trasformò in un luogo del cuore, un buen retiro in collina, appartato ma non lontano dal centro della città.
Chiesero all’amico architetto Marcello Piacentini di aiutarli a modellare l’edificio semi costruito secondo i loro gusti e le loro abitudini di vita. «Il primo locale ad essere sistemato fu lo studio: una stanza grandissima con cinque finestre affacciate sulla campagna», scrive Elsa. Piacentini disegnò anche il caminetto che i Respighi desideravano tanto e che chiamarono “il nostro focolare”. Felici anche della possibilità di poter finalmente sistemare la biblioteca, quattromila volumi non tanto musicali, ma soprattutto di tema letterario e filosofico (da Platone a Nietzsche e a Schopenhauer) oltre che astrologico che il Maestro – nipote del direttore dell’Osservatorio di Bologna – amava leggere. A “I Pini” Respighi, che vi andò ad abitare nel 1930 e che vi morì sei anni dopo, compose tre opere oltre al trittico per concerto Maria Egiziaca e alla coreografia Belkis, regina di Saba: La fiamma, che debuttò nel ’34 al Teatro dell’Opera di Roma; La bella dormiente nel bosco eseguita in prima nello stesso anno al Teatro di Torino, e Antiche danze e arie per liuto, ascoltata postuma, nel 1937, alla Scala di Milano. Ma proprio nel salotto della residenza fu suonato per la prima volta lo spartito del Concerto a cinque per strumenti solisti e orchestra d’archi, composto nello studio arredato con preziosi mobili e dotato di due pianoforti. «Così l’11 maggio 1933 – riferisce Elsa – molte automobili varcarono il cancello della nostra villa. Si erano offerti per l’esecuzione un gruppo di amici arrivati da varie zone della città con i loro strumenti e gli invitati, musicisti, letterati, artisti furono più di duecento. Dopo il Concerto a cinque per gli ospiti ci fu una sorpresa: le anteprime dei Giambi ed epodi di Malipiero e del Quartetto in re di Pizzetti. Poi tutti uscimmo nel parco per un rinfresco. Quel giorno il giardino era davvero meraviglioso!».
Tanta vitalità, e soltanto tre anni dopo tanto lutto. Il 18 aprile 1936 Respighi muore, dopo l’infezione al cuore diagnosticata pochi mesi prima. «Ci fu un temporale con lampi e tuoni, ma poi, appena Ottorino chiuse gli occhi, tornò il sereno e da un cipresso del parco, di fronte alla sua camera, si levò il canto di un usignolo», narra la moglie. Del funerale, scarno, si occupò Piacentini, che intanto si era costruito una villa proprio di fronte al cancello col numero 37. Si celebrò a Santa Maria del Popolo. E così Elsa ricorda l’addio del compositore alla sua amata casa (nella foto): «Tra tante azioni tristi e consuete, una sola visione mi è rimasta fitta nella mente, commovente e bella. La discesa della bara lungo il tortuoso viale dei Pini, portata a spalla dagli allievi del Maestro fino al cancello sulla Camilluccia. Intorno stavano i filari dei pini come le colonne di un tempio, s’inarcavano i rami frondosi, arborea volta che il magnifico cantore delle Fontane e dei Pini di Roma aveva tanto amato».
Nulla resta a ricordare quanta intelligenza e gusto abitarono quell’angolo di Roma se non la targa toponomastica “Largo Ottorino Respighi”. Elsa dopo tre anni andò a vivere con la sorella in Prati e la villa “I Pini” nel 1943 venne requisita dai nazisti, che la depredarono. Poi fu messa in vendita pezzo per pezzo e adesso quello che era il suo ingresso è occultato dall’anonimo massiccio cancello del 591. La dimora di Piacentini, corrispondente al n. 7 del Largo, divenne Istituto Teologico, il Camillianum, e vi è affiancata una casa di cura. Dell’amenità gioiosa del luogo testimonia, a voler giocare con i rimandi, un piccolo giardino per bambini che si apre nell’attigua via dei Casali di Santo Spirito, in fondo alla quale, prima che il colle sbarri ogni strada verso valle, c’è il Cimitero Militare Francese. Ancora Elsa racconta: «È impossibile descrivere la felicità di Ottorino mentre ammobiliavamo la casa e mettevamo in ordine il giardino! Per lui non esisteva luogo più bello al mondo!».