A proposito di “Guardami negli occhi”
Il romanzo di Raffaello
Giovanni Montanaro ha ricamato intorno al mistero della "Fornarina" di Raffaello Sanzio. Ne è nato un romanzo avvincente che esplora i tormenti dell'arte e dei suoi rapporti con il potere e con l'amore
C’è una sorta di leggenda che aleggia intorno ad uno dei capolavori di Raffaello Sanzio: “La Fornarina”, dipinto a olio su tavola databile 1518/1519. Un mistero che riguarda la controversa identità della donna che ha ispirato Raffaello (1483-1520) per questo quadro di grande intensità e sensualità pittorica, che si colloca quasi come simbolo, come icona della bellezza muliebre rinascimentale.
Per moltissimi è Margherita Luti, presunta amante del grandissimo pittore urbinate, modesta figlia di un fornaio di origini senesi (da qui il titolo del quadro, ma anche questo controverso perché il titolo sarebbe stato attribuito successivamente alla morte di Raffaello) e addirittura sua sposa negli ultimi anni di vita del pittore. Altra “leggenda” si riferisce al fatto che il quadro potrebbe essere stato successivamente ritoccato dall’allievo di bottega preferito di Raffaello, Giulio Romano, che lo aveva ritrovato nello studio del pittore all’indomani della sua scomparsa (fu da Raffaello conservato e mai mostrato fino alla sua morte).
Un coacervo di voci, di opinioni, di tesi e contro tesi che accrescono la suggestione e il fascino del dipinto: la donna discinta nel busto, con un velo leggero poggiato sul ventre e un drappo rosso sulle gambe, porta tra i capelli un turbante fatto di seta dorata a righe verdi e azzurre, con una spilla con perla pendente e su un braccio nudo un bracciale, sempre in stoffa, con su scritto Raphael Urbinas, s’intravede all’anulare un anello sottile. La vicenda reale si perde nei meandri di una delle epoche storiche più prolifiche per l’arte italiana e nella storia personale della grande arte pittorica di Raffaello Sanzio, gloria e vanto del nostro paese per tutte le immortali testimonianze artistiche che ha lasciato.
Di questa storia così affascinante se ne è impadronito il giovane e talentuoso scrittore e avvocato (classe 1983), Giovanni Montanaro, con già al suo attivo altri romanzi editi da Feltrinelli e Marsilio, il quale con il romanzo Guardami negli occhi (Feltrinelli, pp. 141) di recente uscita, ha ricostruito e reinventato, con una felicissima scrittura, la storia d’amore tra Raffaello e Margherita (Ghita) e la storia del quadro, che fu il canto del cigno del pittore, la sua ultima, grande opera.
Nel romanzo di Montanaro è la voce di Ghita che parla e racconta, dalle alte mura del convento di Sant’Apollonia, nel quale si rinchiude dopo la morte di Raffaello, e si lascia consumare morendo presto anche lei, del suo grande amore, della sua dedizione, di come ne era la modella preferita, di come e perché sia stato concepito e realizzato “La Fornarina” e di un matrimonio segreto che non fu mai riconosciuto.
Infatti, alla destra della tomba che contiene le spoglie di Raffaello, nella rotonda del Pantheon a Roma, è collocata una lapide che indica il nome della nobildonna promessa sposa del pittore: Maria Bibbiena, non Ghita, non la donna di una vita, e di un rapporto mai annotato negli atti ufficiali, ma conservato in un quadro che avvolge nel suo suggestivo incanto e racconta, forse, proprio di un grande amore.
La storia di Montanaro procede spesso per flash-back, con un ritmo sostenuto e intrigante, con una scrittura affascinante nella sua limpidezza ma mai banale, né retorica, anzi vivida e reale nelle descrizioni di una Roma cinquecentesca, molto affollata di popolo minuto, bottegai, briganti, nobiluomini, nobildonne e prelati. I suoi angoli festosi e rumorosi, quelli bucolici e le rovine romane che spuntano un po’ ovunque, in maniera scomposta, a testimonianza di un passato “caput mundi”.
Insomma, è un romanzo che si legge di un fiato, avvolgente, dai dialoghi vivaci, popoloso di personaggi reali e immaginari, dove il “pittore” (Ghita non lo chiama mai con il nome di battesimo) si muove e si esprime attraverso la sua maestosa arte; ma segue anche il tormentato destino umano degli artisti, anche di quelli, come lui, che ebbero molte “commesse” da parte di nobili e altolocati prelati, ma soprattutto da Papa Giulio II, che fu mecenate di tanti grandi pittori, scultori e architetti rinascimentali.
Montanaro ha il merito, a nostro avviso, con questo romanzo di aver riacceso il “focus” su Raffaello Sanzio, maestro di grandi capolavori, sulla sua meravigliosa superiorità pittorica e, attraverso la costruzione di un amore tormentato, farci riavvicinare e incuriosire ad un quadro di grande bellezza, oggi conservato nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma. Sullo sfondo una città cinquecentesca, papalina e gaudente, cattolica e peccaminosa, restituita con minuziosa veridicità anche nella sua toponomastica e tanti personaggi a fare da corona a questo mondo tra il sacro e il profano, tra la nobiltà e il popolo, dove l’arte dell’Urbinate, insieme al suo appassionato amore, si fanno spazio lasciando traccia indelebile di sé. Da leggere.