Periscopio (globale)
Jane Austen a Stoneleigh Abbey
L'abbazia medioevale, sulle rive dell'Avon, che Jane Austen visitò una sola volta nella vita, in realtà i nasconde spesso nelle sue opere. Al punto che vale la pena visitarla...
Due settimane fa ho rievocato la figura di Madame de Staël, morta giusto due secoli fa, e a me, a esser sinceri, fa un certo effetto di meraviglia e spaesamento rilevare che nello stesso anno, a distanza di appena quattro giorni, ovvero il 18 luglio, si spegneva anche Jane Austen; che le due autrici erano praticamente coetanee – le separano appena nove anni – e che hanno vissuto, in modo peraltro diversissimo, nel medesimo periodo storico. Magari, a forza di scavare, qualche punto in comune fra Corinna e Persuasion si potrà pure trovare, non voglio certo porre limiti alla comparatistica, ma tant’è, la prima reazione è di sincero stupore. Stupore dovuto forse in parte anche alla diversa gestione della propria persona, privata e pubblica, da parte delle due scrittrici: impegnata in una roboante lotta politica senza requie, antinapoleonica e libertaria, la de Staël, apparentemente assoggettata a una vita familiare senza scossoni e imprevisti la Austen.
Senza scossoni, almeno in superficie, ma forse non così placida com’è stata dipinta, e anzi punteggiata di viaggi, incontri, scambi, occasioni atte ad alimentare l’insaziabile curiosità della scrittrice per il prossimo e le sue maschere. Nel corso di uno di questi spostamenti, appunto, Jane si trova a visitare, in compagnia della madre e della sorella Cassandra, il cugino materno, Thomas Leigh, discendente da una famiglia aristocratica. Questi soggiorni, a volte anche prolungati, presso parenti e conoscenti facoltosi, all’epoca non erano del resto casuali né rari. Dopo la morte del padre di Jane, le tre donne vivevano a Bath in condizioni di relativa ristrettezza e per sopravvivere dignitosamente dipendevano spesso dalla generosità di parenti più ricchi, come appunto i Leigh, dai quali si recavano con una certa regolarità.
Durante il loro soggiorno arriva la notizia, un po’ inaspettata, della morte di un’altra lontana parente di Thomas, tale Mary Leigh, che risiedeva nella contea di Warwick, e per la precisione a Stoneleigh Abbey, un’ex abbazia cistercense trasformata da secoli in splendida dimora signorile. Dato che Thomas deve rivendicare tempestivamente la sua eredità per poterne usufruire, il 6 agosto 1806 tutto il gruppo si sposta ipso facto dai Cotswolds, dove si trovava la residenza dei Leigh, nel Warwickshire; subito dopo la madre di Jane scrive una lettera alla nuora Mary, che è stata conservata e in cui figura una descrizione molto dettagliata di Stoneleigh Abbey, del pittoresco fiume Avon che l’attraversa e delle bellezze naturali della zona, aggiungendovi un resoconto dei dieci giorni che il gruppo vi trascorre, compresa la visita al vicino Kenilworth Castle, un maniero d’origine normanna ridotto in rovina dove Walter Scott ambienterà, quindici anni dopo, il romanzo storico Kenilworth, in cui racconta, con molte concessioni al pittoresco e prendendosi notevoli libertà poetiche, di un matrimonio segreto che finisce in tragedia. Kenilworth è anche citata, ma solo en passant, dalla Austen nel capitolo 42 di Pride and Prejudice.
A parte il riferimento letterario ex post a Walter Scott, il soggiorno a Stoneleigh Abbey non sembrerebbe avere grande importanza, tanto più che Jane Austen non vi è mai più ritornata; non fosse che alla dimora nel suo complesso e alla sua atmosfera la scrittrice si è molto probabilmente ispirata in almeno un paio di opere. Anzitutto, per la tenuta di Sotherton Court (e il vicino villaggio) di Mansfield Park, romanzo cominciato nel 1811 e pubblicato nel 1814. La Austen vi mescola liberamente realtà e fantasia, menzionando per esempio Humphrey Repton, un giardiniere-paesaggista che aveva effettivamente lavorato a Stoneleigh Abbey, deviando il fiume e creando così un lago nel quale l’intera facciata del palazzo potesse rispecchiarsi, e al quale in Mansfield Park attribuisce alcune modifiche al paesaggio e ai terreni della tenuta ivi descritta. Inoltre, nel romanzo compaiono dettagli della cappella, del latifondo e del villaggio che sembrano tratti di peso dalla realtà di Stoneleigh Abbey.
Ma non è tutto. Anche in Northanger Abbey – pubblicato postumo, insieme a Persuasion, nel dicembre del 1817 dal fratello Henry, che per la prima volta svelerà l’identità dell’autrice di tutti i libri della Austen, usciti in forma anonima – sembrano esserci echi dell’impressione destata in lei dall’edificio, vista l’ambientazione del romanzo in una vecchia abbazia cistercense divenuta in seguito anch’essa una dimora privata. Il fatto che in questo caso la narrazione volesse essere una brillante satira del romanzo gotico non rende certo meno accurata la ricostruzione degli ambienti.
Sembra che, in anni di poco successivi alla visita delle Austen e proprio nel villaggio di Stoneleigh, alcuni membri della famiglia Leigh sarebbero rimasti coinvolti in un oscuro scandalo relativo proprio a questioni ereditarie, con tanto di fatti di sangue e soppressione di testimoni scomodi. Di questi eventi, sopraggiunti quando era ancora in vita, Jane Austen potrebbe aver avuto qualche sentore. In ogni caso, essi fanno risaltare ancor più il sapore gotico-romantico del luogo e sembrano quasi giustificare la rielaborazione in chiave misterica del rigoglioso ambiente naturale.
Non è forse un caso che Northanger Abbey, che sarebbe il suo primo romanzo, sia stato rielaborato più volte e fin quasi ai suoi ultimi giorni di vita: al di là degli intenti satirici nei confronti di una tradizione radicata qual era quella del romanzo gotico, è un’opera di notevole complessità metanarrativa, in cui la scrittrice gioca con diversi fattori, a cominciare dall’eco cervantina della follia tipica di don Chisciotte, quella di scambiare cioè l’artificio narrativo per la realtà fattuale. Immersa mentalmente nei suoi castelli infestati dai fantasmi, la protagonista Catherine crea infatti una propria realtà alternativa, non suffragata da elementi concreti. A questo motivo, di per sé critico e polemico, la Austen aggiunge una declinazione in chiave femminile del romanzo di formazione che è quasi rivoluzionaria per la sua modernità, dove le tecniche educative tendenti a relegare le donne, anche quelle relativamente colte, in una posizione comunque subalterna sono lucidamente enunciate e stigmatizzate. Il candore di Catherine è a questo riguardo paradigmatico, e l’autrice ne fa un duttile strumento di pacata ma inflessibile denuncia, soprattutto al momento di sottolinearne la sostanziale ingenuità, uno stato che il mondo esterno tende a perpetuare a ogni costo. Su tutto questo grava l’atmosfera dell’abbazia, atmosfera che alla Austen doveva essere peraltro familiare fin dall’adolescenza, visto che anche l’edificio frequentato per gli studi a Reading, la Abbey School, appunto, era stato ricavato dalle rovine di un’altra abbazia medievale.
Tornando a Stoneleigh Abbey, in questo centenario austeniano vale davvero la pena di visitarla. Risalente addirittura al 1154, ma poi più volte ricostruita e modificata, oggi l’antica abbazia – nella sua conformazione settecentesca – è stata ristrutturata e divisa in una parte museale, dedicata ovviamente alla storia della dimora e a Jane Austen, e in un complesso di appartamenti di pregio. Per chi fosse interessato, i prezzi di questi ultimi non sono nemmeno proibitivi… e il luogo resta davvero di grande suggestione.