Periscopio (globale)
Cézanne & Morandi
In che misura le figure umane di Paul Cézanne influenzarono le nature morte di Giorgio Morandi? La risposta è in una bella mostra alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, in Emilia
L’occasione è ghiotta e l’accostamento, per quanto possa sembrare a prima vista audace, di grande interesse. Sto parlando della mostra “Da Cézanne a Morandi. La pittura è essenziale”, allestita alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, fra Reggio Emilia e Parma, mostra che merita una visita attenta.
Anzitutto, l’occasione. Che è poi quella dell’arrivo in Italia, dal Museo Puškin di Mosca, di un piccolo olio di Paul Cézanne, appena 26 x 40 cm, facente parte del famoso ciclo dei Baigneurs (qui sopra), ovvero dei bagnanti. Ha poca importanza il fatto che il quadro presentato qui non sia il capostipite o quello più considerato, con ogni probabilità da identificarsi con la tela di maggiori dimensioni (54 x 66 cm) dell’Ermitage di San Pietroburgo, mentre almeno altre due versioni, quella di Saint-Louis e quella del Musée d’Orsay, meriterebbero ugualmente una menzione a parte. In effetti, tra gli anni Settanta e Novanta dell’Ottocento, di gruppi di bagnanti (uomini e donne) Cézanne ne realizza, fra abbozzi, disegni e veri e propri quadri, circa duecento, con varianti non indifferenti nel numero di personaggi rappresentati, nelle pose prescelte e nelle sfumature cromatiche. Quello del Museo Puškin, con le sue tonalità chiare e azzurrate e la sua luminosità, può essere considerato comunque uno degli studi migliori, se non il migliore tout court, e oltre tutto permette qualche indicazione sulle fasi precedenti: un abbozzo a matita del personaggio centrale, quello visto di spalle con un asciugamano in mano, per intenderci, è stato infatti trovato nella collezione del figlio dello stesso Cézanne, e un altro schizzo del secondo protagonista, per così dire, quello con le braccia alzate, figurava nella collezione Chappuis di Parigi. Acquistata nel 1910 al mercante d’arte Vollard dal collezionista Ivan Morozov, la piccola tela – con le altre dello stesso Morozov – è stata nazionalizzata nel 1918 e da allora esposta a Mosca, prima al Museo d’arte moderna, poi dal 1948 al Puškin.
Il quadro consiste nella raffigurazione (di derivazione poussiniana, ma quanto reinterpretata!) di sei figure nude di uomo, di uno dei quali s’intravvede appena la testa, che hanno appena fatto o stanno per fare un bagno, probabilmente in un fiume, visto che tutto il ciclo sembra fare riferimento ad esperienze di vita dell’artista, il quale in gioventù soleva bagnarsi nei fiumi Arc e Torse, presso la città natale di Aix-en-Provence. Il paesaggio, che è altrettanto protagonista delle figure umane, peraltro appena abbozzate, è studiato con estrema attenzione e ridotto a termini essenziali, pre-cubisti: non voleva forse Cézanne, nella famosa dichiarazione resa ad Emile Bernard, «trattare la natura per mezzo del cilindro, della sfera, del cono, il tutto messo in prospettiva, in modo che ogni lato di un oggetto, di un piano, si orienti verso un punto centrale»? E aggiungeva: «Le linee parallele all’orizzonte danno l’estensione (…), le linee perpendicolari a questo orizzonte danno la profondità». A questa e altre dichiarazioni programmatiche di Cézanne, Merleau-Ponty avrebbe poi obiettato non senza ragione che il pittore si valeva troppo «delle nozioni abituali di “sensibilità” o “sensazione”, e di “intelligenza”, ed ecco perché Cézanne non poteva persuadere e preferiva dipingere». In effetti, Cézanne non mirava a persuadere; non amava anzi affatto discutere, dover imporre le proprie ragioni a colleghi e amici. Piuttosto, si ritirava in disparte a studiare volumi e prospettive. Eppure, il quadro di cui parliamo sembra quasi un’illustrazione dell’asserzione del pittore, che dispone nello spazio i suoi personaggi (natura compresa) in modo per nulla casuale, ma seguendo anzi un andamento geometrico quasi obbligatorio. Si trattava per Cézanne di ripristinare un ordine strutturale che andasse al di là delle singole sensazioni – dovute alla luce, all’atmosfera, alla predisposizione personale – prodotte dalla natura. Il che fra l’altro spiega l’abbandono, una decina d’anni prima, dei compagni di strada impressionisti. Occorreva insomma far prevalere la struttura dell’immagine sul movimento, sulle espressioni dei personaggi raffigurati, sulle insidie di luci e ombre, anche attraverso l’uso della cosiddetta modulazione, che fra l’altro gli permise un passaggio senza intermediazioni da una tonalità di colore all’altra.
A osservare il piccolo quadro distrattamente sfuggirebbe tuttavia il legame diretto con Morandi, ma il valore aggiunto del riallestimento proposto dalla mostra è appunto quello di proporci un nesso la cui pertinenza si rivela grazie alla puntuale giustapposizione di alcune significative opere del pittore e incisore bolognese, opere che sono già nella collezione dell’esperto d’arte, musicologo e collezionista Luigi Magnani. Cézanne influenza Morandi in gioventù, è sotterraneamente presente alla prima personale nel 1914 – si pensi solo, nel caso che qui ci interessa, al Frammento, oggi al Guggenheim di Venezia, dove una figura umana vista di spalle tiene in mano un lembo di stoffa molto simile al citato asciugamano dei Bagnanti –, ma soprattutto sembra tornargli in mente negli ultimi anni di vita, quando anche il suo segno, come quello del maestro francese, diventa sempre più essenziale, quando più che dipingere Morandi sembra prendere tutt’al più l’appunto di qualche segno, o traccia, lasciato dalle cose.
Se in Cézanne le figure umane ritratte sono prive di una personalità precisa, e si distinguono solo per gli accessori (l’asciugamano) o per la gestualità più o meno marcata, lungo tutta la sua carriera Morandi le ritrae solo in via eccezionale e sempre con una certa indecisione, come se gli oggetti delle nature morte e i paesaggi avessero un’individualità molto più precisa da scoprire e da mostrare. Morandi, si sa, accumulava in casa oggetti con i quali istituiva un rapporto sempre più profondo, fino a quando ai suoi occhi non divenivano maturi per essere raffigurati su tela: quel rapporto oggettivo e disincantato, ma anche onesto, che con gli umani è spesso arduo istituire. Del resto, di una cosa con gli anni Morandi si era convinto: che niente possa risultare più irreale di quanto ci è dato vedere, e che dunque il visibile non possa essere reso che in termini astratti e matematici. Più volte Umberto Eco ha raccontato un aneddoto risalente alla sua giovinezza: di quando ad Alessandria fu incautamente presentata un scelta di opere di artisti italiani contemporanei, e di come il giovanissimo Eco vi passasse ogni pomeriggio a vedere come si trasformava, giorno dopo giorno, il quadro di Morandi che vi era esposto. Perché di Morandi a colpire è soprattutto la mutevolezza, e a sprigionarla basta uno sfaglio di luce, un riposizionamento del soggetto che osserva, un diverso punto di vista. E nelle ultime serie di nature morte Morandi si allontana decisamente dalla tradizione e sfiora l’informale, dopo aver già eliminato in passato la prospettiva, i suoi livelli ben separati e le sue profondità, dando corpo a una densità materica mutevole, appunto, che dell’esempio di Cézanne finisce per rappresentare il coronamento.
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Segnalo in conclusione, e cambiando argomento, che fino al 2 luglio la Fondazione Magnani Rocca ospita anche, in collaborazione con il MART di Rovereto, una “personale” davvero personalissima, dedicata a Fortunato Depero, artista di notevole creatività, futurista ma non solo, di cui è messo in luce qui soprattutto il prezioso lascito nel campo delle arti applicate. Un piacevole motivo in più, assieme beninteso alla collezione permanente accumulata da Luigi Magnani nel corso dei decenni, per far tappa a Mamiano.