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Tre gialli di città
Le borgate di Buenos Aires di Mariana Enriquez, la Parigi di Christophe Boltanski e la Milano di Alessandro Robecchi: tre libri per i misteri delle grandi metropoli
Borgate. Ha un volto dolce e malinconico, e scrive cose raccapriccianti. Mi riferisco a Mariana Enriquez (1973), nell’elenco dei migliori scrittori di Argentina e non solo. Apparentemente i suoi racconti (Le cose che abbiamo perso nel fuoco, Marsilio, 197 pag., 16,50 euro) rientrano nel genere horror. In realtà le varie storie si dipanano nella feroce situazione sociale delle borgate di Buenos Aires. In una zona periferica scorre il fiume Riachuelo che finisce per diventare poco a poco poltiglia nera e putrefatta piena di veleni e cadaveri.
È lì che va a indagare il magistrato Marina Pinat, con la pistola alla cintura, sotto la blusa. Incontra case e baracche immerse nel silenzio, bambini geneticamente deformi (a causa dell’acqua), rituali semi-pagani e un prete che si spara in testa. Da un ponte di Buenos Aires alcuni poliziotti, su cui pende un’inchiesta, hanno scaraventato in acqua due giovani colpevoli di essere poveri, ribelli e sbandati. In un altro racconto della Enriquez una donna nevrotica vede nel balcone di un vicino di casa una creatura con le catene alle caviglie: se lo ritroverà in casa. E’ un bambino maligno e deforme. Un critico ha accostato l’autrice a Roberto Bolano. Un giudizio po’ azzardato.
Parigi. «Non li ho mai visti uscire a piedi, né da soli, né di conserva…si avventurano fuori di casa solo motorizzati…». Questo capita in una strana famiglia di rue de Grenelle che abita in un palazzo austero. Nel cortile c’è quella che si potrebbe definire la vera protagonista del romanzo, ossia una vecchia Fiat 500. Nell’abitacolo spesso si trovano tutti assiepati, ognuno diverso dall’altro Un libro affascinante di un giornalista famoso, Christophe Boltanski, (Il nascondiglio, Sellerio, 277 pag., 16 euro). Le varie vicende generazionali sono scandite dall’anticonformismo, dalla nevrosi e da abitudini bizzarre. In casa tutto è catalogato. Domina un marcato parossismo: «Avevamo paura di tutto, di niente, degli altri, di noi stessi. Del cibo avariato. Delle uova marce. Delle folle e dei loro pregiudizi, dei loro odii, delle loro bramosie. Delle malattie…degli incidenti…dei moduli ufficiali…delle noie ingannevoli…del bianco che presuppone il nero…delle persone oneste…delle persone oneste che, a seconda delle circostanze, possono trasformarsi in criminali…». La narrazione di Boltanski, linguisticamente finissima e originale, non è (soltanto) il frullato di paranoie, semmai è un continuo aggancio a esistenze specifiche, ciascuna delle quali contiene in sé un proprio passato.
Milano. È in questa città, certo non poverissima di misteri, che si muove l’anomalo detective Carlo Monterossi, amante della tv spazzatura, di librerie e di gente normale (ma fino a un certo punto). È la creatura letteraria di Alessandro Robecchi che nel suo ultimo romanzo poliziesco, ove ci sono anche angoli di umorismo, cerca di capire perché hanno ammazzato con due colpi di pistola un imprenditore sessantenne. Sul suo cadavere viene trovato un sasso. Questo rebus s’affaccia nell’ultimo libro di Robecchi (Torto marcio, Sellerio,432 pag., 15 euro). Il dtective “per caso” ama raddrizzare i torti. Nel racconto citato entrano in scena anche esperti di terrorismo. Ma la verità viene a galla dopo un’inchiesta clandestina senza che i riflettori dei media s’incaponiscano sul caso. Ancora una volta il genere noir offre l’opportunità di entrare nella quotidianità di una gente ben lontana dalla Milano della moda, della finanza, dei “bauscia” tutti vestiti alla stessa (costosa) moda.