Raffaella Resch
Maresca e Carluccio in mostra a Milano

Tra futuro e preistoria

Da una riflessione sulla linea di continuità con i nostri antenati del Paleolitico è nato “Rock Art. Le ombre della caverna”, un evento tra arte e poesia in cui le tele di Teresa Maresca, l’installazione di Gianni Carluccio, i versi di Cucchi e di Mussapi ci riconnettono con un'altra dimensione

L’arte sulle tracce della preistoria è il tema di Rock Art. Le ombre della caverna, dal 4 maggio al Teatro Ciro Menotti di Milano, una mostra che racconta dell’origine della nostra percezione estetica, ricostruendo in un allestimento del foyer un luogo, una caverna del Pleistocene, dove l’esperienza della visione implicherà i nostri sensi in maniera originale e immersiva. Una vera e propria messa in scena teatrale ci permette di fruire delle opere degli artisti Teresa Maresca e Gianni Carluccio, collocate lungo il percorso di accesso alla sala che dal piano terreno va al sotterraneo, per ricreare quella discesa nella caverna dove i nostri antenati del Paleolitico hanno lasciato affascinanti testimonianze della pittura più antica che si conosca. Le condizioni di un’arte preistorica, le possibilità tecniche di espressione, le soluzioni stilistiche, ma soprattutto gli orizzonti simbolici dei nostri predecessori sono l’oggetto delle ricerche che Maresca compie con occhio da storico e sensibilità d’artista.

Maresca 2Un punto di vista vogliamo sottolineare, che rientra nella poetica di Maresca e la arricchisce, ovvero la consapevolezza che la scintilla che ha reso l’homo habilis (la prima specie del genere homo vissuta a partire da due milioni di anni fa) e poi l’homo sapiens (tuttora presente sulla terra da 200 mila anni orsono) un essere non solo dotato di intelligenza sociale e cognitiva, ma anche un individuo trascendente e simbolico, è la stessa che ancora intatta anima il fare artistico contemporaneo. Noi ora facciamo arte per celebrare – come afferma Maresca – «la stupefacente realtà della nostra esistenza, il senso della morte, la bellezza del cielo, le miracolose proporzioni della natura, il nostro legame (religio) con il soprannaturale, sia pure quello intravisto in un pulviscolo di sole su un muro, o nell’acqua sporca di benzina di una pozzanghera. Ma anche i nostri predecessori percepivano e rappresentavano appassionatamente questo legame, come deduciamo senza dubbio dal seppellimento dei morti, e dall’arte che hanno impresso sulle pareti sotterranee delle rocce». (Nella foto: Teresa Maresca, Mammuth, 2016, olio su tela. Nell’immagine di apertura: Elefante, 2016, olio su tela).

Lo stupore per l’attitudine alla creazione artistica che troviamo sorprendentemente immutata dall’uomo preistorico fino a noi, non è solo quello provato dalle avanguardie del ‘900 alla scoperta delle grotte di Altamira (avvenuta nel 1879) per la freschezza del tratto, l’espressività delle forme, la complessa composizione delle figure e la tecnica finissima pur nell’esiguità degli strumenti. Si dice che Picasso abbia affermato che dopo le pitture parietali di Altamira, l’arte abbia prodotto solo decadenza: Maresca invece si sofferma sulla linea di continuità, sul nostro statuto di esseri simbolico-mitopoietici, la cui urgenza di esprimersi si afferma fin dagli albori della specie umana, e fa suo l’assunto per cui l’arte rientra nelle necessità simboliche dell’uomo.

maresca 3La pittrice avverte una comune percezione originaria di sé, della propria dimensione di essere estetico, creatore e fruitore al tempo stesso di ciò che lo circonda: il mondo intorno all’uomo è ciò che egli vive non da antagonista, ma in pari azione demiurgica, in un momento sospeso che si ripete in varie epoche. La caccia e la battaglia per la sopravvivenza, rappresentate nelle pitture parietali con realismo e drammaticità, costituiscono un motivo predominante della vita dei nostri antenati: ma è nel dipingere che l’uomo preistorico restituisce un senso altro al suo atto di combattere. In questo gesto il mondo si trasfigura, la realtà che egli aveva vissuto all’esterno, o che sarà in procinto di affrontare il giorno successivo, viene portata nei meandri dell’oscura caverna, qui rimessa in azione in una visione consegnata al gruppo sociale di cui l’artista fa parte e poi “tradotta” all’eternità. In questo fermo immagine vivido gli animali non sono più solo le prede di cui dovrà cibarsi, ma magnifici personaggi la cui presenza è scandita nella scena come se avessero dei ruoli: le pitture non soltanto rievocano un accadimento, ma fanno scaturire un mondo in cui l’uomo e le forze della natura hanno un pari statuto. (Nella foto: Giovane bisonte, 2016, olio su tela di Teresa Maresca)

Sulla scorta degli studi di paleoantropologi e studiosi di religione come André Leroi-Gourhan, Yves Coppens, Julien Ries, Mircea Eliade, fino alle ipotesi di David Lewis-Williams relative all’artista-sciamano, Maresca ragiona sul ruolo delle pitture all’interno dei rituali magico-simbolici degli uomini paleolitici, già dotati di consapevolezza nella rappresentazione simbolica: un unico artefice-sciamano dava vita alle pitture al fondo di caverne prive di luce, ingegnandosi per giungervi e illuminarle, allo scopo di indurre un’estasi della visione, una trance visuale che il sito aiutava a provocare, insieme all’evocazione “realistica” degli animali. Secondo Lewis -Williams l’artista officiava un rito estetico ma anche sacrale celebrativo di cui gli altri componenti del gruppo erano partecipi solo tramite il suo potere magico. La caverna è uno spazio di elezione, rappresentativo del vortice mentale neurologico che induce alla trance, dove una realtà simbolico-mitopoietica primigenia prende forma, grazie a un livello partecipativo-empatico di gran lunga maggiore che nel mondo esterno. L’attività estetica si accompagna a quella gnoseologica di conoscenza del mondo esterno. La suggestiva teoria viene accostata da Lewis -Williams al celebre mito platonico della caverna, secondo cui gli uomini segregati sul fondo della grotta credono che la realtà oggettuale sia la proiezione delle ombre che vedono sul muro.

CarluccioMaresca e Carluccio (nella foto una sua opera: Cocci – Natura morta, 2016, olio e gesso su tela) richiamano le ombre dalla preistoria per costruire un mondo immaginario simbolico dove la nostra capacità estetico percettiva viene ricondotta a quella degli artisti del paleolitico. La creazione artistica partecipa dunque di questo potenziale della visione, che trae origine dalla caverna simbolico-antropologica per configurare attraverso le immagini momenti di consapevolezza e di conoscenza. Le tele di Maresca elaborano le immagini degli animali delle caverne paleolitiche: mammuth, bisonti, cavalli ed elefanti emergono dalla preistoria per metterci in contatto con le origini dell’esperienza estetica. A introdurre la loro apparizione, Gianni Carluccio allestisce una installazione immersiva, una suggestiva discesa verso il cuore della caverna, con dipinti ispirati a stalagmiti e a pareti materiche, a ricostruire la dimensione percettiva della grotta, il buio sacro che rendeva possibile il rito dell’artista-sciamano della preistoria. Il visitatore vivrà l’esperienza di calarsi nella caverna, dalle pareti oscurate dai fumi del fuoco, ricoperte di sedimentazioni di calcio, ammirando le stalattiti e le stalagmiti che si stagliano con la loro forma conica, in perenne e incessante mutazione, quale ponte tra due epoche che ci vedono così distanti, la nostra preistoria e i giorni attuali, ma in realtà così vicini nell’orologio dell’evoluzione. Gli animali ci appariranno al fondo del percorso e, come i dipinti degli uomini preistorici, saranno lì a evocare gli spiriti della natura.

I grandi mammiferi ritratti da Maresca ricordano solo in parte quelli delle caverne paleolitiche. Innanzitutto li vediamo frontalmente, in una inquadratura che l’artista riprende dalla ritrattistica cinquecentesca: i loro occhi incontrano i nostri, la posa è quieta e dignitosa, quasi regale, la patina che ricopre la tela (ottenuta con lacca di Garanza) è morbidamente rossastra, come un velluto. Gli spiriti della natura sono diventati individui attuali, depositari dell’antica sapienza degli uomini preistorici, che vede uno stretto legame tra uomo e cosmo, in un rapporto di lotta per la sopravvivenza ma anche di reciproca comprensione.

La collocazione della mostra in un teatro, non a caso a opera di un importante scenografo quale Gianni Carluccio, rivela un’ulteriore significativa caratteristica dell’operazione, definibile “partecipativa”. L’arte di Teresa Maresca è a mio parere espressione di un’intuizione estetica interiore, che si mette a disposizione di altri interventi, aperta non solo al commento e all’interpretazione, ma anche alla piena condivisione del progetto. Rock Art. Le ombre della caverna è l’apice di tale progettualità, quale mostra realizzata dagli artisti Maresca e Carluccio, con la partecipazione dei poeti Cucchi e Mussapi, ambientata nel luogo dove avviene la massima condivisione, anzi la massima trasfigurazione empatica della rappresentazione artistica fin dalla civiltà greca, ovvero un teatro.

Teresa MarescaSarà da non perdere la lettura di Maurizio Cucchi  e Roberto Mussapi, due tra i massimi poeti italiani contemporanei, che porteranno in teatro liriche ispirate alla pittura di Teresa Maresca (nella foto). L’intervento di Maurizio Cucchi (1945) per l’inaugurazione del 4 maggio nasce proprio dalle suggestioni del ciclo degli animali preistorici di Maresca e ne esplicita il sentire empatico tra l’uomo e l’animale, attraverso un esperimento di immedesimazione che il cacciatore si pone di fronte alla preda, se ciò che la bestia possa provare non sia identico al sentimento umano per il proprio essere al mondo. Il poeta che esordì con il celebre Il disperso, proseguendo con Le meraviglie dell’acqua, incontra ora nuove meraviglie, nel suo stupore incessante che è la forza stessa del disperso, la sua resistenza. La ricostruzione di un io critico avviene dunque attraverso lo sguardo verso il cosmo che ci attornia e l’incanto della visione attenua il dubitativo sperdimento.

Il 9 maggio Roberto Mussapi (1952) leggerà Gita meridiana, un poemetto dallo storico libro eponimo del 1990, dove è narrato un doppio incontro, tra due epoche storiche lontanissime, e tra due individui destinati a separarsi, sullo sfondo di una visita alla Grotta delle fate di Finale Ligure. Lo scorrere del tempo che rende il nostro universo gravido di messaggi da ritrovare, da rileggere e interpretare, è il comune obiettivo del poeta e di Maresca, affascinati dall’emergere dei segni del nostro passato. Ricordiamo anche Il racconto del cavallo azzurro. La storia del cosmo narrata a un bambino, favola cosmogonica nutrita di mito, in cui pare di scorgere gli animali di Maresca prendere vita all’interno di un universo drammatico, tracciato tra preistoria e futuro, la cui soluzione è nelle mani di uno spirito originario che impari a riappacificarsi con la natura.

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rock-art notOpere di Teresa Maresca. Installazione e pitture di Gianni Carluccio. Poesie inedite di Maurizio Cucchi, che le leggerà giovedì 4 maggio, il giorno dell’inaugurazione (ore 18,45) e di Roberto Mussapi, la cui lettura si svolgerà martedì 9 maggio. Tutto questo è Rock Art. Le ombre della caverna, una mostra a cura di Raffaella Resch, allestita nel Foyer del Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11, Milano (dal 4 al 16 maggio).

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