L’elzeviro secco
Nel silenzio di Maria
Che cosa “non ha fatto” la madre di Cristo che anche noi possiamo imparare a non fare. Un elenco che commuove, perché la sua cifra è il silenzio che dichiara e l’umiltà che innalza. Perché in lei si realizza l’umanità nella sua svolta più adulta, un'umanità che è bellezza e poesia. Come a Fatima…
Maria non si comportava pateticamente: e la sua vita non è stata semplice. Maria aveva quattordici anni, ma era già matura nella fede. Non doveva “crescere”, non era ancora “piccola per capire”. Quando Gabriele si presentò a lei, fu certo turbata; e non lo bersagliò di richieste, di spiegazioni, di chiarimenti. Si fidava di ciò che le era stato detto. Tuttavia rimase perplessa, comprensibilmente invasa da interrogativi circa l’espletamento concreto di un simile disegno: non indugiò nelle domande laceranti, sapendo bene che in esse si slitta fino a scivolare. Benché fosse il sogno segreto di tutte le donne del suo tempo in Giudea – essere la madre del Messia –, Maria non andò a spifferarlo in giro, non si vantò, non cadde nella vanagloria, non si confidò nemmeno con sua madre Anna.
Non volle consensi e approvazioni pubbliche della sua grandezza di donna, dell’essere la prescelta, colei alla quale Dio aveva pensato sin dagli angoli estremi dell’eterno. Non diede spazio al narcisismo, non istituì il culto dell’egolatria. Non mise la sua vita allo specchio ustorio del successo, il chiarore nel fango. Ebbe riserbo. Per gratitudine cantò un poema, ma decentrò se stessa dalla tensione ultima di esso, per lodare l’artefice del dono. Pensò al dono: non ai suoi privilegi. Maria si fece silenzio, sapendo che è l’unico luogo in cui sia possibile un incontro intimo e vero con la trascendenza. Nondimeno, ciò le procurò parecchie difficoltà, non ultima quella di inoculare sospetti nei familiari e nel giusto Giuseppe, che non sapeva nulla, ma che forse aveva immaginato, conoscendo il pudore della sua promessa sposa, l’opera di Dio e non si sentiva degno.
Non fu facile gioco sopportare di non essere compresa, caricare su di sé sguardi indagatori. Non fu agevole rischiare addirittura di essere lapidata – tale era la pena a quei tempi –, senza che il Dio che pure l’aveva degnata del suo sguardo, non si esprimesse e la lasciasse pencolare su di un precipizio di difficile virtù. Chiunque può aver messo in discussione la sua condotta (benché fosse chiaramente ineccepibile); e lei non ha gridato allo scandalo, non ha cercato di discolparsi, non si è offesa, non ha usato l’astuzia di chi vuol convincere gli altri della propria irreprensibilità, attraverso lo schermo di una soppesata fragilità, per raggiungere un appeasement falsamente condiviso.
In verità, Maria possedeva una psiche a prova di uragano. Maria non ebbe mai paura, anche quando il volto di suo figlio era sfigurato. Non fu colta da cedimenti emotivi, da pensieri di odio, verso baratri di deprimente autocommiserazione. Maria non ebbe bisogno anche solo moralmente e a presa diretta di ricattare qualcuno, rimproverandogli di non aver compreso l’envers du dècor della sua esistenza. Non ordì trappole sentimentali, tattiche o situazioni ambigue con le quali tenere debitamente al laccio il malcapitato di turno. Non presentò a Giuseppe il conto delle sue carenze – se mai ce ne fossero state – di marito. Che io sappia, Maria non criticò, non diede giudizi di sorta (come pietre) condannando prima del tempo, non scagliò rimproveri, non ebbe eccessi d’ira, non fu delatrice e accusatrice, non rinchiuse l’infinità di un volto nell’angusta cella di una formula, non mise al primo posto la sua volontà, la sua personale visione delle cose, non si aspettò un costante e inverosimile riscontro dagli altri. Non prevaricò, non fu onnipresente, non controllò. Maria non cercò di apparire buona, non volle il consenso unanime del consorzio sociale. Non ebbe stampata nella mente, sino a proiettarla nel viso altrui, una certa esagerata idea di sé. Non desiderò di essere venerata anche solo dal pubblico non pagante dei suoi parenti, quasi fossero gli attori marginali – ma concordi nella lode e nell’esaltazione – di quella commedia di cui ci si sente assoluti protagonisti.
Maria non costruì a tavolino un particolare visione del prossimo: perdonò preventivamente l’essere così di chiunque. Seppe valorizzare i pregi del prossimo, nascosti dove nessuno avrebbe mai rovistato. Mise davanti a ogni torto subìto l’attenuante del dolore che l’altro nascondeva in sé. Maria vide nell’assenza, nella sconfitta, nella difficoltà, nella sofferenza valori positivi da cui trarre insegnamento e non valvole impazzite tramite cui vendicarsi per le false aspettative che spesso illudono e avviliscono. Non fu borghese, piccolo-borghese, elitaria, intellettualistica, benpensante, contestataria, trasformista. Non conosceva etichette né per sé né per gli altri, ma, in una rivoluzione silente, ebbe la personalità di non cedere ai gusti e alle ipocrisie del suo tempo, ai compromessi di una fede di comodo, senza per questo mostrare la meschinità delle reprimende di chi interpreta il ruolo del moralizzatore.
Maria non mise le decisioni della propria vita – né tantomeno quelle riguardanti le vita degli altri – al vaglio del governo dell’io. Non cercò di legare a sé persone come oggetti per l’angoscia di essere abbandonata, non volle attirare l’attenzione impietosendo: seppe vivere con fiduciosa attesa il tempo stagnante della solitudine. Maria non creò idoli, sapendo bene che essi sono solo la proiezione di un’immagine mentale svuotata di contenuto e la promessa di una felicità che non sarà mai felice. Poggiando su Dio, fu una grande realista e un’epistemologa acuta.
La fede di Maria è incrollabile, la sua volontà di bene insradicabile. Non ci furono per lei cadute, problemi, tragedie, psicosi che l’abbiamo portata a perdere la speranza o a credere che con l’errore potesse trovare un rimedio, un diversivo. Non aveva bisogno di sfogarsi per non pensare. Non ricorreva a queste protesi di gioia vuota che sono i piaceri. Non disse: «Ciò mi spetta», «questo è mio», «io merito quest’altro». Non diede ascolto al mulinare interiore delle proprie ragioni. Non sputò sul dono di esserci. Maria è stata rifugiata politica, a meno di vent’anni orfana dei genitori, vedova precoce, lavoratrice fino agli ultimi giorni. Soprattutto Maria ha perso l’unico figlio – e in che modo –, ma è rimasta alla luce della volontà di Dio: anzi, ha offerto suo figlio al prezzo di ricevere il martirio del cuore. Maria ci ha insegnato che solo da un sorriso ferito può scaturire la luce della vera bellezza. Eppure, non ha alzato la voce, non ha urlato il proprio pianto, non ha puntato il dito contro un Dio assente.
Maria ha accettato tutto con la cifra unica del suo stile: il silenzio che dichiara, l’umiltà che innalza. Già questo commuove; e ancor di più commuove il sapere e il ritenere con certezza che l’accettazione perfetta della volontà divina non fu per lei il rovescio di un abile computo spirituale di meriti, sì da ottenere nell’ipotetico futuro del paradiso un premio alla solerzia e alla tolleranza: Maria accettò il progetto di Dio esclusivamente per amore di Dio, anche quando non ne comprendeva i disegni. Questa fu la sua forza incomparabile e il trionfo della sua fedeltà. Tutto si risolse per lei nella gratuità e nell’oblazione. Maria è l’esempio che non esistono scuse nella vita. Dicono coloro che l’hanno vista che Maria sia bellissima, tanto da apparire, anche solo al pensiero, sempre solenne e maestosa. Questo perché Maria è l’umanità nella sua svolta più adulta, nella sua capacità di amore adulto. Maria è la poesia più bella che la Trinità abbia mai scritto. Forza, possiamo farcela anche noi.