Every beat of my heart, la poesia
L’origine dell’aurora
Secondo Emily Dickinson è la montagna, e non il mare estraneo al suo orizzonte, la progenitrice del mondo. Antenata del mondo che calpestiamo, delle stagioni e dei giorni che si susseguono e “giocano” ai suoi piedi “come bambini attorno a un sovrano”
La montagna, per la comunità in viaggio, è un ostacolo, come un fiume da guadare, una selva buia perigliosa. L’avventura della montagna è individuale e in quanto tale non può generare un’epica, quale quella navale che dalla Tempesta di Shakespeare porta a Melville, Stevenson, Conrad, come genera un’epica la città, la Roma di Catullo e Properzio, la Londra degli elisabettiani, la Parigi di Hugo, Baudelaire, Dumas. La montagna è meta di un’esperienza individuale e solitaria. Si staglia allo sguardo come modificazione della terra che si eleva, si stratifica innalzandosi verso il cielo. Con cui confina, come immaginano i greci della religione antica dell’Olimpo.
La montagna è sacra. L’uomo che non naviga e non sale verso le vette, ne può percepire il mistero. Fulminante la lirica di Emily Dickinson in cui la montagna è progenitrice del mondo. Visionarietà pura, memoria archetipica. La grande poetessa americana rivive la genesi del mondo partendo non dal mare, origine da sempre, da sempre luogo del destino ultraterreno. Guarda alla montagna come progenitrice del mondo sulla terra. La Dickinson parla sempre da terra, l’avventura per mare è estranea al suo orizzonte.
Come una mistica fissata in una visione, vede nella montagna un gigante progenitore del mondo che calpestiamo. Parla della nostra storia umana, dopo le acque, l’ameba, i primi movimenti anfibi verso il suolo. La sua genesi storica, dal bipedismo in poi, ci svela il mistero del monte che sale verso il cielo.
La montagna si sedette sul piano,
sul suo scranno tremendo
lo sguardo onniveggente,
l’indagine ovunque, infallibile.
Le stagioni giocavano ai suoi ginocchi,
come bambini attorno a un sovrano.
Antenata dei giorni, la montagna,
origine dell’aurora, ai primordi.
Emily Dickinson
(Traduzione di Roberto Mussapi, inedito)