La Biennale Arte di Venezia/4
L’atto di fede di Damien Hirst
Il nuovo e il meraviglioso rientra nell'opera dell’artista britannico che ci chiede di “credere” nell’arte indipendentemente dalla verità, dallo statuto vero-falso. La mostra di Palazzo Grassi (e di Punta della Dogana) è una guida per un possibile accesso all’eterno
Vero o falso? Per la mostra di Damien Hirst a Venezia non ce la caveremo con queste semplici categorie binarie, qui siamo al cospetto dell’incredibile, o meglio di fronte ai “Tesori dal naufragio dell’Incredibile” (Treasures from the Wreck of the Unbelievable), proposti con zelo scientifico-archeologico-numismatico dalla curatrice Elena Geuna in un’accurata ricostruzione storica che accede a fonti totalmente inventate. Percorrendo la doppia colossale mostra di Damien Hirst allestita a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana, ci sentiamo un po’ come gli europei del ‘500 alla notizia delle scoperte mirabolanti di oltre oceano, delle nuove terre e di nuovi esseri: uomini con due teste, donne barbute, unicorni, sirene, draghi alati e pesci delle profondità marine. Fenomeni meravigliosi, esemplari sconosciuti della natura minerale, vegetale e animale, in connessione con le nascenti scienze umaniste, hanno popolato i gabinetti scientifici, le Wunderkammern di re e imperatori dal Rinascimento all’Età dei Lumi con l’Éncyclopedie di Diderot e D’Alembert, mettendo ordine tra le nuove incontrovertibili scoperte e cercando una spiegazione alla vastità della natura.
Il nuovo e il meraviglioso rientra prepotentemente in gioco nell’opera di Hirst, che ci chiede di “credere” all’arte, non importa il suo statuto di verità, dopo le vetrine di pillole Lullaby Spring con medicinali tassonomicamente disposti, le tavole entomologiche, animali in formalina, squali bianchi, sezioni di mucche, cavalli e mandala di farfalle, in una costante meditazione sull’arte e sulla morte, se con l’arte si possa sopravvivere impunemente alla cessazione della vita, alla degradazione dei corpi, all’oblio del tempo. La porta d’accesso all’eterno è l’arte, non solo nel farla, ma anche nel conservarla, nel ritrovare linee di continuità tra il passato e l’attuale. La favola che Hirst confeziona con una produzione che rasenta l’opulenza dei kolossal hollywoodiani, ci racconta di un ritrovamento fortuito al largo dell’Africa orientale, avvenuto nel 2008, della nave Apistos (Incredibile, appunto, in greco antico) appartenuta a uno schiavo egiziano liberato vissuto tra il I e il II secolo D.C., Cif Amotan II, naufragata durante il trasporto della sua collezione d’arte, composta di opere e manufatti delle civiltà allora note. Il recupero del relitto a opera dell’imbarcazione di salvataggio Resurrection e di un’equipe di archeologi, ingegneri, e ricercatori subacquei è oggetto di riprese filmiche paragonabili al making of del Titanic di James Cameron, proposte in mostra a corredo della ‘verità’ della scoperta, quali affidabili documentari scientifici. La voce fuori campo del narratore ci spiega come siano stati trovati questi resti, i misteri che ancora devono essere risolti, e lo stupore in cui lo studioso si imbatte, nel trovare sculture che sono diventate parte della natura…!
Il fuoriscala magniloquente della statua di Demon with Bowl (più di 18 metri di altezza di resina dipinta in simil bronzo letteralmente compressi nell’atrio di Palazzo Grassi) a iniziale stordimento del visitatore, si accompagna alle miniature dei gioielli, delle monete antiche (di provenienza romana, gallica, minoica, indù, quasi a ricordare le storiche mostre veneziane sull’arte dell’antichità a Palazzo Grassi), alle vetrine di naturalia, con concrezioni minerarie ‘incrostate’ d’oro, alla narrazione interattiva del contenuto della nave naufragata, con un modellino in scala sulla cui prua è posta la statuina del collezionista a braccio teso, quasi a indicarci la via verso l’incredibile e il meraviglioso.
Sulle sculture e sui reperti recuperati dal naufragio dell’Incredibile ci sono ancora incrostazioni, coralli e microorganismi che sono però spiritosamente ‘falsi’: spugne e conghiglie dalle volute impossibili, fatte di pietre preziose, marmo e bronzo, decorano le opere inventate da Hirst sulla scorta di un immaginario che fonde arte classica occidentale, egizia, indiana e maya, con una giusta dose di Pop. Nuovi Laocconti e meduse, Buddha di giada, , faraoni egizi e lo stesso collezionista Amotan con le sembianze di Damien Hirst, appaiono nelle loro forme ibridate tra torsi di Barbie spacciati per classici, divinità proteiche che sembrano prese di peso dalla stiva del vascello fanstasma La perla nera del film Piraiti dei Caraibi con Johnny Depp, statue dì Topolino, Pippo e e Optimus Prime dei Transformers (altro ciclo hollywoodiano). Le didascalie scientifiche che illustrano i reperti nelle loro fonti iconografiche, tacciono sulla statua di Mickey Mouse o di Mowgli e l’orso Baloo del disneyano Libro della giungla, e glissano su vistosi moderni piercing ai capezzoli dei busti antichi, o delle maschere fetish di qualche testa di penitente. I disegni alla matita sanguigna recano dei piccoli timbri che altro non sono che marchi di automobili… Infine il catalogo della mostra è accompagnato dal libro fotografico del ‘ritrovamento’, 128 immagini a colori, indiscutibilmente comprovanti il ripescaggio dei reperti dal fondo del mare.
La fascinazione dell’antico è prepotente in Damien Hirst, che con questa mostra soddisfa inconfessati desideri di archeologi, studiosi delle religioni e dell’arte primitiva, proponendo reperti in giada di mani giunte in preghiera, improbabili foto di una storica esposizione surrealista dove i torsi classici femminili sono beffardamente inclusi, busti di ieratiche divinità che ritraggono la cantante rapper sudafricana Yolandi Visser. La sostanza di cui sono fatti questi sfrenati sogni del collezionista è di grandissimo valore: oro, giada, turchese, lapislazzulo, malachite, cristallo di rocca, lavorati finemente e in più versioni, da quella ‘incrostata’ a quella ‘lucidata’. Dopo la sorpresa che tale meraviglia accende in noi, proviamo ad appigliarci a dati concreti: quanto pesano le sculture, come e se veramente le avranno calate e recuperate dal fondo del mare, e soprattutto, quanto sarà costato tutto questo ‘cinema’? Quest’impresa titanica, durata 10 anni, travalica per ambizioni e dimensioni la semplice realizzazione di opere per il mercato, di cui da un lato l’artista si fa beffe sparigliando la classificazione tra “autentico” e “fake”, dall’altro ne osserva i meccanismi proponendo opere in varianti e classificazioni ossequiose dei dettami delle aste. Chi mai potrà comprarsi il Demone di 18 metri? O la scultura di Andromeda con il mostro (di circa 4 x 6 m.)? Si tratta a tutti gli effetti di installazioni archeologiche degne del British Museum o del Pergamon di Berlino…
A proposito della disponibilità alla vendita e del prezzo degli oggetti, la Fondazione Pinault ha fornito alla rivista “Artnet News” la seguente dichiarazione: «Questa è una mostra in un museo, noi dunque non sappiamo i prezzi delle opere che appartengono all’artista». Secondo il New York Times (cito ancora da “Artnet News”), le gallerie di Hirst stanno offrendo un listino prezzi che va da $ 500,000 al pezzo fino a più di 5 milioni di dollari. Ancora una volta Damien Hirst ha chiuso il cerchio tra arte e mercato, mettendo a nudo la propria ossessione del collezionista e passione per i tesori dell’antichità, calcando le vestigia del passato per indicare una via alla loro memoria futura: un’operazione che lascerà il segno, soprattutto per aver instillato un’indelebile emozione nel pubblico dell’arte contemporanea, ma anche dei musei tradizionali.
(Nelle immagini: in apertura Damien Hirst, Aspect of Katie Ishtar ¥o-landi , Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017; al centro, Damien Hirst, The Severed Head of Medusa, Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017; sotto, Damien Hirst, Proteus, Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017)