Incontro con lo scrittore
Un inferno rock
Con “Sex & Petrol & Rock'n'Roll” Dino Lacanfora racconta un mondo dove tutto risponde alle logiche del profitto. E tutto diventa pornografia da consumare in fretta. «Credo che sia un momento duro per l'umanità»
Sex & Petrol & Rock’n’Roll (Augh Edizioni, 2017, pp. 204, euro 13) di Dino Lacanfora è un noir atipico, a tratti pulp a tratti intimista, sulla condizione umana in relazione alla sete di gloria e popolarità in ambito musicale, ma non solo. Un paese di provincia: San Sao Cacao. Una band rock ormai sui sessanta e al principio della decadenza: gli Esquelito. Un front man duro e profondo come un Jim Morrison contemporaneo: Gino Bino Brillo. Una donna che risolve ogni problema, la moglie di Gino: Rizla. Un produttore spietato e legato al denaro come una vecchia talpa: Pepito Scalo. Un fan sfegatato con mille identità, unico ideatore e frequentatore del forum dedicato agli Esquelito: Sid Quarantino. Un regista messicano di film porno con una casuale felice omonimia: Carlito Esquelito. Una missione: riportare in auge la band con un’operazione commerciale senza precedenti. Sex and Petrol and Rock’n’Roll è il nuovo singolo, nato da un’esigenza di rivolta contro i rilevatori di petrolio che sempre più imperversano nella provincia di San Sao Cacao, così come in molte province italiane rurali, dilaniate dal capitalismo che da sempre se ne infischia del benessere degli esseri umani e sacrifica ogni cosa al profitto.
Il sesso, il petrolio e le derive estreme del successo hanno tutte un elemento di congiunzione: la pornografia, per questo la scelta per il videoclip ricade su un regista di film porno. La pornografia diventa oggi, per citare un saggio di due sociologi contemporanei, Attimonelli e Susca, Pornocultura, dove si comprende come il porno non sia più appannaggio di pochi ma imbastisca l’immaginario quotidiano di tutti noi, dai cartelloni pubblicitari ai social network, dal banale selfie, che incoscientemente dona l’immagine di sé a un mondo sconosciuto, fino ad arrivare alle conversazioni erotiche in chat, ormai sempre più d’ordinaria amministrazione. La pornografia dunque è il simbolo del nostro tempo.
Il signor Lacanfora è una persona comune, che vive in una cittadina chiamata San Sao Cacao. Lui è uno che si confonde tra la gente e trae ispirazione dall’infinito materiale umano che lo circonda. Potrei definirlo un essere che guarda all’umanità come un bambino che assista ad uno spettacolo circense. Ad esempio, lui entra in un bar e a servirgli il caffè c’è la donna cannone, a passargli il giornale è l’uomo forzuto, mentre a fargli l’occhiolino dall’alto è una bellissima trapezzista dalle lunghe cosce lisce come seta. Il bello è che tutti possono diventare il signor Lacanfora, basta sentirsi solo un po’ signori nell’immaginazione. Per riuscirci basta seguire una sola regola: pensare al futuro e sorridere come se si conoscesse un segreto.
Perché San Sao Cacao?
San Sao Cacao è semplicemente una cittadina reale passata attraverso il filtro dell’immaginazione. Uno di quei posti che un giorno odi e un altro ami alla follia. Un luogo che va vissuto per impulso, passione, istinto. A San Sao Cacao, per esempio, le lucertole diventano bellissime spille appiccicate ai muretti, le alghe trovate sulla spiaggia sono i capelli che le sirene hanno perso, le vongole sono le nacchere del mare, e le palme dei giganteschi monumenti al razzo o delle ancore che uniscono la terra al cielo. A San Sao Cacao succedono però anche fatti poco piacevoli, come un sindaco che viene casualmente ucciso e fatto a pezzi da un gruppo di ragazzi che poi lo cucinano e lo servono all’interno dei panini in una sagra del cinghiale locale, lasciando che venga mangiato dai suoi stessi elettori. Oppure può succedere che un Centro Oli per l’estrazione del petrolio venga costruito a due passi dal paese e che una band rock decida di scrivere una canzone al riguardo, intitolandola “Sex&Petrol&Rock’n’Roll”. Ecco, definirei San Sao Cacao un luogo di dormizione, dove tutto può succedere. O quasi.
Come nasce l’idea di Sex & Petrol & Rock’n’Roll?
Il titolo del romanzo Sex & Petrol & Rock’n’Roll prende palesemente spunto da un brano che il poliedrico artista Ian Dury scrisse e lo portò al successo nella metà degli anni 70: Sex & Drug & Rock’n’Roll, in cui si parla della mercificazione dell’individuo all’interno dell’industria dello spettacolo, argomento che anche il grande sociologo Marshal Macluhan, nella suo saggio La sposa meccanica riassume genialmente in una frase brevissima: “Ama la tua etichetta come te stesso”. Sex & Petrol & Rock’n’Roll è un po’ l’evolversi fino ai giorni nostri di quel Sex & Drug & Rock’n’Roll, dove l’elemento droga viene sostituito dall’elemento petrolio, e il bisogno isterico di apparire prende la strada di una pornografia sadica e sanguinaria: si pensi solo ai famosi cinque minuti di celebrità di cui parlava Andy Warhol rimpiazzati dai cinque minuti di popolarità di quei terroristi che, facendosi filmare, torturano e uccidono in nome di chissà chi.
Chi rappresenta Sid Quarantino?
Sid Quarantino nel romanzo appare come il cattivo per eccellenza, lo psicopatico perverso, colui il quale non vorresti mai incrociare nella tua vita. In realtà lui è la perfetta rappresentazione dell’uomo medio che a un certo punto crolla. E’ l’essere più fragile, il più vulnerabile di tutti, che alimentato e deviato da quello che i media gli inculcano giorno dopo giorno diventa quello che è: una creatura sociogeneticamente modificata dall’inquinamento mediatico. Esattamente come i membri della band che sequestra e tortura, egli aspira alla sua fetta di fama, al suo posto nella leggenda, esattamente come l’assassino di Lennon o di Kennedy. È da loro che prende l’ispirazione, architettando però un disegno ancora più sadico. Lo fa riprendendo il tutto in ogni minimo particolare: sangue, lacrime, urla… E se tutto questo porta dritti all’inferno, Sid Quarantino sceglie l’inferno.
Credi che la ricerca di popolarità possa diventare una malattia?
Credo che lo diventi nel momento in cui va a sostituire le cose realmente importanti. Mi riferisco alla gioia delle cose semplici di cui possiamo usufruire giorno dopo giorno. La brama di fama è un po’ come la malaria, ci si sente malati finché non la si ottiene, ma il suo raggiungimento non porta sempre ad una pronta guarigione. Si pensi a personaggi come Kurt Cobain, Whitney Huston, Amy Winehouse… raggiunto l’obbiettivo hanno optato per il suicidio. Certo, ogni uomo ha il diritto di fare la sua provvista di sogni, l’importante è che siano quelli giusti.
C’è poi la questione del petrolio, parliamone…
Dirò soltanto una cosa al riguardo: chiunque devasti un territorio mettendo a rischio la vita di chi lo popola, chiunque faccia questo, e lo faccia in nome del dio danaro, in nome di quel Moloch così tanto citato da Allan Ginsberg, bene, chiunque faccia questo è soltanto un gran pezzo di merda. Purtroppo i signori del petrolio ci sono, sono reali e fanno i loro porci comodi da sempre, tocca a tutti noi, insieme o nel nostro piccolo, fare in modo le cose prendano un’altra direzione. Il mio minuscolo contributo penso di averlo dato con questo romanzo. Ma non finisce qui.
Credi che sia un momento duro per il rock e la musica in genere?
Credo che sia un momento duro per l’umanità, tutta.
Sei anche videoartist, ma questo credo sia legato alle tue composizioni musicali, dato che sei un musicista, giusto?
Sì, in genere mi capita di scrivere un romanzo e nello stesso tempo comporre canzoni per poi girarci dei videoclip. Scrittura, suono e immagini, in me diventano tre forme d’espressione che parlano una sola lingua. È da pazzi, lo so, ma è una cosa che faccio quasi istintivamente, proprio non riesco a farne a meno.
Come hai iniziato a scrivere?
Avevo 3 anni. Ero un bambino che piangeva molto. Se ci fosse stata una gara del pianto l’avrei vinta di sicuro. Capitò che un giorno piansi talmente tanto che mi procurai un’ernia. L’ospedale, i medici, l’intervento chirurgico mi traumatizzarono talmente tanto che da quel momento in poi cominciai a parlare balbettando. Mia madre decise di risolvere il problema da sé. Mi fece una semplice domanda: “Vuoi andare all’asilo o startene qui a casa con me a fare scuola?” Ovviamente optai per la seconda proposta. Me ne restai a casa, e lei mi insegnò a leggere e scrivere. Quando poi iniziai la prima elementare, al contrario degli altri bambini, sapevo già il fatto mio. È stato in quell’anno che ho iniziato a scrivere il mio primo racconto.