Periscopio (globale)
Goethe e Marianne
Viaggio nell'ultimo amore di Goethe, quello per Marianne Jung, giovane donna fatale (e poetessa) con il quale lo scrittore condivise anche la passione per la poesia persiana di Hāfez
Innamorarsi di una donna, anche in tarda età, non è certo raro; innamorarsi al contempo di una donna e di una vasta e complessa letteratura – senza che tra le due vi sia un nesso specifico – sembra già cosa più originale. Ed è proprio quanto accadde, un paio di secoli fa, all’olimpico Goethe, la cui infatuazione per Marianne Jung andò di pari passo, e con risultati letterari di tutto rispetto, con lo studio e l’assorbimento della poesia tradizionale persiana, dal misticismo di Rûmî all’eleganza e alla sincerità lirica di Hāfez.
Ma cominciamo da Marianne: siamo nell’estate del 1814, e Goethe riesce finalmente a tornare nei luoghi della sua infanzia, la regione del Meno intorno a Francoforte, da cui si era allontanato, per seguire la propria carriera artistico-diplomatica, ben diciassette anni prima. La città rappresenta per lui una spina nel fianco, non fosse che per il fatto di non avervi potuto mettere piede neanche per il funerale della madre, morta nel 1808 quando Francoforte era occupata dai francesi. Ecco però che sei anni più tardi, liberatosi di Napoleone, si creano le condizioni per un ritorno in grande stile, un lungo giro nelle città toccate dal Reno e dal Meno che consentirà a Goethe di rivedere finalmente tanti vecchi amici, con cui è rimasto in contatto malgrado la distanza geografica. Uno di questi è Johann Jakob Willemer, un banchiere appassionato di letteratura e di teatro, poeta dilettante e grande ammiratore dell’amico lontano. Due volte vedovo, padre di cinque figli, nel 1800 il quarantenne Willemer era entrato a far parte del consiglio d’amministrazione del principale teatro di Francoforte, e in questa sua funzione aveva incontrato, rimanendone affascinato, un’attrice e ballerina appena quindicenne, Marianne Jung, di cui nello stesso periodo s’innamorò perdutamente anche il poeta Clemens Brentano. A differenza di Brentano, tuttavia, Willemer è un uomo d’azione e di notevoli risorse; risorse che gli tornano utili al momento di accordarsi con la madre di Marianne, a sua volta vedova. Alla donna, ridotta quasi all’indigenza, Willemer fa un’offerta che sarebbe stato difficile rifiutare: le assicura una congrua buonuscita e s’impegna ad accogliere Marianne in casa propria, ad allevarla con le proprie figlie e a darle la migliore educazione possibile. Fin qui tutto bene. Passa però qualche anno, e Marianne, non bellissima ma vivace e brillante, agli occhi di Willemer si fa sempre più intrigante; per farla breve, i due diventano amanti, ma con la seria intenzione, da parte di Willemer, di regolarizzare la situazione appena possibile – un po’ come era successo, non senza scandalo, allo stesso Goethe con Christiane Vulpius. In realtà la relazione pseudomatrimoniale si protrae per molti anni e verrà regolarizzata solo poco dopo la visita del grande poeta, che Willemer va a trovare il 4 agosto del 1814 a Wiesbaden per invitarlo e forse anche per riceverne qualche consiglio pratico sulla via da seguire. Il matrimonio fra Willemer e Marianne si celebra quasi clandestinamente il 27 settembre, ma intanto qualcosa era successo, qualcosa che sicuramente non poté sfuggire nemmeno al sospettoso (e al contempo lusingato) Willemer: con buona pace delle convenzioni borghesi, Marianne e Goethe si erano incontrati, la scintilla era scoccata.
Sessantacinque anni suonati il poeta, trenta non ancora compiuti la giovane; sposato lui, sposata, anche se almeno formalmente da pochissimo, lei; aureolato da una fama universale lui, modesta casalinga lei; sempre in viaggio lui, forzosamente stanziale lei. Goethe capì subito che alla lunga non avrebbe potuto funzionare, ma si lanciò in quest’ultima impresa amorosa con passione, ardendo di un fuoco che non era solo fisico, ma altresì poetico.
Il diavolo, o chi per lui, aveva fatto in modo che il suo editore, Johann Friedrich Cotta, gli spedisse poco prima della sua partenza un’antologia di poesia persiana, e più precisamente il Diwan, una raccolta di ghazal del poeta trecentesco Hāfez. Goethe comincia a leggerlo e ne è semplicemente irradiato: il 7 giugno lo cita nel suo diario e il 25 luglio, ispirandosi ad Hāfez, scrive alcuni versi che sarebbero poi confluiti nel West-Östlicher Divan, il Divano occidentale-orientale, alla cui concezione ed esecuzione avrebbe partecipato attivamente, come vedremo, anche Marianne.
Nell’ottobre del 1814 Goethe e i Willemer si ritrovano nei pressi di Francoforte, per una celebrazione del primo anniversario della sconfitta napoleonica a Lipsia che sui due futuri amanti lascerà il segno; il 20 Goethe si rimette in viaggio per Weimar e inizia una lunga corrispondenza con Marianne che culminerà nella decisione di una nuova trasferta a Francoforte e dintorni nella primavera dell’anno successivo. Nel frattempo, all’inizio del 1815, Christiane è vittima di un infarto che rende impensabile un suo viaggio al fianco del marito. In maggio Goethe parte quindi nuovamente da solo, dimorando per lo più a Wiesbaden, ma non disdegnando di passare un lungo periodo, alla fine dell’estate, proprio in casa Willemer, dove si creano, grazie anche alle intense conversazioni con Marianne, le condizioni migliori per lavorare al Divan, l’opera con cui Goethe stabilisce un nesso diretto, mediante una specie di controcanto, con l’opera dei grandi poeti persiani; nel Divan Marianne finisce per confluire come uno dei personaggi principali sotto le mentite spoglie di Suleika, mentre a se stesso, in modo piuttosto scoperto, Goethe riserva il ruolo dell’appassionato amante di Suleika, Hatem. L’identificazione con il mondo poetico persiano è impressionante. Se Hāfez scrive «È stupore in germoglio che cresce, l’amore per te: / ogni volta che prossimi siamo è compiuto stupore», Hatem (ovvero Goethe) sembra rispondere: «Du nennst mich, Liebchen, deine Sonne, / Komm, süßer Mond, umklammre mich!» (Tu mi chiami, amor mio, tuo sole, / e allora vieni, dolce luna, ad abbracciarmi!)
Nel libro centrale del Divan, quello di Suleika, appunto, che Goethe comincia a comporre nel maggio del 1815, compaiono almeno tre poesie perfettamente inserite nel contesto, ma che hanno una loro particolarità: Goethe si è limitato a trascriverle con qualche (poco riuscita) modifica, ma i testi sono decisamente di Marianne, scritti nel contesto di un dialogo poetico, o di un autentico botta e risposta, nel quale ragionavano del loro amore. Un amore che probabilmente rimase platonico, ma che nondimeno impegnò entrambi in una serrata autoanalisi lirica durata svariati mesi e conclusasi solo alla fine di settembre con l’inevitabile disimpegno del poeta, convinto ormai di non poter più indulgere al sogno di quella nuova, tardiva passione.
Quel che maggiormente colpisce è l’autentica appropriazione, da parte di Goethe ma si direbbe anche di Marianne, del mondo poetico persiano, e in particolare dei componimenti di Hāfez, là dove l’evento biografico che li coinvolgeva viene travestito e dissimulato, ma al tempo stesso cosparso di indizi che potevano essere interpretati solo dai due protagonisti. (In seguito, ma questo non potevano saperlo, quegli stessi indizi sarebbero serviti a qualche acuto esegeta; primo fra tutti Herman Grimm, nipote dei fratelli Grimm, a intuire il segreto ferocemente difeso da Marianne fin quasi alla morte.) Gli scambi poetici fra Goethe e Marianne, e in particolare i quattro componimenti che a quest’ultima sono da attribuirsi (Hochbeglückt in deiner Liebe, Ach, um deine feuchten Schwingen, Sag, du hast wohl viel gedichtet e Was bedeutet die Bewegung?), rappresentano incontestabilmente uno degli apici della poesia tedesca di tutti i tempi. Con tanto di consacrazione musicale, visto che alcuni di essi rientreranno in seguito fra i Lieder su testi goethiani composti da Schubert e Mendelssohn.
Insomma, Marianne è stata l’unica amante e musa di Goethe che si sia rivelata a posteriori anche poetessa e coautrice di una sua opera. Ma quel che è più significativo: l’incontro con Goethe la libera al punto da conferirle una maestria e una padronanza nell’espressione poetica che avrebbe potuto fare di lei, con la passione e la vivacità che emana, una delle maggiori voci del suo tempo. Quando poi Goethe diventa un ricordo, o tutt’al più un lontano corrispondente, ecco che Marianne rientra nei ranghi, compone ancora qualche poesiola d’occasione, si rassegna al suo ruolo di moglie e alla vita prosaica accanto a Willemer (pur indulgendo ai divertimenti sociali dell’epoca e del suo ceto e concedendosi ad esempio con il marito la classica Italienreise) e in definitiva sceglie, almeno in qualità di poetessa, di scomparire. Goethe muore nel 1832, Willemer nel 1836, e Marianne, che avrà una vita lunga (fino al 1860), trascorrerà gli ultimi anni in solitudine e in relativo silenzio, confidando solo in extremis a Grimm le vere circostanze della composizione del Divan. Circostanze che oggi possono solo farci rammaricare del fatto che una voce poetica nuova e brillante, di enorme sensibilità e finezza, sai stata sacrificata sull’altare della rispettabilità sociale.
Anche la poesia, si direbbe, può morire di troppo amore.