Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Genova per Caproni

Come quello di Dino Campana, anche l’incontro del poeta toscano con la città della sua formazione è memorabile. Una geometria di strettoie e ostacoli, buio e ombre predisposti all’evento e alla scomparsa. Gli elementi della città primordiale, delle origini, la cui voce è il vento…

I nostri lettori hanno assistito all’incontro fatale di Dino Campana con la città di Genova. Altro approdo alla capitale marinara, altra scossa, altro, creativo questa volta, inebriante, sconvolgimento: Giorgio Caproni, un grande poeta del Novecento, delle felice generazione dei Luzi, Bertolucci, Bigongiari.
«Con me, mentre un cerino/ mi si sfaceva bagnato/ fra le dita, alla guazza/ marina anche la luna/ entrava-entrava una/ ragazza che la calza/ cauta s’aggiustava. / Era un portone in tenebra,/ di scivolosa arenaria:/ era, nell’umida aria/ promiscua, il mio ingresso a Genova».
La visita a Genova dovrà seguire una geometria di strettoie e ostacoli: porte, portali, scale, passaggi, cunicoli, piazzette, la topografia della città tentacolare. L’andito buio e il portone in ombra, luoghi predisposti all’evento e alla scomparsa: la figura, superata la soglia del nero, svanirà nel buio. Gli elementi della città primordiale: il muro, l’elementare edificio, a cui la mano si appoggia per orientarsi nel buio… Il suono del vento è la voce di questa città dell’origine, in cui le figure umane, non nominate, invisibili, paiono acquattate nel buio. La città porto, la città tortuosa e in salita, la città meandro, su cui torreggia, tra gli altri palazzi gonfi come vele di galeoni e come oscillanti, il faro.
Vibrante, sussultorio e incantato l’incontro con Genova di Giorgio Caproni, che avrebbe poi tradotto anche la magica Genova di un altro poeta, francese, Andrée Frénaud. Che presto leggerete in questa rubrica.

 

Giorgio_Caproni

 

 

 

 

 

 

Didascalia

Entravo da una porta stretta,

di nottetempo, e il mare

io lo sentivo bagnare

la mia mano-la cieca

anima che aveva fretta

e, timida, perlustrava

il muro, per non inciampare.

 

Dal vicolo, all’oscillare

d’una lampada (bianca

ed in salita fino

a strappare il cantino

al cuore), ahi se suonava

il lungo corno il vento

(lungo come un casamento)

nell’andito buio e salino.

 

Con me, mentre un cerino

mi si sfaceva bagnato

fra le dita, alla guazza

marina anche la luna

entrava-entrava una

ragazza, che la calza

cauta s’aggiustava,

 

Era un portone in tenebra,

di scivolosa arenaria:

era, nell’umida aria

promiscua, il mio ingresso a Genova.

Giorgio Caproni
(Da Stanze della funicolare, 1954)

 

 

 

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