Every beat of my heart, la poesia
Genova per Caproni
Come quello di Dino Campana, anche l’incontro del poeta toscano con la città della sua formazione è memorabile. Una geometria di strettoie e ostacoli, buio e ombre predisposti all’evento e alla scomparsa. Gli elementi della città primordiale, delle origini, la cui voce è il vento…
I nostri lettori hanno assistito all’incontro fatale di Dino Campana con la città di Genova. Altro approdo alla capitale marinara, altra scossa, altro, creativo questa volta, inebriante, sconvolgimento: Giorgio Caproni, un grande poeta del Novecento, delle felice generazione dei Luzi, Bertolucci, Bigongiari.
«Con me, mentre un cerino/ mi si sfaceva bagnato/ fra le dita, alla guazza/ marina anche la luna/ entrava-entrava una/ ragazza che la calza/ cauta s’aggiustava. / Era un portone in tenebra,/ di scivolosa arenaria:/ era, nell’umida aria/ promiscua, il mio ingresso a Genova».
La visita a Genova dovrà seguire una geometria di strettoie e ostacoli: porte, portali, scale, passaggi, cunicoli, piazzette, la topografia della città tentacolare. L’andito buio e il portone in ombra, luoghi predisposti all’evento e alla scomparsa: la figura, superata la soglia del nero, svanirà nel buio. Gli elementi della città primordiale: il muro, l’elementare edificio, a cui la mano si appoggia per orientarsi nel buio… Il suono del vento è la voce di questa città dell’origine, in cui le figure umane, non nominate, invisibili, paiono acquattate nel buio. La città porto, la città tortuosa e in salita, la città meandro, su cui torreggia, tra gli altri palazzi gonfi come vele di galeoni e come oscillanti, il faro.
Vibrante, sussultorio e incantato l’incontro con Genova di Giorgio Caproni, che avrebbe poi tradotto anche la magica Genova di un altro poeta, francese, Andrée Frénaud. Che presto leggerete in questa rubrica.
Didascalia
Entravo da una porta stretta,
di nottetempo, e il mare
io lo sentivo bagnare
la mia mano-la cieca
anima che aveva fretta
e, timida, perlustrava
il muro, per non inciampare.
Dal vicolo, all’oscillare
d’una lampada (bianca
ed in salita fino
a strappare il cantino
al cuore), ahi se suonava
il lungo corno il vento
(lungo come un casamento)
nell’andito buio e salino.
Con me, mentre un cerino
mi si sfaceva bagnato
fra le dita, alla guazza
marina anche la luna
entrava-entrava una
ragazza, che la calza
cauta s’aggiustava,
Era un portone in tenebra,
di scivolosa arenaria:
era, nell’umida aria
promiscua, il mio ingresso a Genova.
Giorgio Caproni
(Da Stanze della funicolare, 1954)