Ritratto d'artista
Teatro & Sentimento
Marco Sgrosso: «A un giovane consiglio di studiare la tecnica, ma senza permettere che abbia il sopravvento sulla verità del sentimento: cosa non facile, perché il percorso comporta stati di confusione e di rinuncia da una parte e dall’altra, prima di arrivare a capire e sentire la ‘misura’»
Nome e cognome: Marco Sgrosso.
Professione: Attore.
Età: 55.
Da bambino sognavi di fare l’attore? Mi ha sempre affascinato l’idea di recitare, ma in realtà da bambino avrei voluto fare il cantante di musica leggera. Ero un patito di Canzonissima e del Festival di Sanremo. I cantanti e le cantanti erano i miei idoli. Li imitavo e sapevo tutto di loro. Adoravo soprattutto Milva e Patty Pravo. Per un breve periodo ho anche scritto letterine appassionate, e qualcuno mi ha anche risposto: Gigliola Cinquetti mi ha spedito a casa un suo 45 giri che non ero riuscito a trovare! Ornella Vanoni mi ha risposto tre volte sul retro di una cartolina con un suo ritratto sul fronte, e in una mi scrive che ero proprio un bel ragazzino, segno che devo averle mandato una mia fotografia! In un’altra mi risponde con molto savoir faire e un po’ evasiva riguardo a Milva, Mia Martini e Patty Pravo… evidentemente dovevo averle chiesto in che rapporti era con loro e cosa ne pensava: che vergogna a ripensarci! Soltanto negli anni del liceo ho cominciato a pensare seriamente al teatro.
Cosa significa per te recitare? E’ un viaggio meraviglioso nella fantasia e nella passione. E’ come una malattia. Un tuffo nell’anima immaginata di altri esseri, che mi fa sentire libero e incatenato al tempo stesso. A seconda degli spettacoli e dei personaggi diversi, provo emozioni diverse. La sensazione più bella è quella di sentirmi vivo al di là del tempo e del mio stesso corpo, di essere ‘altrove’ e immaginarmi essenza che si carica del peso di un’altra anima, di cui sono costretto, con gioia, ad essere portavoce.
Il tuo film preferito? Non ce n’è uno solo… Adoro il cinema, ci vado spesso, il più delle volte da solo. Mi sono laureato in Storia del Cinema, per me è sempre stata una grande passione. Un film che rivedo sempre con grande gioia è Eva contro Eva di Mankievicz, con Bette Davis, che – guarda caso – dipinge un quadro perfetto e indimenticabile del teatro. Scritto magistralmente e interpretato magnificamente da tutto il cast. Ma non è che un esempio, la mia passione spazia da generi a paesi e a periodi diversi.
Il tuo spettacolo teatrale preferito? (Fatto da te o da altri) Tra gli spettacoli “fatti da me”, il preferito è “Ella” di Herbert Achternbusch, testo di bellezza rara, una vera e propria perla della drammaturgia contemporanea, forte e struggente. Lo amo non solo per le soddisfazioni che mi ha dato e per la sua essenzialità, ma anche perché è arrivato in un momento particolare della mia vita personale e professionale ed è tutto frutto della mia anima. E’ stato un omaggio alla memoria di mia madre, che è mancata prima che decidessi di fare teatro. Subito dopo, “Prima della pensione” di Thomas Bernhard, recentissimo: scoprirlo e interpretarlo è stata una sorpresa meravigliosa, un’adesione totale! Tra quelli realizzati da altri, di cui sono stato spettatore, la scelta è molto difficile. Ne cito tre che sono rimasti incancellabili nella mia memoria: “Ignorabimus” con la regia di Luca Ronconi, la “Turandot” di Gozzi con la regia di Cobelli ed “Emma B. vedova Giocasta” con Valeria Moriconi.
Qual è l’attore da cui hai imparato di più? Non saprei dire quanto ho davvero imparato da un collega, ma certamente vedere un attore o un’attrice bravi per me è un piacere assoluto. Non si tratta tanto di ‘imparare’ quanto di assorbire un’energia e una ‘bellezza’. Anche in questo caso, non potrei fare un solo nome. Attenendomi solo al teatro italiano e ai colleghi che ho visto dal vivo, e dovendo limitare l’elenco, dico: Valeria Moriconi, Claudio Morganti, Franca Nuti, Roberto Herlitzka, Maria Paiato, Massimo Popolizio, Eros Pagni, Marisa Fabbri. Ma anche tanti altri. E poi c’è naturalmente la stretta collaborazione con Elena Bucci, che per me è un nutrimento continuo, perché nonostante la lunga conoscenza e condivisione del palcoscenico è una scoperta continua, sia come attrice che come regista. Elena è una vera ‘creatura teatrale’, un serbatoio di energia inesauribile.
Qual è il regista da cui hai imparato di più? Leo De Berardinis, che considero il mio maestro. Mi ha insegnato non solo l’arte e il gusto della recitazione ma anche uno stile e un’etica di Teatro, e come concepire una regia. Prima di lui, ho imparato tantissimo da un altro grande maestro, Francesco Macedonio, un poeta nell’insegnare l’arte della recitazione, capace di fare recitare bene anche i sassi! E prima di lui, avevo imparato tanto da una donna geniale scomparsa prematuramente e che pochi conoscono: Matilde Marullo.
Il libro sul comodino: In questo momento I Buddenbrok di Thomas Mann, già alla seconda lettura. Bellissimo. Altri tre sono tornati, nel tempo: Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez, Memorie di Adriano della Yourcenar e Alla ricerca del tempo perduto di Proust, lettura integrale di tutti e sette i volumi.
La canzone che ti rappresenta: Non saprei dire. Mi viene in mente Besame mucho… non credo che mi rappresenti, ma mi piace molto. Mi commuove.
Descrivi il tuo giorno perfetto. Risveglio con possibilità di mezz’ora di lettura a letto, colazione all’europea con pietanze salate, nuotata in piscina a metà mattinata, prove in teatro al pomeriggio, in serata cena con amici oppure cinema.
Il primo bacio: rivelazione o delusione? Entrambe. Attrazione ignota e irresistibile ma al tempo stesso una lieve sensazione di disgusto per tutta quella lingua, bocca e saliva… che fosse paura?!
Strategia di conquista: qual è la tua? Non ho strategie. Mi affido all’istinto e mi adeguo alle circostanze. Generalmente mi guida la morbidezza.
Categorie umane che non ti piacciono? Le persone stupide e le persone volgari. La volgarità d’animo mi annichilisce.
Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Nell’ordine direi: cervello, bellezza, humour, ricchezza.
Il sesso nobilita l’amore o viceversa? Dipende dalle situazioni… In linea di massima credo che né il sesso né l’amore abbiano necessità di essere nobilitati se sono vissuti con libertà e consapevolezza.
Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Le affinità elettive.
Costretto a scegliere: cinema o teatro? Come attore, certamente il teatro. Come spettatore, preferisco il cinema.
C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? Sì. Di non avere avuto il tempo e la lucidità di dire a mia madre e a mio padre quanto li amavo. Li ho perduti entrambi troppo presto, e avrei voluto poterglielo dire. Certamente lo sapevano, ma non è la stessa cosa, e questo pensiero non mi consola di quella carenza.
Shakespeare, Eduardo o Beckett? Shakespeare, ma con Eduardo alle calcagna! In ogni caso, il mio preferito resta Cechov.
Qual è il tuo ricordo più caro? Le carezze di mia madre.
E il ricordo più terribile? La visione di mio padre morto. La sua assenza assoluta nonostante la presenza del corpo, quel suo colore senza vita. Era lui ma non c’era più!
L’ultima volta che sei andato a teatro cos’hai visto? Natale in casa Cupiello con la regia di Antonio Latella.
Racconta il tuo ultimo spettacolo: L’ultimo in cui ho recitato è “Prima della pensione” di Thomas Bernhard. Un viaggio incredibile…
Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Perché è uno spettacolo forte e impegnativo ma intrigante, basato su un testo intelligente, amaro ma anche molto ironico. Perché richiede una sintonia assoluta tra attore e spettatore, e perché per noi è una vera sfida, una prova di presenza e di resistenza. Il testo è bellissimo. Bernhard è un autentico genio.
Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? Forse anche più di quanto si dica, ma è anche vero che “non mente”: se non lo sai fare non c’è scampo e i bluff si vedono, si smascherano da soli! E questa è una cosa meravigliosa.
La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. La capacità e il piacere di risvegliarmi con il sorriso.
Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). E non la dico mica…!
Piatto preferito. Uno solo? Mi piace la carne al sangue in tutte le sue varianti: battuta al coltello, tartare, roastbeef, tagliata al sangue. Ma anche il bollito. E poi gli spaghetti. Al pomodoro e al pesto, soprattutto.
C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? Più che in altri settori professionali forse, ma non ancora del tutto. Le donne sono in parte discriminate, anche se in linea di massima penso che le attrici siano più brave degli attori. O comunque più sorprendenti, più ‘pazze’.
Mai capitato di dover rifiutare un contratto? Se sì, perché. Mi è accaduto di dover dire qualche ‘no’ per precedenti impegni, ma pochi con vero dispiacere.
Di lasciarti sfuggire un’occasione di lavoro e di pentirtene subito dopo? Non proprio. Però qualche volta ho dovuto rinunciare a cose che avrei fatto molto volentieri.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare nel cinema? Un ruolo in un film di Ingmar Bergman. E molti dei ruoli interpretati da Dirk Bogarde. E’ un attore che adoro.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare in teatro? Sigismondo ne La vita è sogno di Calderon de la Barca, Zio Vanja in Cechov, e Lopachin ne Il giardino dei ciliegi. E molto anche George in Chi ha paura di Virginia Woolf di Albee. Il primo ormai è andato. Per gli altri tre sono ancora in tempo…
Da chi vorresti essere diretto? Mi sarebbe piaciuto molto essere diretto da Luca Ronconi, Massimo Castri e Thierry Salmon, ma purtroppo non c’è più nessuno dei tre. Ovviamente ci sono anche registi viventi con cui mi piacerebbe lavorare.
Tre doti e tre difetti che bisogna avere e non avere per poter fare questo mestiere. Le doti che bisogna avere: talento, resistenza fisica ed emotiva, tanto sentimento. I difetti che bisognerebbe non avere: slealtà intellettuale, presunzione, preclusione di orizzonti.
Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Sarebbe una gravissima perdita per il cuore e per il cervello della gente, anche senza averne la consapevolezza.
Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Rinascere…
La frase più romantica che ti sia capitato di dire in scena. “Ditele che il suo amore è stato l’unica luce di tutta la mia vita”. Valmont ne Le relazioni pericolose.
La frase più triste che ti sia toccato di dire in scena. “Appena sono venuta al mondo mio padre mi aveva già maledetta!”. E’ l’incipit di “Ella”.
Cosa vorresti che il pubblico ricordasse di te? La passione e la sincerità della mia recitazione. Quando sono in forma, ovviamente…
Hai mai litigato con un regista per una questione di interpretazione del personaggio? No mai. Magari qualche volta ho discusso, ma senza vero contrasto. Sono un attore che segue con piacere le indicazioni, se sento che sono giuste. Altrimenti tendo a mantenere la mia ispirazione, in accordo con la linea dello spettacolo ovviamente, mi fido del mio sentire in scena.
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote quale sceglieresti? La capacità di non perdere mai la pazienza. Fa tanto bene, a sé e agli altri.
Che cosa è troppo serio per scherzarci su? Nulla. Quanto più una cosa consente di scherzarci su, tanto più acquista valore.
Se potessi conoscere il tuo futuro cosa vorresti sapere? Quali saranno gli ultimi occhi in cui mi specchierò.
Come costruisci i personaggi che interpreti? Domanda da mille punti. Scoprendoli un po’ per volta, imparando ad amarli anche se sono personaggi ‘negativi’ o poco edificanti. Per la verità, ho un debole per i personaggi contorti, gli anti-eroi. Col tempo vado a caccia delle loro sfumature, dei risvolti possibili che non sempre appaiono a prima vista. Al tempo stesso, mi fido dell’impressione della prima lettura, che mi fa sentire la loro temperatura, la loro ‘pasta’. Mi capita di ‘afferrare’ un lembo della loro anima, che mi colpisce o mi affascina, e da quello – poco per volta – srotolo quella infinita matassa che i ‘grandi’ personaggi offrono ad un attore. Una cosa che li accomuna tutti è l’amore con cui li accolgo, cerco di capire le loro ragioni, mi esercito ad amarli anche se non sono ‘simpatici’ e al tempo stesso cerco in me un campanello che suoni le loro note. I più difficili, talvolta, sono proprio quelli più vicini a noi, perché non consentono la ‘maschera’ che quelli più distanti invece impongono.
Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? In linea di massima un deterioramento. Oggi prolifica una falsità di giudizio e di apprezzamento imbarazzante, per mancanza sia di competenza che di onestà. Per fortuna, la giustizia severa che il palcoscenico impone, stempera il dramma, ma un velo di sconforto rimane. Così l’alta qualità di alcune evoluzioni si perde e si confonde nella mischia.
Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? La interrogo e la ricerco. La mastico e la suono, come mi ha insegnato Leo. Amo le parole e alcune più di altre. Mi piace dirle e mi piace sprofondare in quelle scritte da altri, se sono scritte bene. Thomas Bernhard, ad esempio: un autentico trionfo della parola. Mi perdo nel labirinto infinito di questo dire perfetto e impietoso, cerco i colori, i toni, le sfumature, i rimandi, i suoni, è come pattinare sul ghiaccio: puoi volare ma al tempo stesso rischi sempre di cadere. Anche Achternbusch è come Bernhard: uno slalom, una bomba.
Cosa pensi delle nuove generazioni di attori che, a volte, passano direttamente dai talent al palcoscenico? Dipende dai casi individuali. Ci sono quelli bravi e le mezze calzette, come sempre. Una buona ‘scuola’ aiuta ed è necessaria. Naturalmente è vero che il talento è una strana bestia, può affiorare e resistere anche senza ‘formazione’, ma va comunque guidato, pilotato, accompagnato, inquadrato, altrimenti rischia di consumarsi e di ripiegarsi su se stesso, diventare ‘manierismo’, perdere brillantezza e stupore.
La morte: paura o liberazione? Tutt’e due. Non sarei sincero se dicessi che non ho paura. Ne ho, ovviamente, perché mi piace vivere. Al tempo stesso, sento che la morte può anche essere una liberazione, e mi dispiace non avere la certezza che – dall’altra parte – si possa continuare ad osservare e a far parte in qualche modo di questa esistenza. Ma poi chissà…? Magari comincia un altro percorso del tutto differente e distante da questo…
Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? Prima proposta: proibizione degli ‘scambi’ nelle programmazioni delle stagioni teatrali. Le programmazioni andrebbero fatte secondo una linea o un progetto. Seconda proposta: obbligo di rubriche e programmazioni teatrali nei palinsesti televisivi in prima serata una volta alla settimana, con un occhio di attenzione al teatro di innovazione. Non è vero che il pubblico non lo vuole, più semplicemente non sa, non conosce, e sarebbe compito di una televisione di stato aiutare la sua diffusione e promuovere la cultura in tutte le sue manifestazioni. Terza proposta: obbligo di inserire il teatro come disciplina scolastica, distinguendolo dalla letteratura, non considerandolo una sotto-branca della stessa e affidandone l’insegnamento a chi lo partica professionalmente. Il teatro è incontro tra gli uomini, scambio di emozioni e di pensieri, e come tale dovrebbe essere ritenuto indispensabile nella formazione.
Cosa è necessario per un attore: memoria storica o physique du rôle? Memoria storica e memoria del sentimento. Il Physique du role penso sia relativo e solo in alcuni casi veramente importante.
Hai un sogno nel cassetto che oggi può aprire. Cosa viene fuori? Dal punto di vista professionale, viene fuori un grande spettacolo, magari tratto da un grande romanzo, meglio se scritto tra fine ‘800 e primi ‘900, epoca d’oro della grande narrativa, dove sono in scena con colleghi che amo e che stimo, diretti da un grande regista, senza invidie e gelosie perché ognuno ha un grande ruolo, con una lunga e comoda tournée nei teatri più belli d’Italia, e con puntata anche all’estero: Parigi, Vienna, Berlino, Mosca, San Pietroburgo, Praga… un vero sogno! Impossibile da realizzarsi ahimè!
I soldi fanno la felicità? No. Aiutano a stare meglio e sicuramente danno serenità. Ma non la felicità.
Qual è il tuo rapporto con i social network? Scarso e velato di diffidenza. In parte certamente per colpa mia, che non mi adeguo volentieri a questo nuovo ‘bombardamento’, ma sento anche che va bene così. In fondo, il teatro e le cose che amo non hanno grande necessità di loro.
Il tuo rapporto con la critica. Quale quella che più ti ha ferito in questi anni. Penso che il rapporto tra artisti e critici potrebbe essere proficuo e costruttivo, ma purtroppo non sempre è così. Spesso i critici si ergono solo a giudici che esprimono un ‘sì’ oppure un ‘no’ oppure sono costretti ad assegnare voti, faccine e stellette, e allora il rapporto perde di senso. Quello che però trovo più problematico è l’incapacità di distinguere il valore che i progetti richiedono: mettere in scena ad esempio l’Amleto di Shakespeare richiede ben altro impegno che realizzare una ‘performance’ e non sempre questa differenza viene valutata nella sua giusta valenza. E poi ormai sui social scrive chiunque, indipendentemente da uno straccio di competenza! Per fortuna resistono ancora alcuni critici liberi e intelligenti, e confrontarsi con loro è sempre un piacere e una crescita.
Poco prima dell’inizio e poi della fine di un tuo spettacolo, a cosa, o a chi, pensi? In camerino ho sempre con me una fotografia dei miei genitori da giovani, con un sorriso felice sui volti. Ho tre piccole rane che sono i miei amuleti, assieme ad altri oggetti, ninnoli e portafortuna. E poi immagini che amo per ragioni diverse, il tutto steso su un panno antico che era della mia nonna materna. Prima di ogni replica, svolgo un piccolo rito segreto, breve ma sempre uguale. Quando non lo faccio, vado in scena un po’ più inquieto. È una sorta di percorso scaramantico. Ultimamente mi è capitato spesso di pensare a persone che ho amato e che non ci sono più. Quando interpretavo Creonte nell’Antigone di Sofocle, ho attraversato un’esperienza bellissima non soltanto per la monumentalità di questo splendido personaggio, ma anche perché – per il taglio che gli avevo dato, già così proteso verso la morte – ogni sera pensavo intensamente ad alcune persone amate scomparse, e in qualche modo dedicavo a loro lo spettacolo e mi lasciavo invadere dalla loro memoria, vedevo i loro sguardi, pensavo ai loro occhi, a quello che sapevo delle loro vite, sentivo la loro mancanza. Era un percorso parallelo a quello con cui mi disponevo ad interpretare il personaggio, che lo accompagnava e mi aiutava a sentirmi nello stato giusto per farlo. E’ stato molto bello, per me. E mi sentivo spesso nella forma giusta. Tanto che, quando invece ero scontento di come avevo recitato, mi sembrava di essere anche un po’ in ‘debito’ con quelle persone scomparse, ma al tempo stesso ero certo di poter recuperare, perché quello era un modo di onorarli e di tenerli accanto a me. Misteri e follie dei teatranti…
Il teatro riesce ancora a catalizzare la passione civile del pubblico in modo attivo? Molto poco, purtroppo. E il processo è inesorabile. Pensiamo al teatro greco… era politica, religione, filosofia e sentimento, il fondamento dell’unione civile. Ed è per questo che – se fatto bene – resta meraviglioso ancora adesso. Oggi quella dimensione è impossibile. Ma penso che il teatro sia ancora uno strumento per nutrire il cervello e il cuore della gente. Per questo è importante farlo con sincerità, passione, onestà. E per questo le tante operazioni disoneste, cialtrone, furbastre e partigiane dovrebbero essere contrastate e ostacolate.
Nella tua valigia dell’attore cosa non manca mai (metaforicamente o materialmente)? Materialmente l’ho detto sopra…il mio piccolo armamentario rituale. Metaforicamente cuore e cervello. Se manca la dotazione “materiale” posso sempre cavarmela, ma se manca l’altra è flop assicurato!
Con i tagli economici alla cultura, il teatro diventerà un’arte di nicchia oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Il vero teatro diventerà sempre più arte di nicchia (ma del resto quando mai la vera arte non lo è stata, almeno un po’?). E continuerà e crescerà il teatro di basso livello, che è peggio di quello amatoriale, perché questo almeno si manifesta grazie alla passione di alcuni individui che, forse anche inconsciamente, ‘sentono’ il valore dello strumento…
C’è un autore teatrale che credi sia poco considerato e che andrebbe rivalutato e rappresentato? Ce ne sono diversi, in particolare forse Ibsen è ingiustamente considerato noioso e pesante, mentre invece è straordinario. Tutto dipende da come lo si mette in scena, e questo discorso vale per lui come per tutti gli altri. Ma soprattutto vorrei dire che ci sono alcuni autori inflazionati perché garanti di incassi assicurati che andrebbero per lo meno ‘tassate’ le compagnie che li praticano. Escludendo Shakespeare, che è talmente immenso da meritare di esserci comunque in ogni stagione teatrale, penso che sarebbe ora di lasciare riposare per un poco le opere di Pirandello e di Goldoni, che – per quanto geniali – danno adito a messe in scena trite e ritrite solo perché fungono da garanzia per i direttori dei teatri, per le compagnie che li scelgono e per gli spettatori privi di curiosità intellettuale, il che – a mio parere – umilia proprio la loro grandezza.
Meglio essere sereni, contenti o felici? Contenti no, è riduttivo. Fino ad una certa età, meglio essere felici. Più tardi è fondamentale cercare di essere sereni.
Progetti futuri? Tra i tanti in corso, mi piacerebbe fare un altro Bernhard. Un’elaborazione dal suo splendido romanzo ‘A colpi d’ascia’, al quale sto già pensando da tempo.
Un consiglio a un giovane che voglia fare l’attore. Studiare con serietà la tecnica, ma senza permettere che abbia il sopravvento sulla verità del sentimento: cosa non facile perché il percorso comporta stati di confusione e di rinuncia da una parte e dall’altra, prima di arrivare a capire e sentire la ‘misura’. E poi consiglio di nutrire la passione e di non rinunciare alla lealtà, interiore e intellettuale. Dati i tempi e le difficoltà, è d’obbligo un terzo consiglio: pensarci bene!
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Foto di Luigi Angelucci, Umberto Favretto, Luca Del Pia, Claudio Simeone, Aleksandra Pawloff.