Lidia Lombardi
“Versi di note” al Gemelli di Roma

Poesia come cura

Da Danilo Rea a Silvia Bre, da Peppe Servillo a Claudio Damiani… Si è conclusa la bella iniziativa che ha portato nella hall dell’ospedale capitolino poeti e musicisti jazz che hanno regalato a un pubblico inconsueto un po’ di leggerezza

La hall del Policlinico Agostino Gemelli di Roma è un’autostrada per pedoni. Camici bianchi e verdi, studenti e infermieri, malati vestaglia e pantofole diretti nell’ala giornali-bar, bambini, vecchi col bastone, parenti di infortunati, pazienti degli ambulatori. Tutti rapidi, tutti concentrati sul loro impegno o sul loro cruccio. All’improvviso il non-luogo diventa il contrario. Arriva una voce ben impostata che regala parole rette da logica metrica. Arriva il suono di un sassofono che fa My way e Smile. Un battimani, una pausa di riflessione. È stata anche questo la sesta edizione di “Versi di note”, il programma in tre appuntamenti che il mercoledì pomeriggio ha dato per un’ora le ali alla fantasia e al sentimento. Ecco il format: due poeti leggono i loro versi, intervallati dall’esecuzione dal vivo di eccellenti jazzisti. Conclude un attore, che a sua volta propone liriche secondo una personale scelta e predilezione.

L’idea della serie è di Luisa Mazza con la collaborazione di Nicola Bultrini, poeta e instancabile divulgatore di liriche. I quali in questo 2017 hanno portato nell’ospedale capitolino dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, inaugurato 51 anni fa con un’idea innovativa della degenza e cura, il pianoforte di Danilo Rea e di Silvia Manco, il sassofono di Stefano di Battista e Cristiana Polegri, i versi di Antonella Anedda, Marco Marangoni, Silvia Bre, Bultrini, Claudio Damiani, Enrico Fraccacreta, le voci di Maria Letizia Gorga, Peppe Servillo, Simona Marchini. Tutti all’insegna dell’impegno gratuito, dell’entusiasmo e della generosità, gratificati dai battimani del pubblico seduto nella hall e dagli applausi di quanti, ricoverati, hanno seguito il pomeriggio di versi e musica attraverso la tv a circuito chiuso. In un clima sospeso e rarefatto, in un ripiegamento verso l’essere, in una ricerca di significato che per sessanta minuti ha fermato il tempo del lavoro e dell’ansia, del dolore fisico e di quello psicologico. Con i fermo-immagine di quanti, di passaggio, sostavano qualche minuto prima di tornare all’impellenza della cura o dell’assistenza: la donna carica di bottigliette d’acqua minerale da recare al congiunto sofferente; il padre che spinge il passeggino del suo piccolo; il disabile in carrozzella che stringe forte la mano e chiede il selfie a Peppe Servillo, suo idolo dai tempi degli Avion Travel. Il tempo e la natura, i cieli celesti (dal titolo dell’ultima raccolta di Damiani) e le speranze, le delusioni e gli abbandoni, la voglia di vincere e la condanna a perdere, l’immanente e il trascendente nei versi ascoltati al Gemelli. E anche la malattia, l’accoramento verso chi si ama e non ce la fa. Come in questi due componimenti di Nicola Bultrini.

Vieni, ti accompagno, tra poco servono la cena, gli odori

caldi stringono la gola

quel trascinarsi di pantofole in corsia.

 

Dì la verità, non è stata tanto dura.

E io che lo toccavo come uno sguardo, colava dalla nuca un dolore verticale.

 

Braccia e bocche spalancate

come inghiottite, i sogni curvi

il cuore in fuga.

 

Siamo sempre un po’ più fragili rispetto alle occasioni e non c’è medico che possa fare.

 

Nella luce magnetica dei farmaci

solo le preghiere hanno un corpo.

 

***

 

Facciamo un brindisi

prima del congedo,

il caposala trattiene i camerieri.

 

Uno indica la vita

i più continuano a parlare

altri alzano auguri

alla salute buona

va bene anche l’amore

la pace, l’abbondanza.

 

Proviamo una volta almeno

ancora a celebrare.

 

Uno, spiazzante, dice:

la semplicità, quale che sia,

salviamoci dalla tenebra che avanza.

 

Cos’altro, dunque,

non manchiamo l’occasione,

fammi pensare.

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