L'avventura di una papera alla deriva
Papere e cavallette
L'earth overshoot day, il giorno in cui finiscono le riserve naturali della terra, si avvicina sempre di più a inizio anno: che cosa si può fare per evitare di consumare la natura in modo irreparabile?
A partire dal 1970 il calendario registra un giorno nefasto, invisibile alla maggioranza degli uomini ma perfido e devastante, perché nascosto nelle pieghe della terra. È il giorno nel quale si svegliano tutte le cavallette del mondo e cominciano a mangiare quello che vedono: piante, animali, uomini, pietre,aria, acqua, terra, ecc. ecc. Nel 2015 fu il 13 agosto, nel 2014 il 19 agosto, mentre nel 1970 – quando il numero delle cavallette fameliche era di tre miliardi e mezzo – si svegliarono il giorno giusto, ossia il 31 dicembre, forse con i botti di capodanno. Quest’anno il nefasto giorno cadrà di martedì, 8 agosto, e sette miliardi e trecento sessanta milioni di cavallette si sveglieranno dal letargo e cominceranno a divorare la terra fino al 31 dicembre, senza sapere se l’erba che hanno mangiato ricrescerà nell’anno successivo, ossia nel 2018.
Ora se alla parola cavallette sostituiamo “uomini della terra” e a nefasto giorno sostituiamo l’espressione earth overshoot day, la profezia biblica ci sembrerà più chiara. L’Earth Overshoot Day, che tradotto dall’inglese vuol dire «il giorno del superamento», è la data dell’anno nella quale il consumo delle risorse della natura da parte della popolazione mondiale inizia a superare le risorse totali che la Terra mette a disposizione per l’anno in corso. Quindi nel 2017 a partire dall ’8 agosto fino al 31 dicembre l’umanità consumerà più di quanto essa possa reintegrare nell’ anno successivo. Per sette mesi saremo consumatori virtuosi, per i restanti cinque vivremo a credito, rinviando ad un anno da definire il saldo del debito con la natura.
Dalle date riportate a partire dal 1970 è evidente come lo spazio di tempo nel quale la natura si può rigenerare, si accorcia sempre di più. Ed è ancora più evidente che se ad ogni anno che passa abbreviamo di una settimana il tempo del rinnovo, nel giro di un decennio arriveremo facilmente a marzo, perciò il 21 di quel mese, giorno di entrata della primavera non festeggeremo la rinascita della terra ma l’inizio del suo funerale.
Quali le conseguenze dell’accorciamento dei tempi di recupero? La riduzione delle foreste, la perdita della biodiversità, l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera e nei mari, i cambiamenti climatici dovuti al gas serra che non riesce ad essere assorbito dagli alberi. L’effetto serra porterà lo scioglimento dei ghiacci in Antartide, dove risiedono l’80 per cento delle riserve d’acqua dolce del pianeta. La rottura della calotta di ghiaccio libererà infinite quantità di iceberg che vagheranno per gli oceani, aumentando il livello dei mari, devastando le linee di costa, uccidendo i pesci, rompendo i cicli naturali della natura. A questo punto viene da pensare che l’affondamento del Titanic, nella notte fra il 14 ed il 15 aprile del 1912, non fu una tragedia, ma una triste profezia sul destino del pianeta nel XXI secolo.
Insomma gli uomini stanno segando l’albero sul quale sono seduti. Ma se si pensa che questa apocalisse possa cambiare i comportamenti umani, non si conosce a fondo la vera natura dell’uomo (occidentale). Il quale cerca di approfittare delle opportunità insperate derivati dai cataclismi in atto per aumentare i guadagni. Infatti, lo scioglimento dei ghiacci al polo nord ha reso navigabile lo stretto di Bering tutto l’anno, mentre prima lo era solo per pochi mesi. La conseguenza vantaggiosa è che ora le petroliere che dalla Russia vanno in Canada e viceversa possono percorrere la rotta artica, senza scendere a Panama, attendere il turno per il passaggio per il canale e risalire il Pacifico. Il disgelo abbatte i tempi della navigazione, facendo diminuire i prezzi del petrolio.
Parlando di natura umana, viene in mente la più grande istituzione creata dagli uomini: ossia la famiglia. La quale – come dice l’enciclopedia Treccani – è l’istituzione fondamentale in ogni società umana, attraverso la quale la società stessa si riproduce e perpetua, sia sul piano biologico, sia su quello culturale. È evidente che il comportamento dell’economia mondiale intralcia la vita e le finalità della famiglia. Infatti, come è possibile «riprodurre e perpetuare la società ed i suoi valori» se stiamo rovinando il futuro alla prossima generazione? A che serva una famiglia che mette al mondo dei figli e poi “li uccide” quando sono giunti alla maggiore età?
Questa sistematica distruzione del futuro porta due conseguenze, la prima di carattere giuridico la seconda di carattere strutturale.
Fino ad oggi, sono stati gli adulti a farsi carico dei diritti dei più deboli, ma forse questa responsabilità non può più essere delegata a loro, vista la scarsa vigilanza sul tema. Può essere una indicazione utile, abbassare a 16 anni il diritto di voto? Beppe Grillo sostiene già da tempo la necessità di abbassare l’età per votare da 18 a 16 anni. Del resto il voto a sedici anni esiste già in molti Stati: Austria, Argentina, Brasile, Ecuador, isola di Man, di Jersey e di Guersney, Cuba, in Svizzera nel cantone di Glarona e in Germania in molti Lander e in Scozia per il referendum sull’indipendenza.
Il secondo comporta un mutamento culturale più profondo. Da millenni la Terra si è sempre presa cura dei suoi figli, non li ha mai traditi, ha fornito loro cibo, protezione, identità. Perciò gli uomini la hanno onorata e venerata come figli devoti di fronte ad una madre generosa. Oggi la situazione si è capovolta. La terra è diventata cavia di laboratorio, i figli sono cresciuti, sono diventati scienziati e fanno di tutto per tenerla in vita, “sperimentando” su di essa cure mai usate prima. Senza sapere il più delle volte se le cure siano efficaci.
Cosa significa, infatti, mettere un chip al collo di un leone, di una tartaruga marina o degli uccelli migratori se non conoscere le abitudini di questi animali, cercando così di proteggerli? Volare con un deltaplano insieme alle cicogne nella loro annuale migrazione è un modo di proteggerle? Che cosa significa monitorare le acque, i venti, i mari se non cercare di capire il loro stato di salute prima del collasso finale? E la diffusione della plastica nelle acque si può risolvere cambiando nei supermercati le buste di plastica con quelle di carta?
Lo studio sperimentale delle correnti marine riporta un episodio tragicomico che vale la pena ricordare. Nel gennaio del 1992 la nave cargo Ever Laurel che trasportava piccole papere gialle di plastica fabbricate ad Hong Kong, e destinate alla “The First Years Inc.” di Tacoma, Washington. Ma perse il carico in pieno Oceano Pacifico a causa di una tempesta. Alcuni containers finirono in mare e liberarono 30 mila animaletti di gomma che iniziarono a vagare per il globo seguendo le correnti marine. Venuto a conoscenza di questo naufragio, l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer, da Seattle, ha costantemente monitorati gli animaletti scoprendo che alcuni di essi avevano percorso più di 30 mila chilometri, arrivando fino in Inghilterra, in Alaska e in Australia. Ancora oggi, dopo 25 anni esse vengono ritrovate nei luoghi più sperduti della terra. I fortunati raccoglitori di papere ricevono il premio di 100 dollari ad ogni segnalazione. Se qualcuno di noi le trova, non deve essere contento, perché quel giocattolo sta raccontando la storia della terra, che nel momento in cui fa naufragio libera piccole scialuppe che andranno alla deriva dove capita. Comunque molte di questi giocattoli gialli sono prigionieri della grande isola di plastica che si trova nell’oceano pacifico, grande quanto lo stato del Texas, la Garbage island. Una discarica galleggiante che gli astronauti avvistano dall’alto. L’ottava inquietante meraviglia del mondo costruita dalla mano dell’uomo.