Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Gian Ruggero Manzoni

La presenza dell’oro

Poche le voci poetiche autentiche, ma riconoscibili. A un duro giudizio sul panorama nazionale fa da contraltare la fiducia del poeta romagnolo nell’inesauribile creatività delle arti, nelle sue diverse forme di espressione tra loro collegate. Un esercizio che lui pratica da mestro…

Gian Ruggero Manzoni opera da sempre come un “irregolare”, un “cane sciolto”, in quel di Lugo di Romagna. Convinto assertore dell’interdisciplinarietà, dello stretto dialogo tra forme diverse di espressione, soprattutto tra arte e scrittura creativa, Manzoni ha dato vita a importanti riviste come “Origini” e “Ali”. La sua vena poliedrica e variegata ha avuto modo di svilupparsi attraverso gli approcci creativi più differenziati: dal romanzo al saggio, dalla critica alla poesia, dalla pittura alla drammaturgia. In tal senso è quanto mai emblematica l’esperienza del libro intitolato Tutto il calore del mondo (80 pagine, s.i.p.), edito da Skira nel 2013, illustrato da Mimmo Paladino. Si tratta di testi, declinati in prosa o in versi, che risentono di alcune suggestioni campali come il film L’infanzia di Ivan del regista russo Andrej Tarkovskij nella prima sezione mentre nella seconda (il libro è composto come un dittico) sono presenti le fantasiose riflessioni di Lucinio Curione, che doveva raggiungere Roma dopo la battaglia di Alesia, vinta dai Romani sui Galli di Vercingetorige e di cui non si seppe più nulla. Manzoni ha pubblicato varie raccolte poetiche, fra le quali ricordiamo Il dolore (1991) e Gli addii (2003).

Il suo ultimo libro alterna poesie e prose. Può parlarci di questa scelta?
Tutto il calore del mondo
In vita mia ho praticato molto la prosa poetica, da quando, nei primi anni 70 del secolo scorso, io giovanissimo, incontrai Baudelaire, Rimbaud, Char, Jabès, Giampiero Neri, Attilio Bertolucci. Del resto il narrare mi è congenito, infatti scrivo anche romanzi. Il fascino che in sé racchiude la prosa poetica risiede nel balzare dalla concezione tradizionale della poesia, dal verso spezzato ai livelli del poema, e si sa bene come il poema racchiuda in sé quella dimensione oserei dire profetica, più attenta anche ai particolari, evocativa, epica, sapienziale che spesso non si riesce a raggiungere in altri modi. Non a caso alla base di quasi tutte le tradizioni culturali etno-mistiche-storiche del pianeta vi è un poema, si pensi alla Bibbia. Anche Così parlò Zarathustra di Nietzsche, è un poema in prosa, e ciò la dice lunga.

Lei ha sempre collaborato con artisti importanti.
Sono un uomo che si è formato e ha vissuto la maggior parte della vita nel ‘900 e, come tale, risento molto di quello che ci hanno insegnato le Avanguardie Storiche, cioè l’interazione tra le varie arti. L’interdisciplinarietà mi è congenita. Io stesso dipingo e scolpisco, oltre a scrivere. Mi manca il saper musicare, così da poter essere una sorta di novello Savinio. Tutto, in arte, infine interagisce ed è stupendo come certi progetti nascano a quattro a sei a otto mani, coinvolgendo tutte le componenti espressive che l’uomo ha a disposizione. Ho anche lavorato con dei musicisti. Magnifica l’interazione tra poesia e musica. E con dei musicisti sono andato spesso in scena al fine di recitare, a volte anche cantare, i miei versi. Non mi sono mai precluso alcunché. Ho sempre fatto tutto ciò che mi procurava emozione quindi piacere. Poi gli artisti visivi e plastici amano i poeti, e chi nel vero poeta li ricambia con eguale amore. Non a caso gli scritti più belli sull’arte e sugli artisti sono stati quelli messi su carta dai poeti. Oggi, forse a seguito dell’avvento delle tecnologie e dell’Arte Concettuale, il procedere assieme, coralmente, tra varie discipline creative, è giunto quasi a livello zero, soprattutto fra le nuove generazioni, e questo mi dispiace molto sia per l’arte in genere sia per le varie categorie di creativi.

In passato ha dato vita a importanti riviste culturali come “Origini” e “Ali”. Pensa che la crisi economica e l’avvento del web abbiano contribuito a dare il colpo di grazia a quella che è stata, soprattutto nel Novecento, uno straordinario veicolo di nuove idee?
Anche la crisi economica, almeno in Italia, ha tagliato le gambe alle riviste cartacee, non scordiamolo, nonché l’analfabetismo di ritorno che stiamo vivendo e la volgarità e l’ignoranza dilaganti, soprattutto in chi avrebbe i soldi per poter sostenere imprese del genere a livello editoriale. Anche il web ha influito, seppure, chi pratica la scrittura, prediliga ancora l’oggetto libro. Anch’io vivo il web, lo uso, in parte forse mi usa, ma il brivido che ti consegna la carta non te lo dona un monitor. Poi mettiamoci, anche, la mancanza di lettori, di gente che sottoscrive abbonamenti, di linee condivise di poetica, di teorici, e il gioco è fatto, le riviste cartacee risultano sempre più un ricettacolo di amici che tra loro si autoincensano. Inoltre, le più, sono di un noioso unico. Dei veri e propri mattoni che, a fatica, quando mi giungono, riesco a leggere. Anche la perdita di pathos, di mitologema, di gusto per il bel gesto, come un tempo si diceva, nonché di pionierismo hanno tagliato le gambe alle riviste cartacee di profilo alto. Più facile gestire economicamente e culturalmente una rivista in web che una su carta. Poi chi ha più tempo e soldi per partecipare a riunioni di redazione gratuitamente? Chi si prende la briga e chi ha il denaro per venire da Napoli o da Palermo a Lugo di Romagna, dove abito, al fine di mettere a punto un numero di una rivista cartacea come un tempo succedeva? Un mondo sta finendo. Resistono quelli che hanno denaro oppure che hanno padrini forti alle spalle. Non è un caso che il mondo cattolico stia sfornando il maggior numero di riviste cartacee ora in circolazione.

Qual è, secondo lei, la situazione poetica in Italia?
Alcuni poeti di indubbio spessore, a volte messi nell’angolo. Molti i sopravvalutati. Molti i faccendieri delle lettere, circondati dalle loro corti. Quindi un mare magnum di figli della scuola dell’obbligo, come li definisco, cioè di gente che quel tanto ha letto, ha occhieggiato, che sa che la poesia implica degli a capo, ma, infine, che ha ben poche cose da dire, fino allo sfiorare, a volte, il ridicolo in quel che scrive e in come lo scrive. Spesso le letture poetiche paiono delle sorti di terapie psicanalitiche di gruppo o delle riunioni di alcolisti anonimi, in cui ci si plaude vicendevolmente perché da una settimana non ci si è sparati una grappa. La poesia, in Italia, è ormai nicchia della nicchia, seppure l’alleluia dei poeti patentati o, meglio, autopatentatisi. Comunque, qua e là, ancora cani sciolti, persone vere, veri artisti, ma che sempre più tirano a isolarsi, a disertare il cosiddetto sistema. Molte mafie e i soliti balivi di turno, come poi, qui da noi, è costume diffuso. Il merito non paga, paga il resto, e, nel resto, ci ricade di tutto. L’opera finisce al terzo, al quarto posto, prima vengono le pubbliche relazioni, i lecchinaggi, i corteggiamenti, il presenzialismo, il dire bravo e bene a questo o quello, il partito che voti, il politicamente corretto, il conformarsi. E mi fermo qui. Comunque qualcosa ancora vive. Le antenne ancora mi vibrano quando avverto la presenza dell’oro.

Quali sono gli autori, anche classici, che ammira di più?
Dai tragici e dai lirici greci fino a Seamus Heaney. Da Dante fino a Caproni. Da Shakespeare fino a Pound e a Emilio Villa. Infiniti. In sessant’anni di vita mi sono divorato tutto quello che era necessario divorare, ora cerco la luce in quei tanti libri di poesia che mi giungono in omaggio, speditimi da autori per lo più sconosciuti o dai piccoli editori, e, qua e là, affiora, quindi continuo a sperare. Infatti la qualità la trovo sempre più nella piccola e media editoria, se ancora non lo si fosse inteso, del resto sono quelle che prediligo, e i cui libri compro.

Cosa sta preparando attualmente?
La pubblicazione della mia traduzione dal greco antico della Genesi biblica. Dopo aver tradotto l’Esodo, pubblicato nel 2010 da Raffaelli di Rimini, sto per affidare alle stampe quest’altra fatica non da poco. Logico che ho dato la super visione del tutto a un caro amico ebreo. Da non scordarsi che io mi sono fatto le ossa anche studiando la cultura ebraica, la quale insegna non poco, anche a livello poetico.

Può commentare la poesia inedita presentata?
Non è che un brevissimo insieme di ciò che sono per me la poesia e il poeta. Infine è il sunto di quello che finora le ho detto.

***

gian-ruggero-manzoni

La rosa

Il bello della memoria è

che non ha tempo.

Noi vediamo la luce di stelle

ormai scomparse da millenni

come ci giunge il fulgore di maestri

il corpo dei quali è polvere

già da millenni

sparsa nei deserti del pianeta.

Gian Ruggero Manzoni

 

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