Periscopio (globale)
Il Kafka comico
Reiner Stach, nel suo singolare “Questo è Kafka?”, rovescia lo stereotipo del grande scrittore e ne racconta il linguaggio cristallino, la precisione della prosa, l’ironia e la comicità, la dovizia di metafore e paradossi
Ogni grande scrittore dovrebbe avere diritto a un grande biografo, ma è rarissimo che questo succeda davvero. In alcuni casi l’incontro avviene e dà frutti: il primo esempio che mi viene in mente è quello di Ian Gibson e della sua monumentale biografia di Federico García Lorca, frutto di una ricerca durata decenni e condotta anche in tempi molto difficili, ancora nelle more del franchismo. Incontri che hanno a volte dell’incredibile: dublinese, studente di spagnolo e francese al Trinity College, Gibson entra un bel giorno in libreria e s’imbatte per caso in un’edizione del Romancero gitano, ed ecco che da quei testi e da quel poeta non si staccherà più per tutta la vita.
Un altro esempio di scrittore baciato dalla fortuna è senz’altro Franz Kafka, le cui vicende biografiche appassionano da sempre gli studiosi, a cominciare da Max Brod, la cui biografia dell’amico fraterno è stata per moltissimo tempo un punto di riferimento, per continuare con esegeti più vicini a noi come Peter-André Alt e soprattutto Reiner Stach.
Di Kafka, Stach si occupa fin dagli anni Ottanta, con studi e contributi vari e una tesi di laurea sul mito erotico nello scrittore praghese. La prima parte della sua imponente biografia in tre volumi, Kafka – Die Jahre der Entscheidungen, esce per l’editore Fischer nel 2002, la seconda, Kafka – Die Jahre der Erkenntnis, nel 2008. Nel 2014 Stach aggiunge quello che cronologicamente avrebbe dovuto essere il primo volume, Kafka. Die frühen Jahre, dedicato alla giovinezza dello scrittore. Del 2012 è invece il volume di cui ci occuperemo qui, Ist das Kafka? 99 Fundstücke, tradotto ora con il titolo Questo è Kafka? da Silvia Dimarco e Roberto Cazzola per Adelphi (mentre manca purtroppo sempre un’edizione italiana della biografia).
In questo libro singolare, che raccoglie ben novantanove fra documenti, curiosità ed episodi legati alla vicenda biografica e letteraria di Kafka, Stach manifesta immediatamente, fin dal prologo, la sua preoccupazione principale: strappare Kafka agli stereotipi, alle atmosfere kafkiane, a quel sentimento complesso e inestricabile di cupezza, disperazione, sconcerto e infelicità a cui, agli occhi del lettore, la sua figura sembra sempre voler alludere. L’obiettivo è quello di mettere in risalto, per converso, tutto il resto: il linguaggio cristallino, la precisione della prosa, l’ironia e la comicità, la dovizia di metafore e paradossi.
Molte le curiosità del libro, che merita la lettura non foss’altro che per la sua apertura a ogni aspetto della vita di Kafka: si va dai principi naturalistici che Kafka seguiva in campo medico, opponendosi alle terapie tradizionali, alle sue “invenzioni”, come un progetto di guida turistica per viaggiatori non abbienti tipo Guide du routard o l’idea di una specie di prototipo della segreteria telefonica che altri, purtroppo, brevetteranno prima di lui; si passa poi dall’umiliazione patita in occasione del premio Fontane, di cui gli verrà riconosciuto solo l’appannaggio economico, mentre il vincitore vero sarà il collega Carl Sternheim, all’antipatia per la poetessa Else Lasker-Schüler, davvero insolita per un diplomatico come lui, che non parlava mai male di nessuno; e ancora, si va dagli errori geografici nel romanzo Amerika – dove Kafka unisce New York e Boston con un ponte sull’Hudson, e non pago di questo sforzo di fantasia, decide pure di situare San Francisco sulla costa orientale – al tentativo (riuscito) di frode durante l’esame di maturità; infine, dagli insopprimibili attacchi di riso al cospetto delle autorità in situazioni ufficiali, alla famosa storia della bambina che aveva perso la bambola e che Kafka consola per lunghi giorni, scrivendo diverse finte lettere della bambola e sviluppando il plot in modo tale da portarlo alla conclusione più logica e accettabile: la bambina non riavrà la bambola perché quest’ultima, durante il viaggio intrapreso, ha incontrato l’amore della sua vita e ha deciso di sposarsi e andare a vivere con l’amato bene.
Si parla poi anche dell’amore per l’aviazione, che lo porterà un bel giorno a Montichiari a osannare durante un’esibizione il suo eroe Louis Blériot, o dei vari sosia e omonimi che ne hanno attraversato l’esistenza in modo talora misterioso. Si racconta di un Kafka consulente, ginnasta e vogatore, inquisito dai pubblici poteri, giocatore d’azzardo, consolatore degli afflitti, di uno scrittore dall’ironia sempre affilata, perfino quando non c’è che da compilare un modulo e in fondo, alla voce “firma”, scrive che quella è l’unica domanda che lo metta davvero in difficoltà. Ma c’è anche molto di più, naturalmente, e questo non è che un florilegio. Particolarmente toccante dal mio punto di vista – e rimando qui, per chi fosse interessato ad approfondire, al mio Kafka e il digiunatore, edito da Nutrimenti nel 2014 – la parte finale del libro, dedicata alla malattia e alla morte dello scrittore, dove non emergono novità particolari, ma Stach si limita con pudore (perché è anche nel saper usare discrezione che il biografo di razza si contraddistingue) a lasciare la parola a Kafka riproducendo l’ultima lettera incompiuta, scritta ai genitori per scongiurarne la visita. Le condizioni di Kafka erano ormai tali, infatti, da non consentirgli più alcun tipo di conversazione.
In un libro dedicato al suicidio di un amico, Amarillo, lo scrittore spagnolo Félix Romeo (anch’egli purtroppo del tutto ignoto da noi), affronta il problema della ricerca biografica e dell’acribia che sempre comporta. Il biografo, dice Romeo, è una specie di cemento nella vita della gente che descrive, sta lì per colmare i vuoti, unire e dare un senso a ciò che al senso ultimo sembra voler sempre sfuggire. Parlando di se stesso e del suo tentativo di ridare vita letteraria a Chusé Izuel, l’amico morto suicida sedici anni prima, Romeo giunge tuttavia alla conclusione di non esserne capace, troppe essendo le iniziative che il vero biografo dovrebbe adottare per avvicinarsi anche solo tangenzialmente alla verità. E c’è di peggio: malgrado l’enorme investimento fatto in termini di tempo ed energie, spesso il biografo deve poi accontentarsi di un margine di probabilità più o meno elevato, che al massimo gli consente di proporre una ricostruzione della realtà per tutta quella zona grigia e indefinita, spesso di enormi dimensioni, che sta fra i fatti accertati senz’ombra di dubbio e quelli possibili (testimonianze, pareri, commenti) o ipotizzabili.
In definitiva, se la biografia sconta sempre un quantum d’indeterminatezza, imbattersi in un lavoro ben documentato – il che spesso vuol dire documentato quasi al di là delle umane possibilità del ricercatore – è davvero raro, un evento da festeggiare. Stach, con Kafka, ci è riuscito, dedicando all’impresa gran parte della sua vita di scrittore e di uomo. Cerchiamo di dargliene atto e di rendergli onore traducendo il suo opus magnum anche in italiano.