La voce del poeta: Mauro Ferrari
Tra sguardo e mondo
“Se la poesia vuole continuare a esistere, deve accettare una diminuzione del proprio ruolo, ma anche farsi forte di scelte chiare”. Così afferma il poeta-editore, che rivisita in un nuovo libro due precedenti raccolte e annuncia, con l'inedito che qui pubblichiamo, la prossima. Dove tornano i temi della vista e della conoscenza…
Mauro Ferrari, poeta avveduto e colto, è direttore editoriale di Puntoacapo Editrice. La sua ultima pubblicazione, Il libro del male e del bene (184 pagine, 20 euro), uscito nel 2016 per i tipi della stessa casa editrice, assembra le poesie che fanno capo a due raccolte, opportunamente rivisitate dall’autore: Al fondo delle cose (1996) e Il bene della vista (2006). Si tratta di un lavoro molto omogeneo e compatto che accoglie in calce un florilegio critico, tra cui autorevoli interventi di Pontiggia, Aglieco, Fontanella, Bertozzi e Pusterla il quale osserva come Ferrari si affidi «all’unico bene che gli rimane: la vista, appunto, una lama affilata e a doppio taglio, che del mondo può rivelare la bellezza o l’orrore, la gloria o la vergogna». E non è un caso che il prossimo libro di Ferrari, di cui si offre un significativo assaggio, si ricolleghi, ribaltandole, alle tematiche del Bene della vista, «cogliendo un riverbero / tra sguardo e mondo».
Il libro del male e del bene fa riferimento a due libri di poesia scritti tra il 1990 e il 2006. Può darci un ragguaglio circa l’opera di risistemazione compiuta?
Io ho pubblicato solo tre vere raccolte, abbastanza distanziate nel tempo: Forme (1989), Al fondo delle cose (1996) e Il bene della vista (2006). Sono quindi dieci anni che vado raccogliendo gli inediti, che mi sembrano per certi versi una svolta, anche se non uno strappo. Mi sembrava importante operare una selezione del mio lavoro precedente, con qualche piccolo ritocco ad alcuni testi. Più importante, ho scelto di non includere la prima raccolta, da cui comunque avrei salvato una manciata di testi. Però, così composta, l’antologia ha una sua unità e una sua coesione. In più, raccoglie una buona selezione del materiale critico: saggi, recensioni, annotazioni. Credo che questo lavoro, che non ho pubblicizzato eccessivamente, abbia però svolto una funzione chiarificatrice nei confronti degli inediti.
Oltre che poeta lei è un valente anglista.
In realtà tutto è iniziato dalla mia passione per la poesia inglese, che ho studiato e tradotto anche se dando alle stampe poco. Ho però nel cassetto diverse cose: una monografia di Ted Hughes, la traduzione completa del poemetto Briggflatts di Basil Bunting, e persino una traduzione quasi completa dell’Essay on Criticism di Alexander Pope, un lavoro che non è mai stato tradotto in italiano se non forse a fine Settecento. In più, mi piace tradurre testi di vari poeti, anche come esercizio espressivo.
Insieme a sua moglie Cristina Daglio lei dirige e coordina la casa editrice Puntoacapo. Può illustrarci questa sua attività?
Puntoacapo è la seconda casa editrice che fondo; la prima esperienza, nonostante le potenzialità, è finita malamente, con un danno non solo personale a me, ma anche alla poesia italiana che ha perso un’occasione, anche perché era lì che stavo organizzando un salto di qualità… Con mia moglie abbiamo allora deciso di tagliare ogni legame e ripartire daccapo (il nome della casa editrice è assolutamente programmatico…) per provare a occupare con un progetto nuovo quel notevole spazio editoriale nel settore poesia (anche se non ci limitiamo a questa) che da almeno quindici anni si sta creando a causa (anzi: grazie) al disinteresse della grossa editoria. Oggi come oggi, più che parlare di piccola editoria come un tempo, userei il termine editoria di poesia: c’è un piccolissimo numero di sigle che stanno man mano prendendo le redini della poesia italiana anche se certa critica può ancora far finta di niente. Certo, occorre combattere metro su metro con idee valide, inventare progetti credibili e metodi di lavoro efficaci, cercare di far fronte al dato ineludibile di una notevole perdita di interesse verso la poesia con competenza ed entusiasmo. Ma il processo è iniziato e non si fermerà.
Come scrive abitualmente?
Io scrivo poco per volta, con una grande lentezza che vorrei meditata. Mi piace avere una certa lucidità sul progetto globale di ogni libro, anche se poi sappiamo che il testo poetico è il luogo della deriva. Scrivo quasi sempre al computer, che mi aiuta a visualizzare il verso, il quale è la sostanza stessa del fare poesia. E, visto che l’operazione mi richiede molta concentrazione, scrivo pochi minuti per volta.
Cosa pensa della situazione poetica attuale?
Detto della situazione editoriale, che poi è un aspetto molto importante, io credo che vi siano diverse voci di assoluta eccellenza, purtroppo ancora spesso disperse in cataloghi di difficile reperibilità. Un danno enorme, che fa sì che il già sparuto pubblico (per fortuna molto attento) fatichi a reperire i libri e a costruirsi un’idea autentica della poesia di oggi, tanto più considerando la vera e propria disinformazione che buona parte della cosiddetta critica sta attuando. L’impressione però è quella non soltanto di un allontanamento della poesia dal centro della cultura e dell’episteme ma anche, come conseguenza, di una crescente demotivazione di molti poeti; le vendite, anche per le majors e per gli autori più noti, sono crollate, le presentazioni sempre più un rito poco efficace… per non parlare degli spazi critici quasi inesistenti, se non nel marasma del web (a volte fertile, ma appunto troppo caotico).
Quanto alle poetiche, il postmoderno ci ha insegnato che non sono altro che vesti che nascondono il corpo vero della poesia, cioè la solidità e bellezza del testo; sempre il postmoderno ci ha anche illuso che tutto sia più o meno equivalente, il che però non è assolutamente vero. Se la poesia vuole continuare a esistere (e non è detto), deve accettare una diminuzione del proprio ruolo, ma anche farsi forte di scelte chiare, che non molti poeti sanno vedere e affrontare con lucidità e coerenza. Per fortuna, non mancano poeti giovani che si stanno muovendo in questa direzione.
Quali sono i suoi autori di riferimento?
Faccio tre nomi, anche molto diversi: Pusterla, Fiori e Piersanti. Tre poetiche anche diversissime ma chiare, programmatiche, intelligenti e originali. Sono tre nomi della grande editoria, certo, ma sono anche fra i non molti casi di scelte azzeccate che meritano quella collocazione. Per contro, credo che non pochi dei libri e autori di Puntoacapo (e non solo) siano degni di figurare tra le voci più influenti anche in prospettiva immediata e futura. Vorrei aggiungere che, sempre più, le mie letture di riferimento provengono dal campo scientifico, decisamente poetico e creativo nell’affrontare la complessità del mondo.
Cosa sta preparando attualmente?
È quasi pronta la nuova raccolta, che si intitolerà Vedere al buio: ancora i temi della vista, cioè la conoscenza del mondo, e del conflitto fra il (tanto) male e il (poco) bene. Che è nei nostri atti, nei gesti (e cito apposta Sesti/Gesti di Fabio Franzin, uno dei libri più importanti almeno degli ultimi venti anni).
Può commentare la poesia inedita presentata?
Premetto che faccio fatica a commentare un mio testo, non perché ami trincerarmi dietro al mistero della poesia o che altro ma perché un mio testo poetico è il punto più avanzato della mia riflessione su un dato spunto, e ogni ulteriore elaborazione potrebbe essere ridondante o persino un passo indietro. Vedere al buio è la poesia eponima della nuova raccolta e affronta di petto il tema cruciale della razionalità umana (quindi non so ancora se collocarla in apertura o chiusura…); il tema qui è posto sotto forma di un confuso risveglio notturno, quando la coscienza è ancora assopita e il sogno si sovrappone alla realtà. Cercare di vedere, camminare, muoversi è come trovare percorsi noti in una situazione molto diversa e insidiosa, senza avere appigli saldi e attendendo che pian piano gli occhi si abituino all’oscurità. Ci si può ritrovare stranieri in casa propria, insomma.
Ecco, potrei definire questo un perfetto correlativo oggettivo di quella cosa strana che è la vita, una possibilità globalmente molto piccola, quasi impossibile. Per formazione tendo a non accettare nulla senza vagliarlo alla luce della ragione, la quale ha un grande peso nella mia poesia: credo infatti che la poesia, buttando a mare tanti misticismi d’accatto, sia una delle supreme forme della razionalità umana: e questa è forse la mia caratteristica distintiva.
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Vedere al buio
Qualcuno il giorno, cogliendo un riverbero
tra sguardo e mondo; altri è la notte
che invade d’ombre e di ripensamenti;
ma la puntura aguzza della mente
o il suo mugghiare sordo
è il risvegliarsi aspro
chiedendo nome e luogo,
cercando di connettere
il senso usato delle cose a quella nebbia:
un mondo di spigoli ed inciampi,
di trappole dissimulate opposto
alla pacata diurnità del tocco amico,
lo sforzo di vedere o immaginare
la retta via cui tendere la mano
o più semplicemente una via di fuga
mentre gli occhi lentamente accolgono
la gloria e lo sgomento di vedere al buio.
Mauro Ferrari