Il romanzo di Susanna Tamaro
Noi e Piccola Tigre
“La tigre e l'acrobata” è una storia di formazione in cui la scrittrice triestina, guardando il mondo attraverso la vicenda e lo sguardo del giovane animale, descrive l'attuale condizione dell’umanità: ingorda, accecata da falsi idoli, autodistruttiva
Il titolo colpisce perché bene si adatta a un racconto che ha il carattere della fiaba, ma che riesce a trasmettere il dono di una esperienza grave, severa e irraggiungibile. Il romanzo di Susanna Tamaro, La tigre e l’acrobata (La Nave di Teseo, disegni dell’autrice, 149 pagine, 16,50 euro), immerge in un mondo reale che si dilata in quello fantastico. Gelosa della propria verità, la scrittrice la rivela pagina dopo pagine attraverso la storia di una tigre, Piccola Tigre, nata in una tana della Taiga, terra dalla natura selvaggia in cui l’odore di muschio e di foglie si mescola a quello rassicurante della madre. Questa Piccola Tigre non è «la tigre di Sandokan e neppure Shere Khan…», crudele come a volte possono essere le tigri, felini possenti, appartenenti alla specie dei più grandi predatori esistenti e considerati dalla maggior parte della gente animali pericolosi e sanguinari.
Ma qui la prospettiva cambia perché Piccola Tigre è come una bambina piccola che non sa niente né di se stessa, né del mondo che la circonda, è curiosa come lo sono i bambini, ingenua e pronta a credere a chi le parla. Quando vede la luce, sia pure un leggero raggio di sole, non sa cosa sia, rimane interdetta: perché se nella penombra della tana tutte le cose sono riconoscibili, fuori è diverso. Ci sono ombre, contorni scuri e sagome chiare. La luce poi con l’avanzare della notte scompare e piomba il buio e allora Piccola Tigre chiede alla Madre se il Sole sia una tigre. La Madre le risponde che il Sole «domina il cielo», mentre le tigri dominano la Taiga. Piccola Tigre non comprende con chiarezza queste misteriose parole, ma rimane stupita dinanzi alle forme cangianti del bosco e ai rumori sconosciuti. Deve imparare a capire tutto, a crescere come tutte le creature viventi e a individuare la propria via. Per il momento avverte di essere fragile e indifesa, non consapevole della sua forza, tanto meno dell’inizio del sentiero da seguire. C’è qualcosa dentro di lei che le sfugge, qualcosa di sconosciuto. Sarà la Madre a spiegare il motivo di questa sensazione indecifrabile parlando, a lei e al fratello Tigrotto, dell’uomo. Gli uomini non sono più forti, ma uccidono quando vogliono perché «l’uomo uccide solo per uccidere».
Per questo la Madre insegna ai suoi figli a saper riconoscerne l’odore «anche nel più confuso dei venti» e li conduce alla casa dell’uomo, un rifugio abbandonato. «Se non ci fosse stato l’uomo, il mondo sarebbe stato perfetto». L’uomo quindi è un pericolo mortale per le tigri e il destino di Piccola Tigre sarà quello di incontrarlo e di lavorare in un circo sotto la frusta di un domatore. Ma prima di essere imprigionata incontra un «Giovane maschio di rara bellezza»: con lui vorrebbe fondare la proprio discendenza, ma della tigre costui ha solo l’aspetto, in realtà è uno Sciamano, la tigre è il suo spirito guida. Giovane tigre pensa allora che tutto questo non aiuta ad adattarsi, che tutto è più che mai confuso perché aveva desiderato l’opposto di ciò che ha appena perso. Nel suo errabondo girare comprende che se il futuro delle tigri è grigio anche quello degli uomini è privo di speranza.
Come nelle altre opere della scrittrice triestina i temi affrontati in questa singolare e avvincente favola ecologica sono tanti e le annotazioni sulla condizione umana interessanti e aperte al dialogo, anche se su tutto prevale la lucida consapevolezza dell’ingordigia sprezzante e folle della specie umana, che accecata da falsi idoli, senza neppure rendersene conto, si sta avviando con incauta inconscienza verso la propria rovina e quella del Pianeta.