Dal "glory hole” alla “fucking house”
La donna patchwork
Riflessioni (amare) sul desiderio e la sessualità: due termini che sempre più spesso esprimono solo consumo, prescindendo dal rispetto del corpo e delle persone. Specie delle donne
«Glory hole»: ho sentito per la prima volta questo termine, durante l’intervista al telegiornale del 23 febbraio, fatta a Francesco Spano, direttore dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio) a seguito di un servizio fatto da Le Iene, sui finanziamenti del Ministero a circoli culturali che, contravvenendo alle direttive dello statuto, praticavano la prostituzione omosessuale maschile. In tale pratiche pare rientrasse anche il glory hole.
Mi sono chiesto, quindi, cosa volesse dire, praticare il “buco della gloria” in un circolo culturale. Conoscevo il “campo della gloria” termine con cui in Argentina si intende il campo di battaglia nel quale l’eroismo dei soldati nazionali è rimasto memorabile. A Salta, al nord del paese, vi è il “campo della gloria o campo dell’onore” dove i gauchos di Guemes si distinsero contro gli spagnoli durante le guerre d’Indipendenza, ma il “buco della gloria” praticato in un ambiente chiuso mi era sconosciuto. Avevo anche pensato al caleidoscopio, quel tubo di cartone nel quale l’occhio, attraverso un buco, vede capricciose simmetrie di luce o fiocchi di neve colorati, oppure disegni entusiasmanti creati ad ogni movimento della mano. Poi, scartando il buco di ferro del cancello dei Cavalieri di Malta sul Gianicolo, attraverso il quale si vede la cupola di San Pietro e naturalmente i buchi neri del cielo, ero arrivato alla conclusione che il glory hole doveva essere il buco fatto nella cabine di legno sulla spiaggia, per vedere lo spogliarello della ragazza vicina di cabina.
Qualche sospetto mi veniva ancora dal fatto che lo scalpore provocato dal servizio di Le Iene non poteva essere stato causato da un gioco degli adolescenti durante i mesi estivi.
Quindi sono andato a consultare una “enciclopedia illustrata del sesso” presente sul computer ed ho capito il vero significato del termine.
La prima reazione avuta è stata una domanda: ma non si faranno male? Evidentemente no, se le clip che illustrano tale pratica sono numerose, feconde nei particolari ma anche molto monotone. La seconda reazione è stata quella di chiedermi cosa si provi nell’affidare una parte di se ad uno sconosciuto, battendo il naso contro una parete di legno ad ogni movimento del borseggiatore del tuo sesso. Mi è venuta in mente l’immagine onirica del pozzo, dove si può cadere ad occhi chiusi senza farsi male, poi ho ricordato i brividi di piacere/paura provati vedendo i film di Dario Argento, quando l’eroe entra in una casa abitata da fantasmi e segue di notte una melodia sconosciuta, infine alla Bocca della Verità dove si mette la mano in un buco, per sapere se essa appartiene ad un uomo sincero oppure capace di mentire a se stesso.
L’espressione “mentire a se stesso” mi ha illuminato. Questa può essere la spiegazione a tale pratica: mentire sapendo di mentire, simulando una complicità che non esiste, affidando ad una parete di legno il compito di far celare la propria personalità e di far crescere la curiosità verso uno sconosciuto. Insomma il glory hole è il contrario del buco fatto con il trapano nelle cabine della spiaggia: qui un ragazzo spia per vedere un altro corpo nudo, nell’altro si fa di tutto per non vedere il corpo del tuo partner occasionale.
Mentre consultavo l’enciclopedia, sono stato attratto da una clip che mi ha sconvolto. Eravamo sempre al capitolo in oggetto, ma questa volta i paragrafi esplicativi erano diversi. Prague Fucking House mostrava una strana variazione sul tema del buco.
L’ambientazione della clip è quella di una cabina di legno dipinto di scuro, dove in primo piano una signora da un botteghino stacca biglietti per i ragazzi che vogliono entrare. Questi, in fila indiana, disciplinati come se dovessero prendere l’autobus, hanno a disposizione due pareti, una con dei piccoli buchi “normali”, dove introdurre la propria menzogna, l’altra con dei buchi più grandi, da cui escono i corpi di due ragazze. Tuttavia la parte superiore del corpo, dalla testa fino all’ombelico è celata dalla parete di legno, mentre la parte inferiore è esibita come la carne del macellaio appesa ai ganci. E con delle cinghie fissate a due ganci infatti sono legate le gambe delle ragazze, per aiutarle nello sforzo di tenere le gambe ad “altezza d’uomo”. A rendere più allettante l’esposizione del corpo femminile, gli uomini hanno ad altezza degli occhi una fotografia del volto della ragazza, tenuta sul legno con puntine da disegno, della quale ora conoscono oltre l’intimità delle gambe anche la (presunta) identità del viso.
Il pittore René Magritte ha dipinto un quadro nel quale si vede una sirena rappresentata con la testa di pesce e le gambe di donna, qui l’ideatore di questo siparietto ha creato una “sirena” che ha un corpo a metà reale, a metà nascosto, ed un viso virtuale. Perché ho fatto riferimento alla sirena? Perché lo scopo ultimo dei ragazzi è quello di far “cantare” il corpo incatenato, come prova della loro virilità.
Ebbene, perché mi ha sconvolto questa clip? Perché il corpo della donna è divenuto un patchwork surreale e cannibalesco. L’uomo mangerà la carne, udirà i rumori provenire dalla parete, vedrà la fotografia del soggetto, ma in questa scenografia tutto è finzione: la fotografia può essere falsa, i gemiti della ragazza fasulli, il corpo esibito irreale e perfino il maschio cliente si chiederà se è la sua prestanza a darle piacere oppure il tintinnio dei soldi versati al botteghino.
Carmelo Bene diceva che la pornografia si distaccava dall’erotismo quando l’azione amorosa «eccedeva il desiderio» e Baudrillard parlava di pornografia moderna come venerazione del dettaglio, del frammento del corpo, della parte staccata dal suo contesto. In questo caso abbiamo una pornografia del corpo inventato, perché è solo l’immaginazione che tiene insieme i diversi pezzi del corpo della donna. Una immaginazione povera di stimoli se ha bisogno di una donna divisa a metà e di una cabina di legno scuro a pagamento per far cantare una sirena con un volto di carta. Una immaginazione senza specchi perché vedendosi avrebbe potuto dire: “ma che ci faccio qui?”