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Donne, arte e sangue
Tre "gialli" intorno a tre figure femminili: dalla biografia di Artemisia Gentileschi di Pietrangelo Buttafuoco, alla Venezia oscura di Paolo Forcellini, fino ai Krull di Georges Simenon
Quadri e amori. La grande pittrice Artemisia Gentileschi, artisticamente influenzata dai colori del Caravaggio, aveva una pessima reputazione. Nella Roma “che appartiene ai senza Dio”, la chiamavano “la colorara” e attorno a lei volteggiavano spudorate fantasie sessuali e pettegolezzi difficili da contenere, figuriamoci a smentirli. Il suo destino s’incrocia con Agostino Buonamici Tassi, tardo manierista e paesaggista eccellente. Dopo anni di sparvierato sessuale nei lupanari di Livorno, dove sposa una prostituta, torna nella corrotta città papalina (era nato nei dintorni). Conosce Orazio Gentileschi (falso padre di Artemisia, che gli fa da modella): i due si stimano e lavorano assieme. Tassi da fonte certa viene a sapere che la “colorara” o “tintora” (le donne non potevano studiare pittura) merita l’appellativo di “puttanella”. Gli dicono che “si dà a tutti”, con quelle “poppe ardite e fianchi alti”, e un modo di camminare che casualmente soffia sulla sua presunta disponibilità sessuale. E fomenta le allusioni.
L’incontro tra la pittrice diciannovenne e l’incendia-femmine Tassi, chiamato “lo smargiasso”, è all’insegna dello stupro (di per sé non era reato: lo era solo la deflorazione). Sorpresa: Artemisia è vergine. La vicenda dei due viene magistralmente raccontata, con toni lirici (talvolta con venature troppo larghe) e stile superbo, da Pietrangelo Buttafuoco in La notte tu mi fai impazzire (Skira, pag. 103, 13 euro). A violenza consumata, Artemisia chiede al tracotante Agostino di sposarla. Lui fa spallucce. Orazio lo denuncia alle autorità ecclesiastiche. I due giovani sono messi a tortura, così atroce da far saltare un alibi che forse stava in piedi. L’aggressore e Orazio tornano all’amicizia. Tassi viene condannato (anche per bigamia), tornerà dalla moglie che non ha mai smesso di far commercio di sé, e stenterà, per un’artrosi diffusa, a tenere in mano il pennello. Significativo è memoriale pittorico di Artemisia, a partire da “Susanna e i due vecchioni”.
Laguna. C’è tutta Venezia, soprattutto quella nascosta nel dedalo dei tanti anfratti, nel romanzo giallo di Paolo Forcellini (Feste di sangue, Cairo, 235 pag., 14 euro). A ogni festa, sia nazionale che locale (e son tante), viene strangolata una donna. Una, due, tre, quattro: tutte “copate”. Tra esse c’è anche la bellissima vincitrice della Festa di Maria (25 aprile), antichissima tradizione che risale a un Doge. Storia e intrighi vanno a braccetto nelle “calli sconte”: qui sta il fascino della narrazione, originalissima se posta a confronto con la stereotipata galleria del genere poliziesco. Il commissario Marco Manente, intuitivo, dotato di enorme cultura, le tenta tutte pur di acciuffare quello che ormai viene definito “il killer dei sotoporteghi”. Agisce in zona buie, rischia molto ma è abile a dileguarsi. Manente, rapace a tavola ma anche nelle pieghe storiche della Laguna, ascolta tutto e tutti, ragiona, collega particolari, anche i più laterali. È burbero e insieme cordiale, decisionista, “uomo dell’ordine molto disordinato”, ineccepibile guida per i suoi uomini. Il killer delle festività una sera s’imbatte in una donna che, secondo testimonianze, dirà “proprio tu”. La morsa dell’inchiesta si fa più stretta, con alcuni colpi di fortuna. L’intera vicenda non è mai così lineare. Il “gioco” del gatto e del topo finirà davanti agli occhi del commissario che, toccato direttamente da quell’insolito femminicidio, è tentato di sostituire la giustizia con la vendetta.
Stranieri. Tanti anni fa una famiglia, i Krull, si trasferisce dalla Germania in un quartiere desolato d’un paesino francese. Attorno pulsa violentemente il rifiuto, il pregiudizio. Lui, costruttore di ceste di vimini, sua moglie addetta alla mescita, e i tre figli sono costretti in un devastante esilio. Georges Simenon, ne La casa dei Krull (210 pag., 19 euro, Adelphi) sguazza in quello di cui è più capace: l’atmosfera. Ma a mio avviso vi rimane imbrigliato. Come in tutti i suoi romanzi – anche in quelli dove non compare il commissario Maigret – c’è un morto. Si tratta di una ragazzetta, figlia di un alcolizzata. In modo crescente si addita la famiglia Krull come colpevole. Intanto in quel grigio nucleo familiare s’installa Hans, che si definisce nipote e cugino. Il suo passato è bucherellato di vuoti e menzogne. Se il capofamiglia “ha dignità dei sordi”, Hans a poco a poco diventa lo “scroccone”, sempre col sorriso sulle labbra, cinico ma anche lucido tanto da definire i parenti “stranieri che si vergognano di esserlo”. Dopo l’omicidio della ragazza, vicino alla chiusa, la gente imbratta i muri della casa, urla frasi indecenti contro quella casa-negozio dove regna una dignitosa penombra. Polizia e Gendarmeria, oltre a non indagare seriamente, fa poco o nulla a protezione dei presunti colpevoli. Simenon, indugiando sulle sue proverbiali atmosphères, non indica al lettore quale sia il colpevole e nemmeno le ragioni che ci stanno dietro. I Krull li vedremo a Stresa, dove tutto è cambiato per i Krull. Ma non se ne spiega il motivo, soprattutto il percorso dei rispettivi personaggi.