Angela Di Maso
Ritratto d'artista

Il teatro? Un vuoto da riempire

Chiara Tomarelli: «Oggi tutti credono di essere attori. Pochi lo sono davvero. Recitare per me è uno spazio di libertà in un vuoto dove tutto può accadere»

Nome e cognome: Chiara Tomarelli.

Professione: Attrice.

Età: 40.

Da bambina sognavi di fare l’attrice? Mi piaceva tantissimo dare le voci a personaggi inventati, ma in realtà il mio sogno era diventare giocatrice di pallavolo. Sogno avverato perché fino ai 18 anni ho giocato da professionista.

Cosa significa per te recitare? Per me è uno spazio di libertà e contatto con quel vuoto dove tutto potrebbe accadere.

Il tuo film preferito? Tutto Cassavetes.

Il tuo spettacolo teatrale preferito? (Fatto da te o da altri) Romeo e Giulietta di Serena Sinigallia. Studiavo alla Paolo Grassi e quando lo vidi rimasi folgorata. Ma anche Sul concetto di volto nel Figlio di Dio della Societas…

Qual è l’attrice da cui hai imparato di più?   Ogni attrice brava mi incanta e tento di rubarle qualcosa.

Qual è il regista da cui hai imparato di più? Sicuramente Jan Fabre. Un’esperienza unica che mi ha rivoluzionato la vita.

Il libro sul comodino: Pranayama, un libro yoga su controllo dell’energia vitale attraverso il respiro.

La canzone che ti rappresenta: Bella Ciao e I’m on fire Di Nick Cave.

Descrivi il tuo giorno perfetto. Il giorno in cui s’iniziano le prove di uno spettacolo è sempre un giorno speciale.

Il primo bacio: rivelazione o delusione? Delusione, meno male che c’è stato il secondo.

Strategia di conquista: qual è la tua? Di solito punto sul cameratismo e sull’autoironia.

Categorie umane che non ti piacciono? Sopra tutte i manipolatori. Li detesto e non rispondo delle mie reazioni di fronte a loro.

Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Dipende cosa vuoi sedurre.

Il sesso nobilita l’amore o viceversa? Credo che per noi donne non esista l’uno senza l’altro. Anche quando è apparentemente una storia di sesso, la donna ama sempre.

Chiara Tomarelli4Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Due incastri completamente diversi: nel primo regna lo specchiarsi, il ritrovarsi, lo stupirsi e rafforzarsi nella somiglianza. Il secondo è più belligerante, si scoprono nuove terre spesso attraverso il conflitto. Stimolante. Io personalmente vivo un rapporto sentimentale di grandi opposti, ma senza le profonde affinità che ci legano, durerebbe poco.

Costretta a scegliere: cinema o teatro? Sempre teatro. Mi piace l’amore ricambiato! Del cinema mi affascina molto la regia.

C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? No, ma avrei voluto esaudire il desiderio di una persona prima che se ne andasse.

Shakespeare, Eduardo o Beckett? Shakespeare sempre. È la Bibbia della vita. Se vuoi conoscere qualcosa, qualsiasi cosa sull’essere umano, è tutto dentro Shakespeare

Qual è il tuo ricordo più caro? Il giorno della nascita dei miei figli. È qualcosa di potentissimo, insieme violento e dolcissimo. Mistico.

E il ricordo più terribile? Lo tengo per me.

L’ultima volta che sei andata a teatro cos’hai visto? Un bruttissimo spettacolo per bambini!

Racconta il tuo ultimo spettacolo: L’ultimo spettacolo, con cui saremo in tournée anche questa stagione è TANTE FACCE NELLA MEMORIA, tratto dalle testimonianze raccolte dallo storico Alessandro Portelli sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. Sei voci di donne realmente esistite (tre partigiane e tre parenti di vittime) che rivivono, attraverso un sapiente lavoro di adattamento, la storia della Roma di quei giorni. Una storia non ufficiale, ma umana, fatta di dettagli, emozioni, riflessioni. La regia, bellissima nella sua asciuttezza e essenzialità, è di Francesca Comencini. Le attrici sono Lunetta Savino, Carlotta Natoli, Bianca Nappi, Mia Benedetta (che ha curato con la Comencini l’adattamento), Simonetta Solder e io. Un gruppo di donne e attrici molto affiatato umanamente e artisticamente.

Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Perché racconta di noi, delle nostre radici. Ascoltando le storie di queste donne, il loro coraggio, la loro forza e anche vulnerabilità di chi si offre alla vita, ritroviamo il meglio di noi stessi come esseri umani e come cittadini italiani. Il mio personaggio, Carla Capponi, medaglia d’oro al valor militare, è un esempio di donna che ha lottato per ciò che siamo noi oggi. Senza di loro la nostra storia sarebbe potuta essere molto diversa. E il pubblico riceve tutto questo e ancora molto altro, riavvicinandosi ai valori fondamentali di libertà, compartecipazione, solidarietà, in un periodo oscuro come quello della guerra.

Chiara Tomarelli3Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? Credo molto meno di altri ambienti, semplicemente perché ci sono meno soldi. Però è intollerabile come sia trattata la figura dell’attore nel sistema produttivo. Senza gli attori non c’è spettacolo eppure economicamente sono spesso l’ultima ruota del carro.

La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. Danzare.

Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). Ho una raccolta di poesie scritte da me chiuse a doppia mandata nel cassetto

Piatto preferito. Crudo di pesce e vino bianco possibilmente Vermentino!

C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? No, perché ancora non esiste nella società. Quando sono rimasta incinta del mio primo figlio 10 anni fa, lavoravo spesso con uno Stabile, con il quale non ho più avuto rapporti. Se davvero si vuole incrementare le nascite, invece di fare ridicole e offensive campagne senza senso (come ha fatto la Ministra Lorenzin), bisognerebbe pensare, studiare e attuare leggi che incentivino per esempio l’assunzione di donne madri. Rimettersi nel mercato del lavoro è sempre molto difficile per una donna, figuriamoci per un’attrice.

Mai capitato di dover rifiutare un contratto? Se sì, perché. Si, per sovrapposizione di lavori e alcune volte per scelta artistica.

Di lasciarti sfuggire un’occasione di lavoro e di pentirtene subito dopo?  Diciamo che ho mancato degli incontri e mi è dispiaciuto. Ma tendenzialmente guardo avanti e non rimpiango.

Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare nel cinema? Mi sarebbe piaciuto lavorare con Cassavetes!

Quale ruolo ti piacerebbe interpretare in teatro? …Il monologo Niente più niente al mondo di Massimo Carlotto

Da chi vorresti essere diretta? Un regista con cui mi piacerebbe condividere un percorso ora è Andrea Baracco.

Tre doti e tre difetti che bisogna avere e non avere per poter fare questo mestiere. Doti: grande tenacia, flessibilità, curiosità. Difetti: eccessivo narcisismo e egoismo, pigrizia, non essere disponibili al cambiamento.

Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse?  Non saremmo più umani…

Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Un pit-stop sulla Luna prima di sparire…

La frase più romantica che ti sia capitato di dire in scena. “ e poi siamo andati a lavarci le mani alla fontanella e lui rideva, rideva….mi diceva sei una matta, pulisci, pulisci…” Carla Capponi parlando della sua prima azione con Rosario Bentivegna, quando sono andati a riempire Roma di scritte contro i tedeschi e i fascisti. Non so se sia la più romantica…è che una volta finito uno spettacolo mi dimentico presto il testo!

La frase più triste che ti sia toccato di dire in scena. “Questa è la mia prima e ultima bomba” detto dal personaggio della donna kamikaze nel monologo Donna Bomba di Ivana Sajko

Cosa vorresti che il pubblico ricordasse di te? Di me nulla in particolare, dei personaggi che ho interpretato la loro umanità.

Hai mai litigato con un regista per una questione di interpretazione del personaggio? No, quando lavoro con un regista ho sempre una grande fiducia e mi lascio guidare. Certo il confronto è fondamentale, spesso può essere acceso, ed è la gioia di questo lavoro, ma litigare anche no.

Se potessi svegliarti domani con una nuova dote quale sceglieresti? L’onnipresenza.

Che cosa è troppo serio per scherzarci su? La violenza verso gli innocenti.

Se potessi conoscere il tuo futuro cosa vorresti sapere? Se l’Inps mi darà la pensione!

Come costruisci i personaggi che interpreti? Molto dipende dal linguaggio del regista.

Chiara Tomarelli5Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? Di certo sono notevolmente diminuiti i fondi per la cultura e il teatro ha sofferto e sta soffrendo moltissimo per questo. Rispetto a diversi anni fa, lo stato del teatro è più che agonizzante. Però i focolai artistici non sono diminuiti. Sono cambiati profondamente, nella forma e nel sistema produttivo. Noto però che le difficoltà sono così pressanti che spesso anche progetti (e non parlo unicamente di spettacoli) che nascono con ottime intenzioni muoiono perché soffocati da dinamiche direi quasi di disperazione. Negli ultimi anni ho fatto parte del Gruppo DannyRose, un bellissimo e ambizioso progetto in cui 40 attori hanno provato a riunirsi per cercare di formare una compagnia che producesse e investisse sulla formazione, come succede spesso in altri paesi. Abbiamo prodotto uno spettacolo di successo come Servo per due che ha girato per tre anni l’Italia. Poi tutto è svanito attorno alla piccolezza degli egoismi personali e il gruppo è naufragato. È stato un grande dolore.

Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? Nell’affrontare, nello studiare e nel provare un testo il rapporto con la parola è per me fondamentale. È il suono d’accesso al piano emotivo, è il districarsi, lo svelarsi, il dichiararsi del pensiero, è l’enigma da risolvere, il mistero dietro il quale si racchiude il personaggio e i suoi desideri. La analizzo in profondità, la esploro, la sperimento, per poi lasciarmi uno spazio vuoto dove in scena permettere che essa risuoni e possa muovermi. Fisicamente, emotivamente.

Cosa pensi delle nuove generazioni di attori che, a volte, passano direttamente dai talent al palcoscenico? Oggi tutti credono di essere attori. Pochi lo sono davvero.

La morte: paura o liberazione? Spero di arrivare a sentirla un giorno come Liberazione. Come Unione. Come Ritorno.

Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? Primo: incentivi a produzioni che assumono attrici madri. Secondo: riconoscimento e regolamentazione della categoria attori, con particolare attenzione al welfare. Terzo: maggiori fondi a progetti artistici che portino il teatro nei luoghi più difficili delle città (carceri, ospedali, scuole…). In passato con la mia Associazione Culturale abbiamo fatto un progetto molto bello sul teatro durante la seduta di chemioterapia per i malati oncologici. Lo abbiano fatto in maniera sperimentale all’Ospedale Santo Spirito di Roma con un risultato tangibile dal punto di vista psicologico per i pazienti, gli infermieri, i medici… purtroppo non è stato possibile continuare per mancanza di sostegno da parte delle Istituzioni.

Cosa è necessario per un’attrice: memoria storica o physique du rôle? Continuo a credere che la memoria storica, quindi ciò che sei, che sei stato e che puoi essere in potenza, sia il materiale su cui si basa il tuo lavoro d’attore. Tutto il resto è riflesso di questo.

Hai un sogno nel cassetto che oggi può aprire. Cosa viene fuori? È molto strano ma ho smesso di avere sogni nel cassetto, nel senso di qualcosa di proiettato altrove. Cerco di vivere quello che mi accade come un dono e una continua opportunità. Diciamo meglio: i sogni sono sempre vicini a me, riguardano ogni istante del mio presente.

I soldi fanno la felicità? Assolutamente no.

Qual è il tuo rapporto con i social network? Li uso per distrarmi.

Chiara Tomarelli1Il tuo rapporto con la critica. Quale quella che più ti ha ferita in questi anni. Direi un buon rapporto. Ho grande stima di diversi critici. Persone che hanno una visione completa, direi artistica del loro mestiere. Che personalmente mi hanno sempre stimolato e spesso indicato la strada. Credo ci voglia molta disponibilità, umiltà e passione per fare il lavoro come lo fanno loro, dove il senso non è il giudizio, ma il tentativo di spostare l’artista o lo spettatore sempre un po’ più avanti, intuendo, sapendo scorgere, leggere, lì dove a volte anche l’artista stesso non è giunto. Mi ha ferito una critica in passato, che non aveva compreso il senso del mio progetto… ma può succedere.

Poco prima dell’inizio e poi della fine di un tuo spettacolo, a cosa, o a chi, pensi? Cerco di concentrarmi, di ritrovare il motore del personaggio. E poi a nulla, solo al mio respiro forse. Alla fine spesso ai miei figli.

Il teatro riesce ancora a catalizzare la passione civile del pubblico in modo attivo? In linea di principio assolutamente si. La gente ha un grande desiderio di riflettere e riflettersi attraverso il teatro. Il pubblico ha bisogno e voglia di capire, di comprendere, di accendersi nuovamente. Siamo alla ricerca di questa fiamma e il teatro (e l’arte in generale) quando è fatto bene lo offre. Roma non è una città facile per questo, ha un’identità molto disgregata, a differenza di Milano o di diverse zone di provincia dove esiste un rapporto continuo, un dialogo civile e politico forte che si crea con e attraverso il teatro.

Nella tua valigia dell’attrice cosa non manca mai (metaforicamente o materialmente)? La gioia, il cervello e il copione.

Con i tagli economici alla cultura, il teatro diventerà un’arte di nicchia oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Speriamo che cambi il modello politico e arrivino non tagli ma incentivi.

C’è un autore teatrale che credi sia poco considerato e che andrebbe rivalutato e rappresentato? Elsa Morante, Letizia Russo. Mai abbastanza considerate in paragone alla loro potenza.

Meglio essere sereni, contenti o felici? Non sono sinonimi? Mi viene in mente la canzone dei Felici Pochi e degli Infelici Molti proprio di Elsa Morante. E dunque meglio felici. Barbaramente, brutalmente, spudoratamente felici, di una felicità scanzonata e dolcissima.

Progetti futuri? A breve riprenderemo la tournee di Tante facce nella memoria e poi a marzo/aprile debutterò al Teatro Argot di Roma con un bellissimo testo inedito di Neil Labute Dall’altra parte del bosco, storia di un rapporto tra due fratelli (interpretati da me e Paolo Giovannucci) diretti da Marcello Cotugno.

Un consiglio a una giovane che voglia fare l’attrice. Cambia mestiere! No scherzo! È un mestiere molto molto duro. Sotto tanti aspetti. Per abbracciarlo devi sentirlo davvero come una vocazione, come una necessità senza la quale non potresti sopravvivere. Solo così, come dice Nina, puoi riuscire a portare la tua croce. E lo sappiamo bene noi attori, questa croce può essere molto pesante. Ma regala l’amore. Che non è poco!

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Foto di Fabio Lovino

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