A proposito di “Ti amo”
Pizzini d’amore
Simone Regazzoni ricostruisce la complessità dell'amore. E tutto ciò che lo rende un'esperienza difficile nella sua pienezza: «Abbiamo molte semplici avventure, per evitare l’avventura dell’amore».
Il poeta britannico Auden scriveva, o forse gridava: «La verità, vi prego, sull’amore». In quest’epoca chiamata sbrigativamente post-moderna, e in questo giorno dedicato a San Valentino, uno dei tanti trucchi ad usum mercatorum, l’amore rischia di essere ridotto a uno dei tanti giocosi giochi del cuore. Certo che oggi non rinunciamo all’amore, ma ne preferiamo la versione edulcorata: per non farci male, per non rischiare, per non essere derisi, per ripararci dal ridicolo, dal fallimento, dal dolore cui ci si espone sempre anche quando si ama davvero. L’amore vero è sempre meno direttamente dichiarato per evitare il rifiuto o la risata.
Ricordate quel che diceva Umberto Eco: perché l’amante sia creduto – appunto nel postmodernismo – deve ricorrere a una citazione. Per esempio: «Come diceva Liala, ti amo da impazzire». Il messaggio arriva, pur camuffato. Sta di fatto che i “pizzini” verbali sull’amore restano un gioco intellettuale. Questa è una delle tante considerazioni annotate da Simone Regazzoni, allievo del filosofo francese Jacques Derrida, nel libro Ti amo (Utet, 139 pag., 14 euro).
L’autore ricorda che nel Simposio di Platone esiste qualcosa «che eccede il limite dei discorsi sull’amore, anche i più belli, una musica dionisiaca che oltrepassa il limite della filosofia stessa, e si spinge fino a toccarne il cuore di tenebra… fino a fare male alla filosofia, fino a ferirla, eccitarla, farla piangere o arrossire». Socrate affermava di non saper discettare sull’amore, eppure tentava di parlarne. Pare che a dettare i ragionamenti ateniesi sia stata una donna, Diotima. E Diotima pronuncia un discorso che non ha valore filosofico, ma misterico. L’amore è qualcosa che oltrepassa i limiti. Forse oggi noi non lo capiamo perché siamo diventati pavidi. Regazzoni scrive: «Capaci di fare sesso, liberamente, e a piacere, fuggiamo dall’amore: abbiamo molte semplici avventure, per evitare l’avventura dell’amore».
Bisogna reinventare l’amore, come suggeriva il poeta francese Rimbaud? Senza dubbio, se non altro per non accontentarci di un vivere simil-felice senza aprirci all’esistenza profondamente amorosa. «Senza amore, annota l’autore, possiamo fare anche mille volte sesso, ma non incontreremo mai l’Altro nel suo essere, saremo sempre alle prese con forme, magari piacevolissime, di godimento idiota, tutto incentrato sulla nostra soggettività, sul nostro narcisismo, sul nostro Io, sulla nostra ipseità come “potere”, come “io posso”». E ancora una domanda, brutale: osiamo dichiarare l’impossibile, sussurrare quell’insondabile “ti amo”? Marlene Dietrich, nelle lettere a Ernest Hemingway ricorreva alla parola “unsynchronised passion” che poi lo scrittore americano usò per definire la dimensione di un amore che non si consumò mai se non in forma di parole. Socrate e Platone ci hanno insegnato che la filosofia non svela il nucleo dell’amore, pur ragionandoci attorno. A patto di diventare “filosofia amorosa”, tanto è vero che in principio è amore, non il logos. Lo psicanalista Jacques Lacan ha riportato e commentato il Simposio: «L’amore è dare ciò che non si ha». Non a caso Eros ha come madre Pénia, che significa povertà, mancanza, ed è conosciuta anche come àporia, ossia quello stato in cui non si osa o non si può decidere, non si ha nulla da dare se non la propria mancanza costitutiva. In sintesi, se non c’é amore senza dichiarazione (anche a distanza) l’amore allora è donare ciò che non si ha nella forma della dichiarazione. E così, scrive Regazzoni, «la filosofia fa la verità dell’amore facendo l’amore con le parole nella forma di una dichiarazione».
Socrate è saggio quando dichiara che «baciare espone l’individuo al rischio di uscire fuori di senno». Il poeta e filosofo tedesco Novalis scriveva che «il primo bacio è il principio della filosofia… a chi non dispiacerebbe una filosofia il cui germe fosse il primo bacio?». L’etimologia sorregge questa tesi. Difatti in greco antico, annota l’autore, il verbo “phileo”, inscritto al cuore della “philo-sophia”, significa, al contempo, “amare” e “baciare”. Parrebbe azzardato l’accostamento filosofi-cantanti. Eppure Bruce Springsteen, nella sua canzone Born to Run, s’interroga sull’amore, ma non lo vuol fare filosoficamente, non vuole sapere che cos’è l’amore: vuole sapere se l’amore è reale (I want to know if love is real).
La giornata del San Valentino, violentata da un marketing che sorvola le nuvolette dei cartoons, lo sappiamo tutti, non è giornata da Simposio platonico. Ma qualcuno potrebbe porsi qualche domanda impegnativa, su sé e sull’altro. Vinceranno di certo i cuoricini, le catenine, i portachiavi, i biglietti colorati e profumati, gli sguardi dolci sull’autobus, lo stringersi la mano fino al capolinea. Personalmente mi auguro che qualcuno ricordi questa bellissima frase: «Lo sai che non posso dormire se non ti sento sotto le mie dita?».