A proposito di "Tutti i racconti"
La letteratura onesta
La raccolta di Andrea Carraro descrive un percorso narrativo avvincente e tutto sommato isolato: quello che dal realismo ideologico porta all'onestà del romanziere nei confronti delle cose che succedono. Come se fosse inevitabile dire la verità
Quando leggerete i racconti di Andrea Carraro (vale la pena farlo: Tutti i racconti, Melville Edizioni 253 pagine 17.50 Euro) vi consiglio di stare attenti ai particolari apparentemente insignificanti. Un calpestio frenetico sul marciapiede, un dito che preme sul bottone dell’ascensore, una botta fortuita in strada, un colpo di tosse artefatto per provare un microfono: sono gli indizi della normalità degli individui che Carraro vuole riprendere com’è (senza orpelli letterari, per così dire…). O, meglio, sono gli indizi tramite i quali la normalità della vita quotidiana ci colpisce, ci impone le sue regole, i suoi umori. Manifestandosi intorno a noi e negli altri. Se una vicenda comincia con un indizio negativo, sapremo già dove andrà a finire. Anche se lì per lì non ce ne renderemo conto; o faremo di tutto per non rendercene conto.
Andrea Carraro da anni si interroga (con le sua narrativa, ma anche con i suoi scritti di saggistica) sul concetto di realismo. Leggendo i suoi racconti qui ripubblicati (compresi quelli bellissimi della raccolta La lucertola, 2001) mi è parso di capire che la questione in gioco non sia più il realismo, ma l’onestà. Il problema è essere onesti nei confronti della realtà, riproponendola sulla carta per come essa è effettivamente. Ci siamo interrogati per un secolo, circa, sull’essere e sull’apparire, sulle maschere nude e la frammentazione del reale, sennonché ora è arrivato il tempo di ricomporre l’essenza e l’apparenza delle cose. Andrea Carraro – specie nei suoi racconti, fulminanti, tutti con un centro preciso – fa proprio questo: ricondurre all’unità originaria la realtà. Ecco perché è onesto nei confronti delle cose! Perché il suo sforzo è ricomporre il conflitto tra realtà e letteratura, trovando una via ultima che non si ponga come speculativa nei confronti di quel che viene raccontato.
Una specie di anti-letteratura che segna una strada nuova nel nostro panorama.
Ma bisogna intendersi. La scrittura di Carraro non è – come dire? – automatica. Non scaturisce da una pura imitazione di quel che ci capita intorno: il suo è un lavoro letterario a tutto tondo (chi ha avuto a che fare con le sue fasi creative, e noi qui, grazie a Succedeoggi per cui Carraro ha scritto e scrive sovente, lo sappiamo) fatto di ricerca, di ripensamenti, di scelte dolorose di scrittura. Ma un lavoro che deliberatamente mira al nocciolo delle cose, alla loro essenza onesta, appunto: uno spazio che presuppone il miracolo grazie al quale quel che appare, è.
E, anzi, c’è un racconto perfetto, nel volume (intitolato significativamente Il gioco della verità), che è dedicato proprio alla restituzione narrativa di questo “miracolo”; ossia di questo percorso di riconciliazione tra apparenza e realtà effettiva. Leggetelo! Narra il disvelamento di un tradimento fatto per caso, per un gioco, come dice il titolo: salvo che l’autore si ferma alla realtà delle cose, racconta quel disvelamento, non altro; non il prima né il dopo delle coppie coinvolte nel tradimento. E questo non perché si sia chiusi nello spazio limitato di un racconto, ma per scelta di sostanza: è come se i lembi della vita narrata andassero lentamente a richiudersi inglobando tutte le contraddizioni di cui la vita medesima è composta. Tutto in un evento, in un fermo immagine perfetto, eterno e fulmineo allo stesso tempo. Ha a che fare con Roma, questa scelta narrativa. Non perché Carraro sia romano, non perché spesso le sue storie siano dedicate alla sua città (qui, in questi racconti, l’ambientazione sociale è più importante di quella geografica), ma perché Roma è una città che digerisce tutto, che include ogni estremo, ogni contraddizione, ogni conflitto. Sempre sorridendo, al massimo sputando un po’ più in là gli avanzi catarrosi delle vite perdute. Ebbene, proprio modulando i contrari (ossia rendendoli narrativamente ammissibili) Carraro mostra la sua profonda onestà nei confronti di quel che succede nella vita dei suoi personaggi. È in questo, in ultima analisi, il suo realismo: un metodo che espone e non giudica. Perché se Il Novecento (compreso il suo ultimo scorcio) ha dato al realismo un connotato ideologico, Carraro si pone altrove, in un territorio laico dove raccontare le cose (con onestà, appunto) è puramente un atto di adesione a quel che è nella vita e di rispetto nei confronti dei lettori. Un territorio letterario sul quale Carraro cammina isolato, a testa alta. Vale la pena seguirlo.