Cartolina dall'America
Contraddizione americana
La storia della colonizzazione americana è fatta di esclusioni e discriminazioni: non basta esorcizzare tutto ciò per combattere Trump. Occorre capire e accettare. Per andare oltre
In un editoriale del New York Times del 4 febbraio intitolato Who Are We? Ross Douthat si chiede come mai si continua a ripetere ogni qualvolta vengano prese decisioni controverse da parte dei politici «Noi non siamo questo». Specie da parte dei progressisti. Intendendo che tali scelte non fanno parte della storia americana o meglio di quella degli americani, perché sono contrarie ai principi democratici su cui è stato edificato questo paese. Cioè affermando che questo o quel provvedimento contraddice la natura intima di ciò che gli americani sarebbero e sono. In particolare, spesso abbiamo sentito questa espressione proprio in riferimento all’affermazione di politiche che escludono gli altri e che mettono l’America prima di ogni altro paese, come sta facendo Donald Trump: America first. Lo stesso Obama ha ripetuto più volte questa frase anche ultimamente, poco prima di lasciare la Casa Bianca.
Mentre le strade si riempiono di gente che manifesta contro il blocco di entrata negli aeroporti degli Stati Uniti di cittadini provenienti da alcuni paesi islamici, contro il muro che si sta costruendo al confine con il Messico e contro molte altre decisioni che nelle sue prime settimane Trump ha preso, viene fatto di chiedersi chi siano davvero gli americani. Come fa notare Douthat, questa frase è molto insidiosa specie in questo caso. Perché, fa notare l’editorialista, «se metà degli americani hanno votato repubblicano durante gli anni di Obama e sostengono Trump oggi, allora chiaramente qualcosa che va al di là dei principi cari al liberalismo cosmopolita è invece parte di quello che siamo». E di questo bisogna tenere conto, perché, continua il giornalista, altrimenti si finisce per escludere una sorta di contro-narrativa che potrebbe unificare tutti coloro che vogliono battersi contro Trump. E contro quel principio che, essendo l’America un paese di emigranti di tutti i colori e di tutte le religioni, fa sì che si escludano alcuni richiedenti asilo solo perché, temendo il terrorismo, si fa della loro appartenenza religiosa una discriminante ad excludendum.
Forse, però, per capire chi sono davvero gli americani è bene ripercorrere brevemente la loro storia. Una storia fatta inizialmente di coloni che quando hanno scelto questa terra hanno imposto il canone WASP (White Anglo-Saxon Protestant ) a cui tutti si sono dovuti sottomettere e che in nome di esso hanno sacrificato le vite dei nativi americani, dei neri e di tutte le minoranze colorate che non erano di religione cristiana. E, in testa a tutti, quelle delle donne. Con gli anni ‘60 e con l’avvento dell’era dei movimenti pacifisti, di quelli per i diritti civili e di quelli femminili, le cose sono cambiate, ma quella storia di esclusioni e di discriminazioni non è mai stata completamente superata. Come non è mai stata superata quell’idea di supremazia bianca, di antisemitismo e di misoginia che ha animato molte delle vicende storiche di questo paese. Seppure le ondate di immigrati si sono succedute e quei coloni si sono sempre più diversificati proprio in base ai gruppi migratori che si sono alternati, ci sono ancora alcuni che credono alla narrativa di una storia dei coloni originari. Che preferiscono il melting pot al multiculturalismo e ancora più al transculturalismo che addirittura fa sprofondare le tradizioni dei diversi gruppi etnici l’una dentro l’altra permettendo una contaminazione che fa perdere la purezza originaria. E forse tra queste storie che convivono non c’è una possibilità di unificazione o di sintesi perché sono l’antitesi l’una dell’altra. E tuttavia ambedue fanno parte integrante della storia americana e convivono proprio in una contraddizione che continua e prospera senza risolversi mai, alimentandosi di se stessa. E forse proprio per questo è l’anima di un paese vitale e capace continuamente di rinnovarsi.
Quello che sta facendo Trump, cioè il tentativo di ripristinare una purezza originaria eliminando un corno della contraddizione non potrà mai riuscire. Non solo perché il paese è molto cambiato, ma anche perché la narrativa di quella storia ha dato luogo a trasformazioni dalle quali non si può più tornare indietro. «Il mito della “causa persa” doveva morire, la realtà degli errori razziali richiedeva più riconoscimenti, il centro giudeo-cristiano doveva lasciare spazio ad una più larga pluralità di fedi» scrive Douthat. Ma per poter dire che anche la storia che piace meno ha diritto di esistenza non si può esorcizzarla semplicemente ignorandola. Bisogna invece capire che anche a quella storia, seppure in un passato non recente, l’America deve qualcosa. E dunque fa parte della sua eredità come quella che piace di più. Pertanto sono d’accordo con Douthat quando scrive che per abbattere Trump non possiamo continuare a ripetere ed enfatizzare quello che non siamo, ma dobbiamo accettare quello che siamo e soprattutto siamo stati. Ciò per dare modo a coloro che ancora credono solamente alla storia di ieri di accettare come loro anche quella in cui non si riconoscono.