Daniela Matronola
A proposito di “Una volta l'estate”

Voci senza rete

Il nuovo romanzo a quattro mani di Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi è un quadro caleidoscopico di una relazione raccontata con lo stile dei cori delle tragedie greche

Una volta l’estate (Meridiano Zero, 159 pagine, 13 Euro) è un titolo bellissimo per un romanzo sorprendente. Gli autori, Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi, sono riusciti a comporre un quadro caleidoscopico di una relazione trovando due frecce ai rispettivi archi che poi sono un solo arco, comune: 1) potenza della voce; 2) bellezza della lingua letteraria. Aggiungerei un terzo pregio: la felicità dello stile che proviene dritta da una felicità di racconto.

Riguardo alla voce, anzi – è bene precisarlo – al coro di voci che come in una tragedia greca cantano questa storia, la varietà è mirabile e non ne inficia l’intensità. Quanto alla lingua, è densa pregnante pulsante – e precisa, tagliente come un taglierino affilatissimo. Perché questo romanzo, per ciò che racconta e per la formulazione del racconto, taglia davvero il ghiaccio più che come il coltello kafkiano: come un bisturi che va a segno e non genera inutile sanguinamento, come una resezione ripetuta e millimetrica, come un laser che mentre taglia cauterizza.

una volta l'estate palombaLa lingua mi ha colpita molto anche perché in questo romanzo si fa una battaglia strenua in difesa del congiuntivo, sia presente che imperfetto – con predilezione per questo secondo, con un tale amore del rischio che a volte i volteggi le capriole le piroette i salti mortali invocano una rete sotto per porre riparo all’avventatezza e allo scapicollo mai ingenui ma sempre molto avvertiti dei due taumaturghi unificati in un solo, prodigioso racconto.

La pagina si gremisce di voci, come un proscenio, e questo permette di sondare superfici e profondità, ambiguità e sdoppiamenti, ironia e senso del tragico, e permette anche di muoversi disinvoltamente sullo schermo del tempo e di collegare punti sparati via nello spazio e pronti a riaggregarsi attraverso un fitto eppure lieve gioco di corrispondenze di baudelairiana memoria.

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