La voce del poeta: Marco Molinari
Topografie dell’anima
Fotogrammi della memoria raccolti dal poeta- flâneur in angoli di città visitate per caso, movimenti minimi e infiniti, suggestioni che trasmettono scintille di vita, che si fanno pensieri. Una raccolta “Città a cui donasti il respiro” in cui ogni lettore può riconoscersi come attore protagonista…
Con un garbo e un pudore che si pongono controcorrente rispetto alla poesia gridata di tanti autori contemporanei, Molinari ci invita a riscoprire città o vie che hanno catturato «un segno / dell’aria d’infanzia», periferie in cui «il cielo diviene vetro». Città a cui donasti il respiro (Il Ponte del Sale, 96 pagine, 14 euro) è una raccolta che tende a riscoprire una dimensione cittadina che non inficia il tema della modernità, recuperando, al tempo stesso, quei fotogrammi della memoria da cui sono rigorosamente banditi monumenti o luoghi celebri per accogliere, invece, situazioni sfuggenti, quasi anonime, che per l’autore hanno avuto però particolare importanza. Il flâneur presente in questo libro può ricordare, a tratti, certe escursioni compiute da Cucchi, Fiori o De Angelis all’interno delle città o lungo le coordinate di qualche topografia suburbana, anche se in Molinari tale aspetto si risolve in una dimensione più legata a congiunture di carattere occasionale. Oltre a Città a cui donasti il respiro, edita nel 2016, Molinari ha pubblicato le raccolte di versi Polena (1987), Madre Pianura (2002), Seguiamo e accarezziamo (2007).
La tematica della sua ultima raccolta come si evince dal titolo, Città a cui donasti il respiro, si basa sul rapporto instaurato con alcune città.
La mia ultima raccolta è effettivamente incentrata sul legame con città, vie, in cui sono stato per pochi minuti o parecchi anni e nelle quali sono riandato col ricordo, perché proprio lì è accaduto un movimento minimo e infinito, ho intravisto una scintilla di vita, dentro di me è maturato un pensiero. Tappe misteriose nel procedere della vita, che si sono annodate con luoghi in cui sono passato o ho abitato in un determinato tempo. Quasi sempre è stato il caso che mi ha portato in quelle vie e città, ed è per questo motivo che nelle poesie non vi sono descrizioni di ambienti o paesaggi; ma proprio queste coincidenze hanno dato un significato particolare alle emozioni, agli incontri fatali, trovando quinte straordinarie in cui suggellare quelle scene. La mia intenzione è quella che al lettore non appaia un libro biografico, che ruota intorno all’io. Vorrei che in questo procedimento, che è anche quello dei film del grande regista francese Eric Rohmer, ognuno possa riconoscersi come attore di una personale carrellata di città e vie in cui qualcosa silenziosamente è avvenuto.
Uno dei suoi riferimenti poetici principali è Milo De Angelis che si è occupato a più riprese della sua opera.
Milo De Angelis è un amico, un amico particolarissimo. Dopo esserci conosciuti tanti anni fa, precisamente nel 1983 (ricordo ogni istante di quell’incontro nella mansarda di Via Rosales a Milano), il nostro rapporto è proseguito in rari appuntamenti a casa sua o nella pianura in cui vivo, che si sono diradati con il passare degli anni. Il dialogo è continuato nella lettura dei versi, che mi danno una gioia particolare a ogni uscita di una sua raccolta. Penso sia raro trovare interamente una persona dentro la sua opera, intendo dire il calore della voce, un sorriso di rimprovero bonario, l’ostinazione di un giudizio, l’ombra di un dramma; e risento i nostri pochi dialoghi dentro tante sue poesie e continua così quel discorso, quell’ascolto, che non si interromperà mai finché ci sarà poesia da scambiare. Io allora gli chiedo una prefazione alle mie raccolte, che lui generosamente sempre mi concede. Gli faccio sentire la mia voce, si riannoda l’amicizia.
Lei lavora come segretario in una casa di riposo. Ci sono state delle figure che l’hanno particolarmente colpita in questi anni e che si sono riversate nella sua opera?
Ho conosciuto tante persone straordinarie nell’ultimo tratto della loro vita. È uno degli aspetti più interessanti del lavoro che faccio, anche se non è principalmente a diretto contatto con gli anziani. È inevitabile, appena si esce dagli uffici, incontrare gli ospiti della residenza, così ora è chiamata, che ti interpellano, vogliono raccontarti le esperienze più importanti della loro esistenza. Di tutta questa massa di anziani conosciuti in trenta anni di lavoro, come è normale, con alcuni ho creato un rapporto più empatico, è nata una sorta di amicizia, altri mi hanno colpito per originalità o profondità di pensiero. Finora, pochissimo di questo tesoro di umanità è finito nei miei versi, almeno come singole figure. Una poesia dedicata a una signora profuga istriana, due o tre che accennano, senza nominarli, ad alcuni ospiti, una sui vecchi in generale. Non riesco a spiegarmi perché un magma così imponente di emozioni non abbia premuto per uscire prepotentemente sulla pagina. Penso che sia per una specie di pudore, il timore di violare l’intimità delle persone, l’egoismo, forse, che mi porta a tenere dentro me questi incontri straordinari. Succederà, un giorno, con una prima poesia, e forse da quell’inizio sgorgherà la sorgente delle storie che ho ascoltato.
Come scrive abitualmente?
Di solito scrivo di sera, ascoltando musica, raramente musica classica, più spesso i generi più disparati, cantautori, folk, etnica. Il vortice delle note mi trascina, mi stordisce, mi provoca una specie di “trance”, da cui scatta la scrittura. Scrivo dove capita, ma negli ultimi anni quasi esclusivamente con una matita sui libri che ho in mano, che sto leggendo. Mi è successo più di una volta di rileggere un libro e scoprire una poesia tra le pagine, che non ricordavo di aver scritto. Questa è ovviamente la prima stesura, poi le riporto sul computer e lì inizia il lavoro di lima e scalpello, delle infinite revisioni che a volte subiscono, in qualche caso rendendo irriconoscibile l’origine. L’inizio è però quasi sempre come l’ho descritto.
Cosa sta preparando attualmente?
Sto scrivendo una raccolta, come faccio dall’adolescenza. Questa si è palesata come entità autonoma tre-quattro anni fa, conta una cinquantina di testi, ha già un titolo che mi convince e penso che sarà definitivo. È ancora in fase di costruzione, devo completarla e sottoporre i versi già scritti a parecchie correzioni. Negli ultimi anni il lavoro della poesia è molto rallentato e divenuto sporadico, ho delle accensioni per qualche giorno, cui seguono periodi lunghi di silenzio. Vorrei iniziare a tradurre il poeta americano Robert Frost, mi sento attratto dalla sua opera, che conta poche versioni in italiano.
Quali sono i suoi autori di riferimento?
La mia formazione è essenzialmente novecentesca, da quel secolo ho tratto i primi riferimenti per la mia scrittura. Nella poesia italiana, ad esempio, ho seguito la pista di poeti per certi aspetti più defilati, come i crepuscolari, Saba, Caproni, Cattafi, Erba, Sereni, Fortini, Baldini. Dei poeti stranieri, alcuni nomi mi hanno attratto irresistibilmente, pur col filtro della t
raduzione, tutt’ora ruoto intorno a loro quando cerco la parola che distenda un nodo che non si scioglie: Dylan Thomas, Paul Celan, René Char, Marina Cvetaeva, Osip Mandel’štam.
Può commentare la poesia inedita presentata?
La poesia che propongo è tratta da una raccolta inedita già strutturata, praticamente conclusa. Si intitola Come per una stagione breve, e contiene testi scritti dal 1984 al 2014, nell’arco di un trentennio. L’idea è partita allora e molte poesie presenti sono state abbozzate in quei primi anni; successivamente vi ho rimesso mano, rimodellandole in base alla sensibilità che stava mutando, completando semplici spunti, creando nuovi percorsi partendo dai versi iniziali. La forma che ne è sorta è quella del frammento, una scrittura ad “arcipelago”, definizione coniata per la poesia del francese René Char, e indubbiamente il risultato finale è proprio quello del movimento nel tempo, delle parti che tendono verso un’unità, sparsa però in punti diversi, in territori e periodi legati dal sentimento del divenire.
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Senza repliche
Oggi la tenaglia ha morso più forte.
Per fortuna, verso sera
arriva il ciabattino
che vende scarpe colorate.
Ho comprato un bel paio di sandali verdi.
Correrò tutta la notte.
Inudibili sorgenti sgocciolano
nelle scapole i loro insetti finti.
Qualcuno passerà di lì
e segnerà sul taccuino
un punto decapitato.
Quando si trascorrevano le ore sui banchi
non ci veniva il dubbio
che lo scalzo sergente
avrebbe potuto fermarsi.
Ora la poesia è un lusso
per pochi gendarmi
e il respiro delle Ardenne
sibila come una biscia in calore:
giudizio categorico incatenato.
Che te ne pare dei tuoi vestiti
lavati dalla tempesta?
Marco Molinari